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Je suis sang di Jan Fabre e le sue lodi al Sangue

Creato il 12 giugno 2015 da Wsf

“L’uomo è fatto di sangue e al sangue appartiene” questa è la frase chiave che viene ripetuta nella messa in scena teatrale di Je suis sang (Conte de fées médiéval) di Jan Fabre.

Presentato in occasione del festival d’Avignone nel 2001, l’intero spettacolo è stato realizzato ispirandosi ai fatti storici medievali, riflessione che in primis coinvolge il luogo della scena, a fare da palco al festival avignonese sono infatti le antiche mura del Palais del Papes.

In questo confronto con l’età medioevale il regista, in un intervista rilasciata a Luk Van den Dries presente in Corpus Jan Fabre, si domanda se dal Medioevo a oggi sia avvenuta una evoluzione oppure sia rimasto tutto immutato: “Siamo nel 2003 dopo Cristo e viviamo ancora nel Medioevo. E viviamo sempre nello stesso corpo, che dentro è umido e fuori secco. Continuiamo a vivere con un corpo che è molto più colorato all’interno che all’esterno.”

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Da questa affermazione si evince che l’interesse di Fabre non è rivolto tanto a cercare un’affinità tra gli avvenimenti del presente e del passato, egli sembra piuttosto orientato verso un’indagine che chiama in causa l’evoluzione biologica del corpo: il corpo organico, spiega il regista, non ha cambiato pelle, il corpo che viviamo noi oggi presenta le stesse forme e funzioni di quello degli uomini medievali.Anche l’aggressività è una costante presente nell’essere umano di ieri come in quello di oggi, ed è proprio per questo motivo che in Je suis sang Fabre “cantà” le lodi del sangue: l’uomo sarà rappresentato come una sanguisuga assettata pronta ad intraprendere una danza macabra con le sue vittime. Quando Fabre pensa al sangue per questa rappresentazione sicuramente è anche influenzato dalla cornice scenica che ospita lo spettacolo, il Palais del Papes. Questo è un luogo di martirio, un luogo in cui si sono consumate molte tragedie, tra cui quelle degli eretici; Fabre però non si approccia a questo dato storico in modo descrittivo, ma cercando di creare tramite: icone, gesti e suoni una rete carica di tensioni che possa giungere allo spettatore come un urto in cui però non mancheranno momenti di sosta. In scena il caos: un campo di battaglia su cui si disputa una guerra senza vincitori, protagonista principale l’eterna lotta tra la vita e la morte. La vita è presente in veste di giovani spose che esultano nel mostrare le loro tracce di sangue, simbolo della nascita e della riproduzione. Portatrici di un nuovo ciclo vitale, esse iniziano una festa della fertilità. Nella stessa scena anche Hildegard van Bilden, interpretata da Els Deceukelier, nella sua veste nera e con un grosso libro posato sopra la sua testa recita una litania in latino, probabilmente un canto sulla ciclicità della vita.Questo scenario vitale viene però interrotto dall’entrata di cavalieri pronti a puntare verso le donne le loro armi e ad iniziare atti di tortura e violenza verso le avversarie.

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I combattimenti che si vengono qui a creare non hanno come scopo la possessione carnale dell’altro quanto piuttosto una ricerca sfrenata del sangue, un volersi assetare-nutrire con il sidro vitale rilasciato dal corpo altrui; ecco quindi che in scena compaiono salassi e imbuti pronti a risucchiare il sangue delle vittime.Su uno sfondo scenografico che richiama le pitture di Hieronymus Bosch e Pieter Breugel, sia per le tonalità che per l’oggettistica usata, si susseguono immagini di sacrificio che introdurranno in scena varie citazioni iconiche tra cui quella del Cristo con la corona di spine e quella di San Sebastiano con il corpo trafitto dalle frecce.Il martire è la figura che per eccellenza, tramite il suo corpo, comunica i segni della violenza subita; le ferite inferte alla sua carne e i tagli che deturpano la sua pelle sono testimonianza della sua azione sacrificale. In Fabre il sang ha la medesima funzione dei lividi impressi nei corpi martirizzati: esso incarna la storia dell’uomo, è traccia della sua presenza, del suo passaggio.

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Il palco si è letteralmente trasformato in un mattatoio dove un carnevale di corpi partecipa alla celebrazione degli istinti, in quest’orgia violenta si smembra carne umana che lo spettatore assaggia con lo sguardo, una fura animale investe questo spettacolo sprofondato in un delirio macchiato di sangue.

Successivamente lo scenario cambia e sul palco fanno il loro ingresso utensili medici ed attori (un uomo e una donna) in camice verde, la stanza da macello si trasforma così in un’aula d’anatomia in cui i due anatomisti analizzano minuziosamente il corpo umano: scena grottesca in cui tra gag e risa si viene a perdere l’austerità caratterizzante dell’ambiente medico.

In Je suis sang Fabre ci propone un banchetto carnale, la materia viva e i suoi fluidi sono qui esibiti senza censure.

Fiaba medievale in cui un lontano eco riecheggia il desiderio di divenire sangue e partecipare al suo flusso vitale, perché esso non è solamente quella sostanza che sgorga dalle ferite ma è, nel testo fabriano in particolare, invocato nel suo potere purificatore che coinvolge non solo l’organismo ma si espande fino a toccare e rigenerare la terra, il cosmo.

Il corpo futuro sarà fatto di sangue e come un cuore pulserà la vita.

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Official site: http://janfabre.be/troubleyn/voorstelling/je-suis-sang/

Nausica Hanz


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