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Intervista a Sal Modugno

Creato il 23 settembre 2011 da Temperamente

Intervista a Sal ModugnoPer la prima volta dalla nascita di Temperamente, non abbiamo come nostro ospite un romanziere, un poeta o un saggista, ma un autore di fumetti.

Salvatore (in arte Sal) Modugno nasce a Molfetta nel 1988, studia presso l’Accademia di Belle Arti di Bari e dal 2009 pubblica con la casa editrice milanese ARPANet le avventure di Mister Villain, di cui abbiamo recensito i primi tre albi.

Ciao Sal, benvenuto su Temperamente!

Mi stavo giusto chiedendo dove fossi. Questo posto non assomiglia affatto al mio studio…

Sai di essere il primo fumettista che viene intervistato sul nostro sito? Dovresti considerarlo un onore.

Non so chi metta in giro le voci che mi vorrebbero fumettista, ma credo sia giunto il momento che la pianti. C’è gente che potrebbe offendersi seriamente!

Ti ricordo che qui abbiamo ospitato autori di un certo peso. Credi di riuscire a fare la persona seria, per una volta?

Devo dedurne che i requisiti fondamentali sono obesità e serietà? No, perché temo di non rientrare in nessuno dei due parametri; non più, almeno. In ogni caso, ci posso sempre provare… Ad essere serio, non obeso.

Dicci qualcosa di te: chi sei, da dove vieni, dove stai andando?

Sono una forma di vita a base di carbonio, un mammifero antropomorfo appartenente alla specie Homo Sapiens Sapiens. Sono nato ventitré anni fa e l’esperienza è stata così traumatica che non ho più voluto ripeterla. Sono nato a Molfetta e ci vivo ancora. Studio presso l’Accademia di Belle Arti di Bari e sono diplomato in Grafica pubblicitaria e laureato in Incisione calcografica.
Quindi, come vedete, sulla carta non sono affatto un fumettista; anche se ho pubblicato tre volumi e collaboro come vignettista presso il primo giornale molfettese, «l’altra Molfetta».

Con ARPANet stai facendo conoscere al grande pubblico il tuo personaggio di punta, Mister Villain, la cui elaborazione e le vicende editoriali sono state lunghe e complesse. Raccontaci quando e come nasce il ‘progetto’ Mister Villain e come è approdato a Milano.

Mister Villain nasce nel 2006, quando per la prima volta mi soffermai veramente a pensare su ciò che sapevo rendere meglio e su cosa avrei dovuto puntare per avere un prodotto convincente. La risposta fu abbastanza immediata, c’era una sola cosa che conoscevo come le mie tasche: i supercattivi!
Sin da bambino avevo la passione per le figure negative, per un mondo meravigliosamente complesso, fatto di personaggi macchinosi, estroversi e stravaganti, tristi, ma con la voglia di scaricare la propria rabbia sul mondo e far scontare agli altri le proprie sventure. Tuttavia non volevo che Mister Villain fosse così profondo: lui e i suoi comprimari dovevano essere, nel progetto iniziale, una caricatura di questo mondo.
Realizzai quell’anno la sua prima avventura che contava una novantina di tavole (una cosa obbrobriosa, se ci ripenso, e con un Mister Villain completamente diverso da quello odierno). Il secondo tentativo fu una pubblicazione locale poco fortunata del 2008, dove i personaggi più interessanti c’erano già tutti, ma erano comunque delle macchiette. Nel 2009 ho resettato tutto e cominciato da capo, vincendo l’iniziativa editoriale miniComics indetta da ARPANet con Il mondo ti rispetta solo se ti teme! e concordando con l’editore un progetto di lunga serialità.

Fare di un antieroe il protagonista di un fumetto è una scelta desueta, ardua perfino. Da cosa nasce questa idea?

