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Iuri Lombardi su “Il mistero delle due Veneri” di Alessio De Luca

Creato il 03 maggio 2015 da Lorenzo127

Il Mistero delle Due Veneri: riflessioni sulla “drammaturgia” di Alessio De Luca

a cura di IURI LOMBARDI

                                                        

Ma gli occhi dei poveri piangono altrove,

non sono venuti ad esibire un dolore;

che alla via della croce ha proibito l’ingresso:

a chi ti ama come se stesso.

(F.DE ANDRE’)

 

10968409_827120050667616_5783509143866921065_nIL MISTERO DELLE DUE VENERI, il nuovo romanzo dell’amico Alessio De Luca (TALOS EDIZIONI, 2015), pare definire Alessio oramai uno scrittore maturo nel quale gli elementi della sua poetica emergono chiari e al contempo netta pare delinearsi la posizione ideologica di De Luca stesso.

Posizione ideologica, prima di parlare di poetica, in quanto l’idea del libro – come i suoi precedenti IL CALORE DEL TUO SORRISO, e il giovanile LURLO DI ERIN– già delineava un umanesimo del tutto nuovo e oserei definire “vivibile” che Alessio rinnova con forza e vigore nel nuovo libro e che non mi stupisce conoscendo l’autore uomo. Umanesimo che questa volta pare ricercare le proprie origini nel Rinascimento di Marslio Ficino e del neoplatonismo inteso (nell’opera di De Luca) come coscienza o movimento di pensiero atto a stabilire una nuova locazione dell’anima e dello spirito. Anima e spirito che in tutta la vicenda del libro – che non svelo per questioni di onestà, spetta al lettore scoprire la storia- paiono essere gli elementi portanti. Elementi che fanno della sua ultima fatica non un mero romanzo ma un vero trattato sulla vita, sui propri affetti, scardinando i codici del pudore e di valori che per secoli ci sono stati tramandati. Valori, codici comportamentali che non solo Alessio rinnova ma che li fa suoi apportando una umanità che il poeta chiamerebbe una goccia di splendore. Umanità anzitutto che si concentra nel significato di verità, significato che diventa indagine sulla storia e intesa come dinamica evolutiva del tempo di un paese strettamente legata alla propria biografia, e intesa come propria storia. Il protagonista del romanzo Andrea, restauratore d’arte, fiorentino (e non poteva essere altro, la città di formazione di De Luca è Firenze), è infatti il vero Jolly della situazione ed è tramite di lui che la storia del libro troverà una soluzione. Ma andiamo con ordine.

Siccome non voglio svelare assolutamente niente della storia che è avvincente, piacevole, ben costruita, preferisco parlare dell’essenza del libro ancor fresco di stampa. Dirò infatti che la prima cosa che risalta, oltre all’allestimento di un nuovo umanesimo accennato prima è la drammaticità del linguaggio che questa volta De Luca sembra centrare in pieno. Un linguaggio che nelle precedenti opere non si presentava così maturo come in questa occasione e allora cosa c’è di diverso?

Anzitutto non è un caso che l’intera vicenda venga raccontata al presente e non al passato come di norma accade nei romanzi; non è un caso che la storia sia raccontata in prima persona, non è un caso che l’avventura letteraria (ma molto cinematografica) si misuri in questa occasione con la questione religiosa e nello specifico del cristianesimo, nel ruolo e nella storicità della natività del Cristo.

Ma partiamo dal linguaggio.

La questione della lingua ho avuto modo in diverse occasioni di riferire è determinante per costruire un buon romanzo come questo. Il romanzo, di fatti, a differenza degli altri generi letterari, a cominciare dalla poesia, da quel senso verticale della realtà o quel senso di vertigine montaliano, è legato all’idea e alla lingua. Idea che per scrivere un romanzo, il genere magistris della letteratura occidentale, deve essere chiara, assai netta e originale. Idea che porta con sé, nella sua architettura laica e narrativa una serie di elementi quali l’aspetto evocativo che pone la differenza tra un buon romanzo e un romanzo mediocre. Aspetto, o meglio minuziosa sfumatura che non solo fa la differenza ma che viene a determinare quel quoziente meta-narrativo indispensabile per un’opera moderna di finzione. E questo Alessio, nel MISTERO DELLE DUE VENERI, sembra averlo centrato con piena maturità e consapevolezza.

