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Israele e le sue contraddizioni

Creato il 30 agosto 2013 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

L’ennesima profanazione in Israele evidenzia le sue divisioni e le sue sfacettature

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Israele: Molotov e slogan ebraici inneggianti alla vendetta. Così un numero non precisato di estremisti ebraici ha profanato il monastero di Beit Gemal, nei pressi di Gerusalemme. Il Patriarcato cattolico latino della Città Santa ha denunciato l’atto intimidatorio sollecitando il governo israeliano a prendere provvedimenti nei confronti delle frange più estreme della società, che da anni manifestano il proprio sostegno alle comunità di coloni con atti di intolleranza nei confronti delle minoranze, siano essere arabe o cristiane. La stessa sorte è toccata, infatti, anche alle tombe del cimitero cristiano e alla Chiesa di Nostra Signora di Kafar Bir’em,  piccolo ex villaggio cristiano situato a pochi chilometri dal Libano, così come al Convento di San Francesco sul Monte Sion e al monastero di Latrun, entrambi nei pressi di Gerusalemme. Il filo conduttore degli atti vandalici sembra essere rappresentato dalle “price tag“, le scritte con cui vengono rivendicate le incursioni nei luoghi, principalmente di culto, non ebraici. Queste iniziative sono spesso una risposta a decisioni politiche prese dal governo inerenti alla questione degli insediamenti e dei coloni, ritenute da queste fasce della popolazione ingiuste e discriminanti. Nel caso di Beit Gemal la protesta sarebbe rivolta al recente dibattito parlamentare, seguito alla pseudoripresa dei negoziati di pace, sulla legittimità degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, riconsociuti come illegali dal diritto internazionale in virtù dell‘articolo 49 della quarta Convenzione di Ginevra.

Secondo l’associazione israeliana Tag Meir, nata per rappresentare tutte le componenti della società israeliana riunite nella lotta contro la violenza dei gruppi estremisti ebraici nei confronti dei palestinesi e degli stessi israeliani, negli ultimi tre anni sono stati profanati e oggetto di “price tag” offensivi e blasfemi oltre 20 luoghi di culto. A tal proposito è utile ricordare che persino il Dipartimento di Stato Usa ha inserito la violenza dei coloni estremisti israeliani nel report annuale sul terrorismo. La lista del 2011 riporta, per la prima volta nella storia, gli attacchi ad alcune moschee e cimiteri islamici della Cisgiordania e nei confronti degli stessi soldati israeliani. Inoltre, i dati dell’Onu evidenziano che le violenze dirette nei confronti di persone o proprietà palestinesi  sono aumentate del 144% dal 2009 al 2011.

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Questi gruppi di estremisti aparterrebbero alla fascia sociale degli ultraortodossi composta da haredim e  nazional religiosi, questi ultimi particolarmente favorevoli alla politica di espansione dei territori.  Secondo il demografo israeliano Sergio Della Pergola questi rappresenterebbero circa il 10% della popolazione israeliana, registrando però un’alto tasso di natalità rispetto alla media. Gli haredim frequentano scuole religiose e sono per la maggior parte esonerati dal servizio militare e dal lavoro poiché impegnano gran parte del loro tempo nello studio dei testi sacri: hanno regole di vita differenti e sistemi educativi diversi dal resto della popolazione. Ricevono aiuti e sussidi da parte dello stato che incentiva così la natalità, in media di 6-7 figli per donna, creando però delle spaccature a livello sociale.  Sono, in sostanza, la risposta israeliana alla crescita demografica palestinese. Bisogna però ricordare che una parte di loro rifiuta l’esistenza dello stato di Israele, poichè convinta che solo Dio potrà ridare agli ebrei la propria terra e indipendenza.

La società israeliana, che negli anni ha portato alla creazione di un’identità israeliana, mai esistita nella storia ebraica, si trova oggi ad avere a che fare non solo con nemici esterni, come palestinesi o iraniani, passando per gli ultimi razzi che dal Libano hanno fatto scattare il sistema antimissilistico Iron Dome, ma anche con divisioni interne che col tempo si stanno sempre più radicalizzando. L’intolleranza e la poca integrazione non si manifestano solo nei confronti degli arabi, in virtù del lungo conflitto che ne caraterizza i rapporti, ma si estendono a tutti gli strati della società. Gli ebrei orientali sefarditi, rappresentati in larga parte dal Likud,  nutrono un profondo senso di rivendicazione sociale nei confronti degli ebrei ashkenaziti di origine europea, che occupano generalmente ruoli di potere. Questi, essendo stati i primi ad occupare la “terra di Israele“, appartengono alle classi più influenti della società, mentre a sefarditi, ebrei russi, ortodossi e arabi non rimangono che gli strati socio-economici più bassi. In uno stato, dove l’ebraicità è propedeutica all’israelianità, indecisa tra il volersi considerare teocratico e democratico al tempo stesso, l’identificazione di un nemico comune, dal biblico Amalek, ancestrale avversario di Israele, al regime nazista e al più recente Iran, passando per i vicini palestinesi, sembra davvero l’unico collante sociale e identitario che da millenni caraterizza la comunità ebraica.


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