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Io, loro e il cibo. Storia di un incontro (insperato).

Da Chiaragoli
Torno adesso dalla visita di crescita del Piccolissimo, apro il pc e leggo che il tema del mese di Genitoricrescono tratta quello che per molto tempo è stato il mio 'tallone d'Achille': il cibo.
Parto dicendo che Peppo è 9,5 kg  per poco meno di 21 mesi. Abbiamo preso 600 gr. dopo l'ultimo inspiegabile blocco del peso e siamo risaliti sopra la temuta linea rossa del 3° centile, che per noi è grasso che cola (nel vero senso della parola).
Direte "va beh, dei due fratelli c'è sempre quello che mangia meno/cresce meno" e io vi rispondo "ahahahahahahahahahaha, ahahaha. Ah".
Quando dico che sono 'quasigemelli' non è per modo di dire.
Il Piccolo, che ha 33 mesi, tocca a malapena gli 11 kg stecchiti. Ah, ed entrambi sono intolleranti al lattosio, una chicca immancabile.
In questi primi (quasi) tre anni da mamma non solo mi sono dovuta sorbire tutte le mie insicurezze (cosa hanno, cosa non hanno, mangiano poco, mangiano male, cosa gli faccio, etc....dove la più bella è "gli darò abbastanza da mangiare?") ma anche la pressione degli altri, di TUTTI gli altri (o quasi), bravissimi a mettere in dubbio il tuo istinto materno che piano piano soffoca sotto consigli improbabili, che sai che con i tuoi figli non c'entrano niente.
Per me, che per la maggior parte dei pasti sono da sola con loro, il momento del pranzo (e della cena) era diventato un incubo, e non esagero. Le mamme di figli inappetenti sanno benissimo di cosa parlo.
C'è stato un periodo in cui il Piccolo metteva i canini e non mangiava un piffero, mentre cercavo di svezzare il Piccolissimo, un tettomane doc. Era talmente tanta l'ansia di fronte al loro essere scriccioli che l'imperativo era diventato "devono mangiare a tutti i costi" mentre io, dal nervoso, non mangiavo niente.              
Evidentemente c'era qualcosa di sbagliato, ma cosa? La mia preoccupazione? La loro disappetenza? Poi ho capito.
Un giorno, stremata, ho detto "Non volete mangiare? Macchissenefrega! Non mangiate, non morirete di fame!", reazione di pancia, certo, ma in fin dei conti è vero; loro, figli del benestare, sono praticamente circondati dal cibo, appena hanno fame basta chiedere; senza contare il basilare istinto di sopravvivenza, un bambino 'sano' non si lascerebbe mai morire di fame. Infatti.....
Un bel giorno, spuntati tutti denti e avviato lo svezzamento, i Quasigemelli hanno ripreso a mangiare, senza minacce o pressioni di alcun tipo, spontaneamente. E' stata una cosa talmente naturale che me ne sono accorta solo dopo un po', mi sono accorta che pensando a pranzo e cena con loro non mi veniva  più l'ansia. 
Io, loro e il cibo. Storia di un incontro (insperato).
Adesso mangiano tutto e di tutto, e volentieri. Non sempre, ma non sono macchinette. Continuano a essere funamboli su quella linea rossa del 3° centile, ma non lo vivo più come un problema e loro, di sicuro, meno di me; la loro costituzione è questa, che mangino o no, non ingrassano, e dopotutto cosa pretendo, se penso che mio marito e io facciamo 103 kg in due......
Quindi la morale della favola è 'bisogna fregarsene'? del tipo 'ognun per sè, Dio per tutti'? Non proprio, ma sicuramente il nocciolo della questione era, senza dubbio, il mio approccio.
Personalmente aver detto 'macchisenefrega' è stato l'inizio di quel distacco che per me era necessario per uscire dal tunnel del 'dovete mangiare a tutti costi' e capire che l'approccio del mangiare come dovere era totalmente sballato.
Non credo di dovere insegnare ai miei figli l'istinto a nutrirsi, di mangiare la quantità che secondo me è necessaria per sopravvivere, quello ce l'hanno da sé e si chiama principio di autoregolazione. Questa cosa di loro la impariamo con l'allattamento, ma poi, chissà perché, la dimentichiamo una volta messi di fronte al cibo da grandi. Chiaro che gli do sempre un tot di pasta, carne, verdure etc....a volte ne mangiano più, a volte meno, a volte niente, ma va bene così. Ho scoperto sulla mia pelle che educarli a mangiare (e non sto parlando di educazione alimentare, in questo sono una frana, andrei avanti a chinese take away ) non significa ripetergli allo sfinimento (loro e nostro) 'bisogna mangiare' perché questo, anche se inconsciamente, lo sanno da soli, è il loro corpo che glielo dice; al contrario, ignorano che mangiare non significa solo nutrirsi.
Ed è qui che, a mio avviso, entra in gioco la parola educazione.
Ho notato che la svolta dell'approccio tra loro (me) e il cibo è avvenuta quando abbiamo iniziato a mangiare tutti insieme, a tavola, stesso orario, stesse pietanze. Ovvero quando abbiamo iniziato a vivere pranzo e cena come un momento di condivisione familiare, il momento in cui babbo (almeno 1 volta al giorno) e mamma stanno con loro e fanno le loro stesse cose, un momento che unisce nello stesso gesto grandi e piccoli, un vero e proprio luogo di incontro della giornata durante la quale ognuno ha le sue.
Ho quindi scoperto, per me in primis, il 'mangiare' non solo come atto ma anche come momento e come luogo, facce della stessa medaglia dalle quale non può prescindere la cosiddetta educazione a mangiare. 

Raccontata così sembra che a casa mia il momento del pasto sia uscito da un mix tra Tata Lucia e Gordon Ramsey con una buona dose di positività alla Mulino Bianco. Per carità, lungi da noi, ve lo assicuro. Lo sclero è sempre in agguato, insieme all'ansia e alla fatica che derivano dal confronto quotidiano tra 2 nani che fanno 20 kg e 5 anni in 2 e il loro approccio alla tavola. L'importante è ricordarmi che  il cibo e il mangiare, se vissuti con la consapevolezza che non significano solo riempirsi la pancia e cavalcare l'onda di una curva di crescita al 90° centile, possono essere un'occasione di crescita (e non solo ponderale) per tutti.
Mamme e papà di bambini inappetenti, compagni di stempio, vi dico solo 'yes we can!' e se vi va di parlarne fatevi avanti :)
Questo post partecipa al blogstorming  

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