Dalla mia attrazione per i cattivi delle storie.
Quando da bambino guardavo i grandi classici di Walt Disney, non avevo occhi che per i pittoreschi cattivi che rendevano la vita degli eroi un inferno. Nel momento in cui davano il peggio di sé, sembrava che l’intero mondo finisse per andare in pezzi ed era una cosa che mi affascinava molto. E poi c’era la follia che, negli attimi finali, i loro occhi trasmettevano.
Arrivai così ai meravigliosi film di Tim Burton, i primi due della serie di Batman e mi ricongiunsi col Joker e col Pinguino che, fino ad allora, avevo poco approfondito.
Dai film passai ai fumetti e la mia passione subì un’evoluzione: dai cattivi ai supercattivi! Uomini comuni che, guidati dall’odio e accecati dalla follia, indossavano stravaganti costumi e seminavano il terrore nella società perbene… Proprio quello che Mister Villain sogna di fare nel primo volume.

Da sempre prediligi il genere umoristico nei tuoi fumetti, ma come si concilia la complessità dei personaggi con la nota umoristica che pervade le tue storie?

L’umorismo è una maschera. Una persona che sa far ridere non è necessariamente una persona poco profonda, anzi; quasi sempre ha una mente e un’anima molto complesse ed è questa la chiave di lettura dei miei lavori. I personaggi spesso hanno trascorsi infelici che li condizionano a vita, ma anche il più triste degli uomini ha i suoi momenti “leggeri”.
In Mister Villain ci sono persone appesantite dall’esistenza che vivono nel rancore, ma interagendo tra loro finiscono per fare battute, commettere sciocchezze o reagire eccessivamente a delle inezie, perché si sentono perseguitati dalla vita e vivono tutto come un castigo perenne. Questo li rende paranoici e maniacali e ogni buon umorista sa come rendere un maniaco divertente, come prenderlo in giro. Io faccio questo.

Quali sono gli autori su cui ti sei formato e cosa hai ‘rubato’ da ciascuno di loro?

La mia passione per il disegno e il fumetto nasce dalla Tv e non dagli albi a fumetti. Quindi i miei primi ‘miti’ sono stati Akira Toriyama (che oggi ripudio), creatore di Dragon Ball e Matt Groening, la mente geniale che sta dietro lo show The Simpsons; a loro si sono accodati successivamente Eiichirō Oda (One Piece) e Gosho Aoyama (Detective Conan). Da loro, ovviamente, ho rubato alcuni tratti caratteristici del segno grafico (anche se, in realtà, non erano certo gli autori originali a disegnare gli episodi in TV) e la concezione assurda del mondo che solo simili opere possono trasmetterti, un mondo privo di limiti, com’è quello della fantasia.
Contemporaneamente ho iniziato ad apprezzare Silver, l’autore vivente italiano che continuo a preferire a tutti ancor oggi, che con i suoi albi di Lupo Alberto e Cattivik mi hanno svelato il vero mondo dei fumetti.
In quel frangente ho conosciuto tutti gli altri autori che ancora oggi mi influenzano fortemente, primi tra tutti Schulz, il Genio per antonomasia, e Jacovitti.
Poi, come già detto, mi sono avvicinato al mondo dei fumetti supereroistici, rimanendo affascinato da Batman.
Un repertorio abbastanza variegato, insomma, da cui ho attinto molte cose, tutte diverse tra loro, arrivando ad avere una visione finale del fumetto abbastanza personale.

Il perno delle vicenda che si snoda tra il secondo e il terzo albo della mini-saga della Clinica Espidos è quello della diversità…

