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Jodhpur 2015

Da Matteo Picchianti @Matteod612

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Un articolo sulla città blu di Jodhpur (la mia seconda volta, la prima la trovate qua…. non è decisamente cambiata!) che in realtà parla di tutt’altro, parla dei ritorni, del perché tornare in un luogo già visitato.
Assisto, purtroppo, alla vomitevole spettacolarizzazione del viaggio; una gara senza senso a riempire il planisfero di bandierine come in un risiko impazzito: vedo persone che dopo 3 giorni a Mosca ti parlano da esperti di una nazione grande quanto 2 continenti, persone che per uno scalo di 12 ore a Pechino dicono di aver visitato la Cina e ti parlano di che popolo incredibile quello sia; persone che dopo 3 giorni di shopping natalizio a New York pontificano sugli Stati Uniti; persone che sono state 2 settimane con un tour organizzato in India e ci scrivono su libri o saggi. Io, dopo la terza volta in India, qualche amico indiano conosciuto lungo il cammino e con i quali mi sento regolarmente, un centinaio di giorni per strada e ben oltre 15mila chilometri tra bus, treni e tuk tuk ancora, gli indiani, proprio non riesco a capirli! :) Mi sento un ritardato.

Il viaggio è sacro, sempre, non è la distanza o la meta o il numero di mete a renderlo tale ma lo spirito e le motivazioni per cui si decide di partire, lasciando affetti ed agi lontani.
A Jodhpur, nel 2011, avevo scattato molte foto ad i figli della famiglia che mi ospitava, con la promessa, al mio rientro, di fargliele avere in qualche modo. Promessa che, vuoi per la nausea che ebbi per l’India al mio rientro, vuoi per colpe personali mie, non ero mai riuscito a mantenere. Qualche giorno prima di partire sono andato da un fotografo e finalmente, quelle fotografie, le ho fatte stampare. Non potete immaginare l’ emozione. Mentre le mettevo nello zaino per partire, ripassavo mentalmente la strada per raggiungere la loro casa, pensavo alla loro reazione e se il vecchio capofamiglia si ricordasse, anche vagamente, dei giorni passati insieme 4 anni prima. Una volta arrivato nei pressi della loro casa, vengo avvicinato da un ragazzo di circa 15/16 anni, parla un buon inglese e con modi molto gentili mi invita a vedere la sua collezione di banconote, con lo stesso tatto ed educazione con cui mi aveva invitato suo padre 4 anni prima. Lo lascio parlare, lo osservo e godo nel ritrovare i modi gentili del genitore; quando finisce di mostrarmi la collezione, lo interrompo chiedendo se quella fosse la collezione di suo padre. Mi guarda sorpreso e quasi pietrificato allo stesso tempo, mi chiede come facessi a saperlo; gli spiego la storia e gli parlo di quell’agosto 2011 quando conobbi suo padre e gli detti le banconote da 5 e 10 euro presenti nella sua collezione in cambio di qualche giorno di ospitalità. Suo padre se ne è andato soltanto 1 mese dopo la mia partenza, nel settembre 2011 e, da allora, è lui che provvede alla famiglia. Per cercare di sdrammatizzare la situazione, tiro fuori dallo zaino le fotografie di quei giorni, le guarda e mi dice chi sono i bambini ritratti, cugini e vicini di casa. Mi chiede se può tenerle per darle alle persone ritratte; non desideravo altro. Ci salutiamo con una stretta di mano ed un po’ di malinconia mista a felicità.

Una delle esperienze di viaggio migliori della mia vita, che non ha agginto nessuna bandierina al mio personale planisfero ma un tassello indelebile nell’album dei ricordi.


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