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Intervista di Giulio Bonanno a Elisa Farina per “Artetremila”

Creato il 01 maggio 2014 da Marili @marielisamuglia

Come è nata la Sua passione per il teatro?

La passione per il teatro inizia molto presto. Da bambina ero affascinata dalla danza e dal teatro, inteso come luogo fisico.  Fino a 17 anni ho studiato danza classica, poi purtroppo ho dovuto smettere. Quindi ho iniziato proprio piccola piccola a sentirne il fascino e a voler respirare la polvere del palcoscenico, pur se con una disciplina differente

Qual è stata la scintilla che l’ha condotta ad intraprendere la carriera di regista e autore teatrale?

E‘ stato quasi un caso. Avevo scritto un romanzo breve, più per passione che per altro visto che dovevo ancora terminare gli studi, e un amico che lavorava in teatro notò che avevo un modo di scrivere che ben si adattava alla scena. Decisi di mettermi alla prova iscrivendomi alla scuola di recitazione Teates di Michele Perriera, nel corso di regia tearale. E durante quel percorso, effettivamente, vennero fuori cose di me che io stessa sconoscevo.

 Quale difficoltà ha incontrato durante il suo percorso artistico?

 Sembra assurdo da dire ma soprattutto all’inizio ho trovato difficoltà per il fatto di essere una donna e per di più giovane. Parliamo di sedici anni fa. Non è stato semplicissimo. Attori che avevano già lavorato non si fidavano ed era complicato farsi seguire. Poi mano a mano lo scoglio è stato superato. Anche se devo ammettere che anche oggi a volte noto una certa diffidenza iniziale rispetto ad un metodo teatrale che non è proprio diffusissimo, ma che è assolutamente personale

Ha dovuto aspettare molto per mettere in scena, in qualità di regista,  il suo primo lavoro teatrale?

Con la caparbietà che mi contraddistingue devo dire di essere stata abbastanza fortunata da questo punto di vista. Sono riuscita a mettere in scena il mio primo lavoro già durante il percorso formativo e prima di concluderlo ho addirittura debuttato con un testo mio „Sax Love“. Ho scoperto successivamente il Wooster Group di New York e le teorie scechneriane del „performance-text“, riconoscendo in esse molto dello stile personale che stavo elaborando. La multi-discipliniarietà è stata la base di un teatro che mira ad essere anche multi-sensoriale.

 Ha riscontrato difficoltà a reperire spazi idonei per l’allestimento delle rappresentazioni teatrali?

Il problema degli spazi è un problema veramente serio. Non che manchino, anzi. Ma sono purtroppo gestiti in maniera proibitiva per chi vuole accedere alla possibilità di tenere uno spettacolo in scena per un lasso di tempo ragionevole. I grand teatri stabili fanno circuito e sono assolutamente irraggiungibili se non per vie traverse. Gli altri non hanno quasi mai una direzione artistica che voglia osare e dare spazio a proposte teatrali alternative. A Roma poi, vige l’abitudine dell’affitto delle sale teatrali.  Una assurdità per chi lavora da professionista in questo settore

Che tipo di riscontro ha ottenuto dalle amministrazioni locali?

Devo dire che nonostante le lungaggini tipiche della burocrazia, le amministrazioni locali si sono mostrate spesso aperte alla nuova proposta di un teatro che non è, diciamo, classico. Ho lavorato e lavoro molto con la P.A. su progetto, ovviamente, anche perché sono fontamentalemte convinta che è nella progettualità che ci si può proporre sperando di ottenere risultati  che portino poi ad una abitudine verso questo stile teatrale

Cosa ritiene più importante nel suo lavoro sia di regista che di autrice?

Lo stile. Credo che la cosa più importante sia aver trovato uno stile personale. Come ho già detto prima credo che ogni artista ambisca alla elaborazione di un proprio stile, una sorta di riconoscibilità del proprio lavoro. Si ottiene naturalmente e anche con tanta fatica e mettendosi continuamente in discussione, fino a trovare un linea, un terreno sul quale muoversi agevolmente e che permetta di comunicare in maniera semplice ma efficace

Cosa pensa del mondo teatrale e cinematografico contemporaneo?

Penso che ci siano diversi fermenti positivi, più all’estero a dire il vero che in Italia. Noi siamo affezionati al passato. Ci apriamo alle nuove tendenze con difficoltà. C’è poca voglia di rischiare in cultura. Poco spirito imprenditoriale. I fondi pubblici sono sempre più miseri e nel privato non si riesce a fare un salto di qualità. C’è è vero poca gente che va a teatro. Ma credo che sia anche colpa delle proposte. In fondo non c’è da meravigliarsi che il pubblico si allontani dalle sale teatrali se comunque ciò che si vede è la stessa cosa da decenni.

Ha un progetto nel cassetto? Può regalarcene un’anteprima?

