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J. Edgar

Creato il 11 gennaio 2012 da Misterjamesford
J. EdgarRegia: Clint EastwoodOrigine: UsaAnno: 2011 Durata: 137'
La trama (con parole mie):  racconto che incrocia il presente degli ultimi anni di vita ed il passato legato alla carriera dai primi anni venti di J. Edgar Hoover, creatore e direttore dell'FBI per quasi cinquant'anni, simbolo per eccellenza del potere occulto negli Stati Uniti, passato attraverso otto Presidenti, la lotta al comunismo, la caccia ai grandi gangsters, il maccartismo, le rivolte sociali degli anni sessanta, l'assassinio Kennedy e le prime avvisaglie dell'agghiacciante gestione Nixon.
Ma anche la cronaca di una storia d'amore che passa dalla madre al compagno di una vita Clyde, senza dimenticare la fedele segretaria Helen: un ritratto capace di raccontare tutto il grigio di uno degli uomini più potenti degli Usa senza dimenticarne la disarmante umanità.
J. Edgar
Ed eccomi qui, reduce dalla visione del nuovo lavoro di Clint dopo le critiche contrastanti legate al meraviglioso Hereafter ed uno scarso entusiasmo che ha contraddistinto tutta l'attesa di J. Edgar, che reputavo potesse essere una sorta di nuovo Changeling - il film del Nostro che ho meno apprezzato negli ultimi dieci anni -.Cosa dire, dunque?
Si può dire che questa pellicola sia un inno al classicismo del Cinema? Di sicuro.
Si può dire che siamo comunque distanti da Capolavori come Gran Torino o Million dollar baby? Senza dubbio.
Si possono trovare difetti - per presa di posizione, gusto, ostilità, onestà - ? Non ci piove.Si può definire il vecchio, granitico Eastwood un conservatore del Cinema? Assolutamente sì.
Eppure J. Edgar, biopic che scava nel cuore del suo protagonista certamente più di quanto non fu con il pur ottimo Invictus, è un film solido, tosto, girato benissimo - ho notato solo una sbavatura sul montaggio in una delle prime scene, ma è proprio andare a cercare il pelo nell'uovo -, in grado di ribaltare le limitate aspettative che nutrivo trasformando tra la prima e la seconda parte una cronaca dei fatti principali legati alla carriera e alla vita di Hoover in un profondo viaggio nel cuore di uno degli uomini più potenti ed oscuri della storia Usa, nonchè una dichiarazione d'amore per l'Amore come concetto e per il Cinema.
Attraverso gli episodi più significativi, infatti, della vita di Hoover - legata a doppio filo a quella della sua creatura, il Bureau -, hanno attraversato la mia mente immagini legate a Quarto potere - la corruzione che progressivamente conquista il conquistatore, lasciandolo solo con i suoi intimi sogni irrealizzati, la sua "Rosebud" -, Nemico pubblico - interessanti i riferimenti a Dillinger e alla vicenda fotografata alla grande da Michael Mann nel suo ultimo magistrale lavoro -, il filone gangsteristico rappresentato da James Cagney, The aviator - sottovalutatissimo e bistrattato lavoro di Scorsese, da me amatissimo, con il quale condivide l'attore protagonista -, Psyco e soprattutto Il divo.
L'idea di Eastwood di portare in scena un protagonista certamente negativo, figlio di un'America costruita attraverso inganni, manipolazioni ed una conduzione interna e legalizzata non così dissimile da quella delle organizzazioni che il sistema combatteva mostrando tutta la sua clamorosa - e fragile - umanità risulta assolutamente vincente, supportata da un'interpretazione maiuscola non soltanto di un "titanico" Di Caprio - che sarebbe ora fosse premiato dall'Academy -, ma anche di un'austera Judy Dench, della sempre ottima Naomi Watts e soprattutto della sorpresa Armie Hammer, superlativo nel ruolo di Clyde Tolson, compagno di una vita - sul lavoro e probabilmente ben oltre - dello stesso J. Edgar, già visto nel ruolo dei gemelli Winklevoss in The social network.
L'incedere della pellicola, partita come un biopic nel senso più classico del termine, si fa serrato ed emotivamente coinvolgente con il passare dei minuti, toccando momenti di grande impatto soprattutto quando l'attenzione del regista si sposta all'interno della sfera più intima del direttore dell'FBI: dai due confronti con la madre - il primo, elegantissimo nel suo passaggio dal passato al presente, con l'Edgar bambino portato su un piedistallo dalla genitrice ed il secondo, alla morte di quest'ultima, in una sequenza allo specchio che è un confronto con se stessi, nonchè l'espressione di un rapporto con l'interno e l'esterno filtrato proprio attraverso giochi di immagini a nascondere il vero io - al rapporto con il Potere costituito e con i Presidenti - il reiterarsi del suo apparire al balcone durante la parata di celebrazione della vittoria del nuovo occupante della Casa Bianca, e la routine del primo colloquio con il Capo di Stato - fino al legame con Clyde - che passa dall'incontro del colloquio in un'atmosfera da commedia romantica anni cinquanta alla lotta nella suite, per culminare nella magnifica sequenza del loro ultimo faccia a faccia, quando, ormai vecchi, tornano a guardare la loro storia negli occhi, e nel passaggio di quel fazzoletto ho visto non soltanto la sensibilità incredibile di un uomo di più di ottant'anni, figlio di un'altra epoca e per giunta di formazione politica decisamente conservatrice mostrare un ritratto dell'amore in grado di andare ben oltre le preferenze sessuali, ma una celebrazione toccante e poetica dello stesso -, senza dimenticare la sequenza potentissima che, sfruttando immagini di repertorio, mostra una parte delle nefandezze compiute dal Bureau quasi a costruire un parallelo con il discorso di Hoover a proposito dello "stare in guardia" che mi ha riportato alla mente le peggiori fobie della più recente era Bush.
Ma, come scrivevo, è quando dall'universale si passa al particolare, che J. Edgar cambia davvero marcia.
E quando la Storia degli Usa diviene la storia tra Edgar e Clyde, ed il Potere diviene lo sfogo di un amore mai vissuto, scopriamo quanta umanità è celata anche dai peggiori individui: così come per i public enemies di Michael Mann, o per l'Howard Hughes di Scorsese, personaggi capaci di grandi imprese e clamorose bassezze trovano la loro più incredibile dimensione mostrando la più semplice, passionale, romantica umanità.
All you need is love, cantavano i Fab Four.
Senza l'amore, la Storia sarebbe forse meno sanguinosa, ma la troveremmo anche priva di tutte le storie che hanno contribuito a scriverla.
Una di questa, lontana dagli States, dai corridoi del Potere, dall'FBI, dagli intrighi, dai delitti e dalle intercettazioni, dai ruoli e dagli incarichi, era quella di due giovani uomini, Edgar e Clyde, che - forse - si sono amati dal primo giorno.
E hanno continuato a farlo per tutta la vita.
MrFord
"Don't need money, don't take fame
don't need no credit card to ride this train
it's strong and it's sudden and it's cruel sometimes
but it might just save your life
that's the power of love,
that's the power of love."
Huey Lewis and The News - "The power of love" -

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