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Iron Maiden – The Book Of Souls: l’opinione che non vorrete leggere

Creato il 10 settembre 2015 da Cicciorusso

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Gli Iron Maiden hanno rotto i coglioni. Dai, basta oh. Ma che è? Cioè, ho letto DI TUTTO a proposito di quest’ennesima merdata. Qualcuno scrive che finalmente le tre chitarre hanno imparato a convivere (dopo tipo quindici anni, evvè? Come no), chi addirittura ci sentirebbe echi di Seventh Son o di Somewhere In Time o di sailcazzo. Scusate, ma voialtri esattamente che vi calate? Eh? Oh, dico a voi entusiasti di The Book Of Souls. O se non propriamente entusiasti, comunque almeno parzialmente soddisfatti.
Ma come fate? Come accidenti fate a farvi andare bene qualsiasi puttanata con stampigliato il logo degli Iron Maiden sopra? Questi qui campano di rendita, graziosamente e molto più che dignitosamente, dall’anno di grazia millenovecentonovantadue, ovvero da Fear Of The Dark, un disco pieno di riempitivi ma in ogni caso anni luce distante da quello che avrebbero combinato in seguito, soprattutto dopo la reunion con Bruce Dickinson e Adrian Smith. Vaffanculo loro e il loro stracazzo di aeroplano della minchia. Lo sveglione di turno se ne uscirà immancabilmente con qualcosa tipo che “Brave New World e Dance Of Death però erano bei dischi, si sente l’energia del gruppo e sono tutti i gran spolvero e blablabla” ed invece è proprio un cazzo di niente vero. Affatto. Tra tutti e due, tolti buona parte dei pezzi stracciacoglioni da dieci minuti di cui nove e mezzo di arpeggini alla cazzo di cane, non fanno la metà del citato Fear Of The Dark. Pure The X Factor, al netto della voce di Blaze Bayley – che pure umanamente mi ha sempre suscitato una certa simpatia – era un buon lavoro, con qualche picco di bravura. Ma questi degli ultimi anni, per carità, toglietemeli da davanti.

Quando nelle interviste trovate Steve Harris e Bruce Dickinson che ve la menano con la storia che in studio non hanno usato sovraincisioni o arrangiamenti particolari per rendere il disco il più live possibile sono tutte cazzate. Semplicemente, e molto banalmente, fanno dischi sciatti e poco curati perchè vi venderebbero comunque la peggio merda, lo sanno benissimo, come sanno benissimo che all’ennesimo tour fatto per lo più dai soliti cavalli di battaglia tutti a saltare e sticazzi. Il che mi starebbe pure bene, a patto che non incidano più dischi e che si limitino ad andare in giro per il mondo a suonare una volta ogni due anni. Contenti loro, contenti voi, contento io e contenti tutti.
Invece no. Hanno ancora qualcosa da dire. Secondo loro. O meglio, vendono un botto e quindi DEVONO avere qualcosa da dire. E allora ti ritrovi l’ennesimo disco di merda composto male, suonato peggio ed arrangiato peggio ancora. Adesso: passi per la voce del vecchio Bruce. Insomma s’è preso il papilloma, a detta sua, perché gli piace tanto mangiare la patatina. Beh, che dire: onore a lui. Ci sono modi ben peggiori per ammalarsi ed eventualmente andarsene, mica no. Ma cazzo non cantare, non incidere un disco. Aspetta di ripigliarti. Tanto lo sentirai bene che qualcosa non va, no? Merda, lo sento IO, lo sente chiunque, figurati tu o Steve Harris. Fermati, prenditi un certo periodo di riposo. E indovina un po’? Manco per il cazzo. Così mi ritrovo ‘sto pappone di cd con Bruce sopra che si sforza e si sforza e ad un certo punto mi fa pure tenerezza perché si sente che ci si impegna e non ce la fa. E mi spiace enormemente, che ve lo dico a fare. Come tanti di voi, per non dire tutti, io ci sono cresciuto coi Maiden. Ma non ne posso davvero più di ascoltare robaccia su robaccia su altra robaccia.

