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Italiano in pillole: Leopardi ed il suo modus Cogitandi

Creato il 23 luglio 2010 da Abcd

E' finita la scuola. Adesso l'obiettivo principale di noi scrittori di Ideale Zetetico è diventato quello di redimere voi lettori da un gretto e viscerale stato di ignoranza nel quale potreste cadere causa la mancanza di adeguate letture. Per tal motivo sono lieto di proporvi l'ultimo testo da me realizzato prima della fine del quarto anno scolastico, in una delle rare occasioni in cui mi sono impegnato nel terminare a casa tutti i compiti di Italiano. Quindi non vi resta che leggere e imparare. IGNORANTI!
LA TRAGICA EVOLUZIONE DEL MODUS COGITANDI LEOPARDIANO
E' la spasmodica ricerca di felicità che rende ogni uomo attivo, partecipe, filosofo nel porsi domande che in questi casi vanno oltre le colonne d'Ercole della conoscenza umana, finendo spesso per sfociare nella metafisica, nella ragione piuttosto che nell'intelletto (almeno secondo i dettami della speculazione filosofica Kantiana).
La felicità, tuttavia, è sempre data dal piacere, e la felicità diviene infinita quando anche il piacere si trova a non aver mai fine, per estensione e per durata. Purtroppo però, è proprio la finitudine di ogni cosa ciò che rende impossibile la felicità. E' la smania di infinito che non trova appagamento che rende l'uomo impossibilitato a trovare quel che cerca. E' da qui che nasce, per Leopardi e non solo, il senso di nullità di tutte le cose.
Inizialmente è proprio la natura l'ancora di salvezza di ogni essere umano, una madre benigna che ha dotato l'uomo del bene più grande: l'immaginazione. La ragione è terribile nella sua essenza, poiché permette di scoprire l'acerbo vero con turpe violenza, ma è solo grazie all'illusione che si può arrivare ad una concezione di felicità primitiva, ancestrale ed inconsapevole. Ecco perchè in fin dei conti gli antichi sono stati di gran lunga superiori rispetto ai moderni, poiché sono riusciti ad uccidere la ragione, la triste realtà che li circondava, ed al tempo stesso hanno saputo creare storie fantastiche solo con una fervida e vivida immaginazione. La ragione è nemica della natura. La ragione è grande, la natura è piccola. Esattamente questo annotava Leopardi nello Zibaldone, raccolta di pensieri sparsi, quaderno di vita, oggetto di sfoghi e di speranze. E purtroppo per lui, la speranza sarà presto destinata a scomparire. Il suo pensiero subirà un'evoluzione, entrando in un oceano talmente burrascoso che anche l'ancora dell'illusione non sarà più in grado di tener salda la chiglia della speranza.
La natura adesso, pur essendo un congegno perfetto nei suoi movimenti, non contiene alcun valore. La si potrebbe contemplare come un meraviglioso orologio, ma il poeta più che per la meraviglia della perfezione, rimane profondamente atterrito dalla mostruosità dell'ingranaggio. Così come per William Blake in Inghilterra, il passo da Mother a Stepmother fu assolutamente breve, per Leopardi il passo da Madre a Matrigna è da considerarsi ancor più rapido. E' come se il poeta di Recanati avesse compiuto un salto verso quella che è definita seconda generazione del romanticismo. La natura è sadica, crudele, torturatrice. Potremmo definirla come una visione Spinoziana della realtà completamente rovesciata. Dal sommo bene al sommo male. Esemplare in questo senso potrebbe essere il passo dello Zibaldone che descrive un “Giardino di piante, d'erbe e di fiori”. In questo giardino tutto pare essere ridente, in realtà dietro quella che sembra una perfetta armonia, si nasconde uno stato a dir poco terribile di “souffrance”. Il giglio che viene crudelmente succhiato da un'ape, le fibre delicatissime dei fiorellini che vengono violentate dal sole, e noi, inconsapevoli spettatori, che nel guardare questo giardino “ammocchiamo” l'erba coi nostri passi e ne spremiamo il sangue. L'utero malvagio della natura altro non fa che partorire figli che poi tortura sadicamente per tutta la vita. Alla fine li uccide. E l'uomo, che potrebbe essere un pastore errante dell'Asia così come un islandese, non riesce a capacitarsi di tutto questo. Ed è proprio nell'operetta morale “Dialogo della natura con un Islandese”, che la natura stessa viene interrogata (dall'islandese appunto) in una requisitoria incalzante ed appassionata. Tuttavia il dialogo termina, perchè, ironia della sorte, arrivano due leoni famelici, che si ristorano proprio con l'islandese. La conclusione impregnata di sarcasmo amaro e feroce, altro non fa che ribadire un concetto già espresso nelle altre operette morali: la Natura è nemica, e il mondo è un ciclo eterno di produzione e distruzione, un puro meccanismo impersonale ed inconsapevole. Non si può sconfiggere tale tremenda perfezione.
Tuttavia, è proprio nell'opera finale, nel suo testamento poetico, che Leopardi assume un atteggiamento titanico, invitando tutti gli uomini, Bastard Gifts of shameless nature (Thomas Hardy) ad unirsi in una spasmodica lotta contro l'implacabile nemica.
La sconfitta è quasi certa, nessuno si può opporre, o è mai riuscito ad opporsi a tanta forza distruttrice. L'uomo, come la ginestra, è alle pendici di un vulcano, sa che potrebbe sparire da un momento all'altro, ma questo non significa che non deve profumare fino all'ultimo istante della vita. Miserabile, ma pur sempre vita.


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