Consapevolezza che dicevo non solo si aiuta, trova ausilio nell’idea formidabile che chi la legge, colui o colei che si appresta a dedicare il proprio tempo alla lettura dice: “e’ così”- ma che si sviluppa e trova ragione artistica (variabile identificativa con il grado di finzione) proprio con la lingua e i suoi tempi verbali. Tempi verbali che se narrati in terza persona e al passato perdono quell’efficacia di attualità e di drammaticità che il romanzo in oggetto pare avere. Una drammaticità non solo legata al tempo presente ma che sta concentrata nel tempo in cui viene narrata.

L'autore del libro, Alessio De Luca

L’autore del libro, Alessio De Luca

In altre parole, se Alessio avesse sviluppato tutta l’intera architettura narrativa al passato e in terza persona (usando una distanza emotiva alla Brecht) non avrebbe raggiunto quel grado drammatico che tiene incollato il lettore alla pagina. Mentre in questo caso chi legge si ritrova in pieno e chi conosce Alessio di persona (i suoi valori, il suo modo di pensare, di amare la vita, la sua onestà perenne e immutabile,  i chiaroscuri della storia, la presa di coscienza su chi siamo e dove andiamo) non ha difficoltà nell’identificare l’autore con il protagonista. Alla fine se la letteratura e il romanzo in particolare trovano riscontro oggettivo nell’idea e nella lingua, per quanto concerne la drammaticità rientra quel gioco di identificazione  proiezione che l’autore del libro in questo caso fa in piena consapevolezza.

Altro aspetto, sempre legato agli elementi di cui sopra, è il narrare una storia, costruirla attraverso la falsificazione (che sta alla finzione del narrato) dell’epos letterario con gli elementi biografici e storici e sociali. Elementi che Alessio De Luca nel romanzo IL MISTERO DELLE DUE VENERI usa per fini artistici per avanzare il nuovo umanesimo. Un nuovo umanesimo che nel caso del libro precedente era identificato nella figura di Gabriel (Gabriel – Alessio) e che nell’attuale romanzo, sua ultima fatica letteraria, sia ha nel binomio identificativo Andrea- Alessio. Binomio che a differenza del precedente romanzo era visto attraverso l’ottica della passione in termini cristiani e del sacrificio che Gabriel si addossava per amore e amicizia ( ma d’altronde l’amicizia è anche sacrificarsi per l’amico e Alessio lo sa bene), e che nel nuovo libro rimanda invece ad indagare non più sul senso del sacrificio (l’agnello di Dio) ma attorno alla natività del Cristo e quindi della storia occidentale.  Storia rivisitata partendo dalla figura della Vergine e della concezione di Gesù attraverso la quale si cela non solo il mistero del credo, della preghiera, della religione, ma un nuovo messaggio per l’intera umanità. Messaggio rivoluzionario (come sottolinea esplicitamente il sottotitolo dell’opera) che se letto non nella chiave della finzione ma in termini realmente storici cambia il corso e il senso dell’intero universo occidentale. Ma anche in questo caso la natività, o meglio la concezione, pare essere legata a quel sacrificio primordiale, insito nell’uomo, che l’autore del libro confronta (pur sapendo di operare nella finzione) con elementi di studio (si entra nel campo della teologia e quindi della scienza sacra) sui vangeli sinottici, facendo trapelare per scopi artistici le differenze presentate dai quattro evangelisti secondo la propria vulgata. Atti apostolici, evangelici che qui sono rivisti attraverso la mediazione di un sentimento nuovo, molto più umano di quello che c’è stato tramandato. Di un nuovo umanesimo che Alessio avanza ed allestisce con disinvoltura e lucidità. Un umanesimo che trova le sue radici (e mi piace pensare che sia così) nella tradizione anarchica – nel termine nobile della parola- e in quella socialista, insomma nella tradizione di quel riformismo in termini politici che portò alla resistenza, che trova il suo apice nella cosi detta “sinistra-liberale”, e che nel panorama letterario trova messaggeri come London, Dylan Thomas, Sciascia, Fava, West, Bonaviri, Boll e tanti altri. Quell’umanesimo che Ernesto Rossi portò a scrivere COME SCONFIGGERE LA MISERIA e a Gide i SOTTERRANEI DEL VATICANO. Un umanesimo che in questa occasione (ma un’opera letteraria è sempre più di una occasione in quanto non è legata al tempo kronos) getta luce su alcune categorie di lavoratori come i restauratori che spesso la politica e i sindacati non contemplano. Lavoratori che portano un messaggio d’amore per l’opera d’arte unico e senza il quale apporto molti capolavori andrebbero perduti. Umanesimo come suggerivo poc’anzi legato alla verità dei fatti e che la letteratura contemporanea, come nel caso di De Luca, allestisce per interrompere lo scempio che i poteri forti e occulti e certi politici stanno compiendo nei confronti dell’intera umanità. Ma nello specifico, l’umanità avanzata da De Luca, vera, genuina, concreta nasce dal dolore di Alessio nel vedere il proprio paese colpito al cuore, sull’orlo di una povertà e di una miseria non solo politica ma sopratutto culturale. E sotto questo aspetto il sentimento di Alessio è legato ad un aspetto generazionale ma lucido e profetico. Insomma, si tratta di un umanesimo nuovo in cui l’uomo è costretto a guardarsi allo specchio per riconoscersi uomo.