Iron Maiden – The Book Of Souls: l’opinione che non vorrete leggere

Dicevamo delle tre chitarre che avrebbero finalmente imparato a convivere. Bene. Cioè, male. Tanto per farvi rendere conto di quanto sia IL MALE quest’affermazione, vi ricordo che da soli Adrian Smith e Dave Murray registravano cose sopraffine tipo l’assolo di Flash Of The Blade, sovraincidendo a più riprese armonie a tre chitarre che poi riarrangiavano per due dal vivo. Adesso con la formazione a tre registrano da cani e dal vivo non hanno manco più bisogno di arrangiare niente, che tanto due su tre suonano facendo il loro dovere, mentre quell’altro fenomeno rinfanciullito di Janick Gers balla la tarantella su un lato del palco per tutto il cazzo di tempo e col pubblico che gli batte le manine. Dopotutto così è pure meglio, non suona troppo. Che poi magari sarà pure il SUO dovere, oramai fa parte dell’iconografia dal vivo degli Iron Maiden come il pupazzo di Eddie che esce a un certo punto. E gli somiglia pure, oltretutto (sembra l’Eddie che spunta fuori dalla tomba sulla copertina di No Prayer For The Dying, fateci caso). Bella roba, che dire.

Iron Maiden – The Book Of Souls: l’opinione che non vorrete leggere

Non ho ancora scritto nello specifico di questo disco. E che dovrei scrivere? C’è un pezzo da diciotto minuti che vorrebbe essere una sorta di roba epica/progressiva e non sa di niente. Ma niente niente. Diciotto minuti di vita che non mi ridarà nessuno persi ad ascoltare sta cagata, incisa peraltro dalle stesse persone che una vita prima tiravano fuori roba tipo The Rime Of The Ancient Mariner, che magari di minuti non ne farà proprio diciotto ma tredici, solo che non funziona che più un pezzo è lungo più è figo, anche se poi a quasi sessant’anni forse sei un po’ bollito e magari mentre lecchi la patatina arrivi a pensarlo e ti dici “cazzo, però se non faccio una roba lunga alla Yes non sono nessuno, devo dirlo a Stevie che sicuramente apprezzerà l’idea (slurp, bona)”. Oppure il riff rubato a Wasted Years riproposto a trent’anni di distanza in apertura di una canzone che, se solo avessero provato a tirarlo fuori all’epoca in cui incisero l’originale, Martin Birch (il produttore storico dei primi enne album fino, appunto, al 1992) li avrebbe cacciati a calci dallo studio. E a ragione, ovviamente.
I pezzi meno peggiori sarebbero la prima, If Eternity Should Fail, e proprio The Book Of Souls, anche se pure quest’ultima comincia col classico arpeggino da mentecatti. Però non sono male, o meglio: sono quelli che, ascoltati ripetutamente in macchina, non ti fanno venire voglia di accostare, estrarre il cd e buttarlo nella differenziata più vicina.

Iron Maiden – The Book Of Souls: l’opinione che non vorrete leggere

Va bene, sono invecchiati. Ci sta. Ma c’è gente che pur invecchiando e incidendo dischi non certo felici se non altro non vi prende per il culo. I Judas Priest, per dirne una. I Deep Purple con Steve Morse. I Black Sabbath che con 13 hanno tirato fuori un ottimo disco, inaspettatamente. E sono pure un po’ più vecchi dei Maiden, per dire.
Non regalategli più soldi, per favore. Mi raccontava un caro amico di un tizio che il giorno dell’uscita di The Book Of Souls ne ha comprato il cd, il vinile (o i vinili, che forse è doppio) e qualcos’altro di ultralimitato (la cassettina basf coi titoli scritti a mano ed il logo rifatto a penna da Derek Riggs in persona, magari) tutto insieme e senza manco averlo ascoltato. Ecco, non fatele ‘ste cagate. Cioè, non comprate i cd dei Maiden solo perchè sono dei Maiden. Se dovete spendere del denaro, non buttatelo dietro a qualcuno che già ne ha in abbondanza e che in cambio vi propina schifezze da più o meno tre lustri. Lo so che gli volete bene. Lo so che ci siete affezionati, lo so. So tutto. Ma Steve Harris gli alimenti alla ex moglie li pagherà lo stesso, tranquilli. Non finirà sotto un ponte. Casomai tenete da parte i soldi per andarli a vedere dal vivo, così magari potrete battere anche voi le manine a Janick Gers mentre balla in onore di San Vito. Dal vivo hanno ancora un senso, sempre che la scaletta sia abbastanza datata. Altrimenti, per quanto mi riguarda, gli ultimi album belli degli Iron Maiden sono quelli da solista di Bruce Dickinson con Roy Z. Il resto non vale un cazzo di niente o quasi. (Cesare Carrozzi)



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