Siamo tutti diversi, ma ci sono forme di diversità verso cui si opera una discriminazione davvero pesante. Quando non ti senti come gli altri e resti spettatore della loro felicità, puoi reagire in due modi: te la prendi con te stesso o te la prendi con il resto del mondo.
Se nella realtà il diverso è costretto a starsene in disparte perché è in minoranza, nei fumetti può contare su due cose: un mondo bizzarro in cui tutto può accadere e un autore che lo ‘aiuta’ nelle sue folli trovate. E così la storia si ritrova imperniata sulle sue manìe e sul suo rancore, come se non esistesse altro in quel frangente e finisci per ritrovarti coinvolto anche tu, da lettore.
Per chi viene discriminato non esiste altro all’infuori del mondo che lo respinge, la vita assume delle tinte completamente differenti da quelle consuete e ognuno di quelli che si trova all’esterno del mondo che il ‘diverso’ vive può aiutarlo a venirne fuori, può introdurre un po’ di serenità nella desolazione. Perché giudicare è sempre troppo facile, salvo poi appassionarsi ai temi quando ci sono presentati sotto un’altra veste.
Nella saga dell’Espidos è esattamente così e sono certo che da qualche parte nel mondo esiste un corrispettivo reale di Jennifer McOld (vera protagonista di questa storia) che vive una situazione analoga, nella stessa angoscia e tristezza, immersa nella cosiddetta ‘società civile’.

Vorrei che mi confermassi quanto è facile sospettare leggendoti; ossia che le tue storie a fumetti sono disseminate di indizi utili allo scioglimento della vicenda, a ricordare lo stile di autori a te particolarmente cari, come Agatha Christie, Edgar Allan Poe e J.K. Rowling.

La letteratura mi ha aiutato molto dal punto di vista della sceneggiatura. Quando leggo un libro ragiono sempre sui personaggi e sugli intrecci e cerco di risalire alle motivazioni che possono aver portato l’autore o l’autrice a sistemare le cose in quel particolare modo.
Christie e J.K. Rowling hanno stimolato le mie ‘celluline grigie’ e mi hanno fatto capire che una mente può guidare un’altra a pensare ciò che vuole che pensi, camuffando certi elementi importanti anziché ometterli. Così facendo rendi il lettore partecipe sul finale della storia, perché è come se gli dicessi «le cose stanno così, se avessi prestato più attenzione ci saresti arrivato da solo». In realtà sai che non è così, perché lui ha solo guardato dove tu volevi che guardasse.
E poi ci sono Poe e Doyle, due maestri della letteratura grottesca, due signori della paura. Da loro ho imparato che non si può creare la paura, perché essa risiede già nella mente dell’uomo, ma la si può stimolare, decifrandone i codici. Nel caso dell’essere umano, paura è tutto ciò che sfugge al razionale controllo e alla conoscenza, come la morte. La paura, d’altronde, è anche l’artefice di tutti i mali del mondo, dalla già citata discriminazione alle guerre, ma è qualcosa con cui tutti, almeno una volta, proviamo a confrontarci. È un’emozione forte e ogni autore sogna di provocare, in chi fruisce la sua opera, delle emozioni forti.

È inevitabile pensare al fumetto come a una vera e propria letteratura per immagini, definizione sdoganata da tempo, ma che per qualcuno sembra ancora difficile da accettare.

Il fumetto, a differenza di un libro, cela allegorie su più strati e gli stolti tendono a non superare nemmeno il primo di questi. Un fumetto profondo e ricco di esistenzialismo come i Peanuts di Schulz viene talvolta snobbato perché mascherato da striscia umoristica, ma è ricco di battute sottili, che spesso inducono più alla riflessione che al sorriso. Il lettore superficiale lo approccia con l’intenzione di farsi quattro risate e quando vede che le battute non sono immediate ed esilaranti lo getta da una parte e lo bolla come sciocco. Con un libro avrebbe sicuramente un approccio diverso (se mai decidesse di averne uno) perché la forma è differente, non ci sono disegnini e il concetto stesso di libro è legato all’idea di cultura e intellettualità.
In realtà il fumetto merita eccome la definizione di letteratura perché è in grado di trasmettere idee e messaggi tanto profondi quanto quelli di qualunque altro medium. E non immaginate il lavoraccio che richiede farne uno! Ve lo dice uno che, probabilmente, ne ha solo una vaga idea.