In fine, ma le cose da dire sarebbero tante, mi viene istintivo ribadire certe sfumature riguardo lo stile e le possibili fonti di ispirazione. Uno stile fatto di ingranaggi, intrecci, personaggi che trovo molto cinematografico che è di per sé drammaturgico. Nello scrivere il romanzo Alessio De Luca sembra proprio usare un certo grado di teatralità, di drammaturgia che è tipico della sua letteratura, consapevole di fare narrativa e non teatro. Teatralità, drammaturgia che aumenta per eccesso il grado di “vivibilità” e accettazione del romanzo, che lo rende ancora più godibile insomma. Infatti i personaggi stessi, Andrea, Sonia, la nobile Vernini, il gigante Franz, paiono esibirsi in un autentico palcoscenico e di conseguenza loro essere delle drammatis personae e non dei protagonisti di un’opera narrativa. Ma ripeto questa caratteristica fa ancora più maturo il romanzo che pare confrontarsi e sintetizzare, nel senso di far convivere, più generi in un unica storia.

Ancora un altro elemento che il lettore si trova a vivere leggendo il libro, è la vasta conoscenza che l’autore del IL MISTERO DELLE DUE VENERI ha dell’arte pittorica e di Firenze (sua città di adozione), una conoscenza talmente grande che il libro è anche una guida su Firenze e la Toscana. Una guida fatta di intrighi, di misteri, di storie come quella di Fra Bartolomeo, il pittore protagonista del romanzo cui pare essere affidato il messaggio per una nuova umanità. Torno a ripetere, un linguaggio che scava nel mistero della concezione della Vergine e la natività di Cristo. Un enigma che oscilla tra sacrificio e redenzione.

 

Altra cosa, ma non per ordine di importanza, tanti sono i riferimenti letterari, artistici dai quali Alessio ha attinto per scrivere il romanzo. In primis c’è la lezione di Pasolini con il suo vangelo di Matteo, in cui il poeta friulano in un gioco di specchi e proiezioni si identificava con il Cristo, ma non è difficile scorgere il De André della BUONA NOVELLA, album capolavoro del 1969 in cui il poeta e cantautore genovese (caro a De Luca) avanza – e non è un caso- una nuova concezione di umanesimo rendendo umana e meno celestiale l’immagine del Cristo. In fine, buona è la conoscenza da parte dell’autore dei vangeli canonici e della questione relativa al pneuma che San Paolo intende come rinascita dello spirito e non della carne.

Insomma, ancora una volta con questo nuovo libro Alessio De Luca ci ha meravigliati, consegnandoci una lezione di umanità che al mondo d’oggi serve per crederci uomini atti all’amore per il prossimo in un corollario di affetti che altrimenti se non ci fossero vivremmo in un deserto senza vita.

 Iuri Lombardi 



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