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Invecchiamento: gli anziani sono meno intelligenti dei giovani?

Da Mariagraziapsi

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Nell’immaginario comune l’invecchiamento è considerato un momento negativo della vita. Le prestazioni si riducono, deficit di varia natura insorgono, numerosi problemi di salute e di isolamento sociale si presentano e anche l’intelligenza sembra diminuire. Nonostante la vecchiaia sia caratterizzata anche da aspetti positivi come la saggezza e la maturità emozionale, spesso gli anziani vengono considerati “meno intelligenti”. Ma è vero?

Gli studi effettuati a tal proposito hanno valutato l’intelligenza attraverso l’approccio psicometrico. Al riguardo, possiamo individuare due tipologie di test:

  • i test uni-fattoriali che si appellano alla concezione secondo cui l’intelligenza sia determinata da un solo fattore (fattore G), che rilevano una totale diminuzione delle facoltà intellettive in rapporto all’età. Ne è un esempio il Test delle Matrici Progressive di Raven (1938);
  • test multifattoriali come la WAIS-IV, Wechsler Adult Intelligence Scale (2008), che fanno riferimento ad un approccio che considera l’intelligenza come composta da un insieme di abilità cognitive distinte, che confermano che non tutte le capacità cognitive sono affette dal invecchiamento e che, soprattutto, vi sono delle differenze personali che caratterizzano ciascun individuo.

Alla luce di questi studi che utilizzano i risultati ai test multifattoriali è possibile affermare che gli anziani non sono meno intelligenti; semplicemente, essi subiscono una diminuzione di alcune performance cognitive. Ci sono delle funzioni cognitive che declinano prima di altre e la memoria è sicuramente quella più colpita: sia la memoria di lavoro, sia, ed in particolare, la memoria episodica. Essa permette di trasformare in tracce mnestiche gli episodi o gli avvenimenti personalmente vissuti e collocati in un contesto temporale e spaziale preciso.

Attraverso il Test di Grober & Buschke (1987) è possibile valutare la memoria episodica, distinguendo la perdita di memoria normale da quella causata da malattie come l’Alzheimer. Nel primo caso, pur mantenendo un buon processo di codifica, presentano delle difficoltà nel recupero spontaneo e necessitano un indizio che aiuti a ricordare. Le persone affette dall’Alzheimer, invece, presentano sia un processo di codifica che di recupero deficitario e non traggono beneficio nemmeno se aiutati da un indizio.

Quindi, nell’invecchiamento normale i processi di immagazzinamento dell’informazione sono risparmiati e questo conferma il fatto che la memoria non deteriora completamente con l’età. Il linguaggio, invece, è reputato essere una funzione cognitiva poco sensibile all’invecchiamento, nonostante spesso gli anziani si lamentino di “avere la parola sulla punta della lingua”. Questo fenomeno, dal punto di vista cognitivo, è spiegato come problema di accesso al magazzino lessicale, non come degrado della produzione linguistica, ovvero come incapacità di recuperare la “parola giusta”, nonostante sia ben immagazzinata in memoria.

Anche le funzioni esecutive, funzioni corticali superiori deputate al controllo e alla pianificazione del comportamento che facilitano l’adattamento del soggetto alle situazioni nuove, sono colpite dall’invecchiamento. Ad esempio la capacità inibitoria, con conseguente incapacità di selezione delle informazioni pertinenti, la pianificazione e la flessibilità cognitiva. Il funzionamento cognitivo generale è valutato dal Mini Mental State Examination (MMSE) di Folstein (1975), attraverso il quale è possibile verificare la presenza di Alzheimer e lo stadio di severità.

Da un punto di vista comportamentale, invece, si verifica un rallentamento della velocità di trattamento dell’informazione, con conseguente rallentamento dell’esecuzione di operazioni mentali e cognitive: ad esempio, associare un numero ad un simbolo, riconoscere l’uguaglianza tra due serie di lettere o completare compiti che richiedono un ragionamento induttivo.

Anche l’attenzione e le sue componenti sono affette da declino, in particolare l’attenzione selettiva (capacità di selezionare solo alcune delle informazioni che giungono ai nostri organi di senso), l’attenzione condivisa (saper trattare diverse informazioni contemporaneamente) e l’attenzione sostenuta (saper mantenere un livello di concentrazione costante su un compito).

Il declino a livello cognitivo è legato al cambiamento che si verifica nel sistema nervoso: diminuisce la massa del cervello e il numero dei neuroni con perdita dell’efficacia dei contatti sinaptici, e diminuisce anche la concentrazione dei neurotrasmettitori, soprattutto della dopamina. È bene precisare che, sebbene a livello cerebrale vi siano delle modifiche importanti, non tutte le funzioni cognitive declinano, non tutte in maniera incisiva e non in tutte le persone con la stessa intensità.

Un buon funzionamento cognitivo può diminuire gli effetti negativi; esso dipende dall’integrità del cervello che, grazie alla sua plasticità cerebrale (capacità del cervello di modificarsi nella struttura e nelle funzioni) si evolve per tutta la durata della vita riorganizzandosi in funzione degli stimoli che riceve.

Di conseguenza, attraverso un buon allenamento cognitivo che include attività manuali e intellettuali, laboratori di stimolazione cognitiva, nonché uno stile di vita caratterizzato da interessi e passioni, è possibile mantenere un buon livello cognitivo che risparmi il totale declino delle performance. Infatti, gli studi confermano che le persone anziane traggono beneficio dalla continua stimolazione cognitiva, che esse possiedono un potenziale apprendimento latente e che la plasticità cerebrale persiste nonostante l’età.

Molte sono le strategie adattive che gli anziani mettono in atto per fare fronte agli effetti negativi dell’invecchiamento. Studi di Neuroimaging hanno dimostrato che, per realizzare compiti complessi, gli anziani attivano zone cerebrali supplementari: secondo il Modello Harold (Hemispheric asymmetry reduction in older adults) di Cabeza, per assicurare il mantenimento delle loro abilità cognitive, le persone anziane fanno appello a risorse neuronali distribuite sui due emisferi cerebrali, quando, invece, i giovani utilizzerebbero un solo emisfero.

In conclusione, l’invecchiamento non rappresenta solo la fase della vita connotata dal declino. Molte sono le funzioni cognitive risparmiate e in grado di rispondere a stimoli in maniera adeguata e molte sono le funzioni cognitive che possono essere utilizzate in maniera differente per arginare i segni del tempo. Gli anziani non sono “meno intelligenti” dei giovani: essi mettono in atto strategie cognitive diverse, ma per questo non meno performative.

Cristiana De Porcellinis

Bibliografia:

Van der Linden M., Hupet M., Le vieillissement cognitif, Paris, PUF, 1994

Lemaire P., Bherer L., Psychologie du vieillissement, une perspective cognitive, Edition de Boeck Collection, 2005



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