Progetti tanti. Non mi fermo mai. Penso ad uno spettacolo e non l‘ ho ancora finito che già si affaccia un’altra idea. Diciamo che nell’immediato porterò a termine alcuni lavori con le scuole e con gli anziani. Per le scuole continuo con i bravissimi artisti che lavorano con me a promuovere e realizzare un progetto che vuole educare i ragazzi alla lirica.Con gli anziani invece proseguiamo il lavoro di recupero della memoria personale per ridisegnare la storia, quartiere per quartiere, di una Roma sparita.

Inoltre stiamo lavorando alla messa in scena di uno dei musical più amati „West side story“ ma in chiave di performance test. Insomma tante cose da fare, non ultimo un progetto della CEE di formazione artistica permanente in collaborazione con prestigiosi partner europei: artisti di sette paesi insieme per uno scambio di esperienze e di percorsi formativi.

Cosa le piace di più?

La verità. Sembra banale, ma nella vita come in teatro, il „VERO“ è fondamentale per capire, per rapportarsi all’esterno, per comunicare. La verità è gesto e parola. Ma anche immobilità e silenzio.

 Cosa non le piace?

L’arrivismo. Anche qui, nella vita come in teatro, l’arrivismo è ciò che più distrugge ogni possibilità vera di comunicazione, di collaborazione e di creazione. Crea rapporti falsi sulla scena come nella vita. E soprattutto non permette di assaporare il momento.

 C’è un motto, una frase o un aforisma che potrebbe caratterizzarla?

Niente è impossibile. E‘ ciò che ha caratterizzato sempre il mio modo di fare e di essere. Gli ostacoli sono fatti per essere superati. Poi sicuramente c’è una frase he ho preso in prestito da una grande donna a cui ho voluto tanto bene e che mi ha sorretto e sostenuto nella fase dell’adolescenza, quando persi i miei genitori e mi trovai ad affrontare tutto da sola. Zia Lina (questo il suo nome) mi ripeteva spesso „Ogni impedimento è giovamento“ e questa  frase che mi ha accompagnata e mi accompagna sempre. Per questo voglio ricordarla anche qui: zia Lina è stata la mia forza quando senza alcun punto di riferimento avrei potuto intraprendere qualsiasi strada, o anche nessuna. E‘ uno di quegli incontri fortunati che cambiano la vita.

 Quale commedia ha visto recentemente che le è piaciuta di più?

Questa è una bella domanda. Purtroppo faccio parte di quel pubblico che si è allontanato dalle sale teatrali. Mi annoio fortemente. Vado a volte, ma devo ammettere che difficilmente supero indenne i primi venti minuti. Non so se sia deformazione professionale. E per non far torto a nessuno preferisco comunque  evitare qualsiasi titolo.

 Quale è  il suo film preferito?

Amo il genere fantasy, i film d’animazione, i vecchi film francesi. Non c’è un titolo sugli altri, diciamo che il mio film preferito risente tanto dell’umore del momento. In generale, comunque, se ho voglia di vedere un film, sono quelli i bacini dove vado a pescare. E se proprio voglio farmi due risate adoro il genere demenziale. Se risate devono essere che lo siano davvero…

Ha mai pensato di dirigere un film?

Diciamo che ci ho pensato anche perché è difficile non cedere al fascino di una storia cinematografica. Ma non ho mai percorso fino in fondo la strada. Però non ci ho mai tentato veramente. Il teatro mi emoziona talmente che riesce perfettamente a compensare il mio bisogno di raccontare.

Se sì, quale genere preferirebbe dirigere?

Mi piace molto il cinema francese. Mi è sempre piaciuto il modo di raccontare, la particolare fotografia, la sensibilità nel curare storie ed emozioni. Un pò lento, forse, per i ritmi da film americano ai quali ci siamo abituati, ma molto più vicino al teatro. Recentemente poi ho scoperto il cinema dei paesi del nord e lo trovo affascinante. Più crudo sicuramente del cinema francese, e si evince anche dal tipo di fotografia molto più „glaciale“, ma egualmente attento ai percosi emotivi dell’essere umano. Credo che se dovessi dirigere un film opterei per una cinematografia di questo tipo, anche se il mio sogno nel cassetto è da sempre realizzare un film fantasy sulla vita di Merlino, prima che diventasse il mago di Camelot. Sono racconti affascinanti e carichi di mistero e di magia. Mi piacerebbe realizzare un film su queste storie della mitologia celtica.

Cosa reputa fondamentale nella sua vita? 

Sicuramente ciò che segna la mia vita al di sopra di tutto è l’emotività. Emotività intesa come grande motore per tutto ciò che faccio. Non riesco a fare cose di cui non mi innamoro. E non riesco a lavorare con persone che non stimolano la mia emotività. E‘ una sorta di empatia che si crea, una comunicazione a un livello più profondo. Certo, è anche vero che una emotività tanto esagerata non è sempre positiva. Sono istintiva infatti. E passionale nella vita come nel lavoro. Sono soggetta a grandi incazzature e a grandi entusiasmi. Per fortuna poi c’è una parte logica di me che mi fa perseverare e aggiunge costanza e tenacia alla passione.

(Giulio Bonanno)

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