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Invariabile elettromagnetismo. Parola di quasar!

Creato il 10 settembre 2014 da Media Inaf
L'immagine mostra schematicamente il percorso della radiazione emessa dal quasar HS 1549+1919 circa 11,5 miliardi di anni fa e il suo incontro con le tre galassie prima di raggiungere la Terra. A rivelarla, alcuni tra i più potenti telescopi ottici oggi operativi: VLT,  Keck e Subaru. In al a sinistra, gli spettri ottenuti scomponendo la radiazione del quasar. Crediti: Swinburne Astronomy Productions

L’immagine mostra schematicamente il percorso (non in scala) della radiazione emessa dal quasar HS 1549+1919 circa 11,5 miliardi di anni fa e il suo incontro con tre galassie, prima di raggiungere la Terra. A rivelarla, alcuni tra i più potenti telescopi ottici oggi operativi: VLT, Keck e Subaru. In alto a sinistra, gli spettri da loro prodotti scomponendo la radiazione del quasar. Crediti: Swinburne Astronomy Productions

Le leggi dell’universo si basano su quattro forze fondamentali: la gravitazione, l’elettromagnetismo, la forza nucleare forte e quella debole. Quattro pilastri su cui si è formato ed evolve il cosmo. Un punto altrettanto fondamentale per i cosmologi è conoscere con precisione se queste forze siano le stesse in ogni angolo dell’universo e, soprattutto, siano rimaste immutate nel corso del tempo. Una loro variazione, anche minima, non avrebbe delle profonde conseguenze sulla composizione e sulla struttura della materia (e, conseguentemente, sull’evoluzione del nostro universo) ma potrebbe rivelare il campo che è all’origine della sua accelerazione. L’ultimo lavoro di un team di astronomi guidato da Tyler Evans, dottorando della Swimburne University of Technology in Australia e a cui ha partecipato Paolo Molaro, dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste, fornisce una importante risposta a questa domanda, riguardo la forza elettromagnetica: gli accuratissimi risultati del loro ultimo lavoro certificano infatti che è rimasta inalterata, entro una incertezza di solo qualche parte per milione, nel corso degli ultimi 10 miliardi di anni.

Per raggiungere questo risultato, i ricercatori hanno osservato la radiazione proveniente dal quasar HS 1549+1919, ovvero un buco nero supermassiccio, distante ben 11,5 miliardi di anni luce, con tre dei più potenti telescopi ottici oggi attivi: il Very Large Telescope dell’ESO nel deserto di Atacama in Cile insieme ai telescopi Keck e Subaru, entrambi alle isole Hawaii.

La luce del quasar,  nel suo lungo cammino verso la Terra, ha attraversato tre diverse galassie circa 10, 9 e 8 miliardi di anni fa. Durante questi transiti il gas presente nelle galassie ha interagito con la luce del quasar, lasciando di volta in volta la sua ‘impronta’ la cui analisi rivela informazioni preziose sulla struttura degli atomi che lo componevano. Struttura atomica che è intimamente legata  alla forza dell’elettromagnetismo – ovvero la principale responsabile delle dimensioni degli atomi– in quella precisa epoca e in quel preciso luogo dell’Universo.

«Abbiamo disperso  la flebile luce del quasar  il più possibile, scomponendola nei  suoi elementi per osservare i minimi dettagli.  Lo spettro presenta un insieme di righe in assorbimento che come un  `codice a barre ‘  illustra i livelli di energia nei vari atomi e quindi la loro struttura atomica» dice Tyler Evans, studente di  dottorato della Swinburne University of Technology e  primo autore  dello  studio pubblicato online sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. «Dalla `lettura’ di questo codice a barre è possibile   misurare l’intensità della  forza dell’elettromagnetismo.Gli effetti sono talmente piccoli  che abbiamo bisogno di confrontare i modelli di codici a barre rivelati da tre telescopi differenti per essere sicuri che quello che osserviamo sia assolutamente vero».

Studi precedenti, utilizzando un gran numero di quasar, avevano trovato qualche indicazione che  l’elettromagnetismo potrebbe essere stato diverso in diverse zone dell’Universo lontano – leggermente più debole o leggermente più forte che sulla Terra. «Un risultato veramente sorprendente che, se  fosse confermato, avrebbe  bisogno di una nuova comprensione della fisica fondamentale e probabilmente implicherebbe che  le costanti universali da cui dipende il mondo come lo conosciamo possono assumere valori diversi in diverse regioni di questo universo e quindi, chissà, anche altri valori in altri universi» commenta Paolo Molaro, dell’Osservatorio Astronomico di Trieste-INAF e co-autore dello studio.  «Dato che  risultati eccezionali richiedono  evidenze eccezionali  abbiamo pensato di triplicare le verifiche e usare tre diversi telescopi per verificare se e come non siano gli strumenti di questi  telescopi che non stiano distorcendo i codici a barre degli atomi e  non un cambio della forza elettromagnetica».

Infatti confrontando i dati  registrati dai tre strumenti, i ricercatori hanno trovato piccole differenze tra i telescopi.  «La bellezza del nostro metodo è che possiamo anche usare i codici a barre stessi per correggere ogni telescopio con precisione», aggiunge Michael Murphy, Professore Associato alla Swinburne, co-autore dell’articolo e supervisore di Tyler Evans. «Una volta corretti, tutti e tre i telescopi hanno dato la stessa risposta: l’elettromagnetismo non è cambiato,  almeno non più di  poche parti per milione in un periodo di oltre 10 miliardi di anni. Penso che questa sia la misura più affidabile del suo genere finora realizzata».

Il team sta ora conducendo nuove accurate misurazioni, con un metodo analogo, in molte altre galassie. «Con le nostre nuove tecniche e le nuove osservazioni recentemente completate, possiamo fare il controllo più accurato e   vedere se la forza dell’ elettromagnetismo davvero stia cambiando o no», conclude Molaro, che è coordinatore del Large Program ESO The UVES large program for testing fundamental physics nell’ambito del quale è stato realizzato lo studio, parte del lavoro della tesi di  dottorato di Tyler Evans, frutto anche dell’accordo di collaborazione della  Swinburne University con Caltech (USA) per accedere ai telescopi Keck nelle Hawaii.

 

Per saperne di più:

  • l’articolo The UVES Large Program for testing fundamental physics – III. Constraints on the fine-structure constant from 3 telescopes di T. M. Evans et al. pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani


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