Non ti definisci un emergente, ma un dilettante, anche a causa del fatto di non aver frequentato scuole di fumetto ed essere un autodidatta. Credi in Italia ci sia spazio per i fumettisti che non abbiano alle spalle una formazione ‘canonica’? E, soprattutto, il fumetto umoristico ha ancora delle chance, o il caso Leo Ortolani può essere considerato unico nel suo genere?

Mi sono sentito dire da molti editori che l’umoristico non vende. Pare che ora vadano di moda le graphic novels, quasi che la gente amasse prendersi così sul serio. Io penso che fare umorismo sia forse più difficile che realizzare una storia realistica (anche se per me è sempre stato il contrario!) e basta un ‘non fa ridere’ per demolire un’intera opera che invece è nata unicamente per suscitare divertimento. Poi è anche una questione di moda, come tutte le cose!
Io non so se c’è spazio per chi, come me, non ha una formazione accademica del fumetto, ma ho sempre pensato che il collante di ogni cosa debba essere la passione, e non lo dico perché ‘fa figo’.
Senza la passione non mi sarei messo a sfogliare quei fumetti e a divorare quei testi prima di andare a dormire; non avrei stracciato tonnellate di miei disegni per poi sedermi dopo cinque minuti nuovamente al tavolo da disegno e riprovarci, né mi sarei fatto venire dei mal di testa epici per riuscire a capire dove sbagliavo e perché mai se una cosa la vedevo disegnata da Silver mi faceva impazzire e se la vedevo disegnata da me mi abbatteva mortalmente.
Mi rendo conto del fatto che anche l’occhio vuole la sua parte e che molte cose non si possono portare avanti solo con la volontà, specie quando ci sono in ballo degli investitori. Ma ritengo altresì che, prima di scartare un autore o un disegnatore dopo aver finto di dare un’occhiata ai suoi disegni, bisogna dare uno sguardo anche a lui e capire se la persona ha la voglia di farcela nonostante i limiti che ha (che non sempre dipendono da lui) e provare a dargli una chance. Spesso il pubblico è meno crudele di chi si erge a suo portavoce e pretende di interpretarne i gusti.

Lacrime di ghiaccio chiude una prima mini saga e stai già lavorando al prossimo albo della serie. A parte qualche doverosa anticipazione (per chi ti legge e per quanti ancora non lo fanno e vogliono essere invogliati a rimediare), puoi dirci se stai lavorando ad altro in questo periodo?

A parte la collaborazione mensile con «l’altra Molfetta», sto lavorando al quarto volume della saga, cercando di non farmi incastrare con altri lavori collaterali. Sto per riprendere gli studi dopo la pausa post-laurea di primo livello e quelli si riveleranno già abbastanza totalizzanti per me e dovrò cercare di far sopravvivere Mister Villain nel frattempo!
Come anticipazione, posso solo dire che l’emarginazione sarà di nuovo al centro della trama, stavolta condita con una massiccia dose di rabbia che farà esplodere sulla scena un nuovo, travolgente personaggio. E che si tratta, anche stavolta, solo della prima parte di una seconda mini-saga in due albi. Sulla pagina Facebook del fumetto sto facendo promozione con una vignetta a settimana tratta dalla nuova storia e con un video teaser.
Intanto mi dedico alla presentazione del terzo volume, che sta piacendo parecchio.
Chi non ha ancora cominciato a leggere è sempre in tempo per rimediare!

Un’ultima dichiarazione per gli amici di Temperamente!

Leggete i fumetti con la stessa passione con cui leggete i libri, perché ne meritano tanta e forse anche di più. E se avete intenzione di approcciarvi a questo mondo, ho un titolo da suggerirvi che non vi lascerà delusi: Mister Villain, di un certo Sal Modugno. Lui lo conosco ed è un idiota, ma i suoi lavori non sono male!

Grazie a Salvatore Modugno per questa lunga chiacchierata, in cui non sono mancate ironia, cinismo e una buona dose di spunti di riflessione sul mondo del fumetto e non solo. Alla prossima avventura di Mister Villain!


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