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Jodorowsky’s Dune

Creato il 05 febbraio 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

 

‘’Ciò che è destinato a fare luce deve sopportare di bruciare.’’ (Viktor Frankl)

La Settima Arte è costellata di capolavori, di film di culto, di opere maledette ma è fatta anche di pellicole che non hanno mai visto la luce, o meglio il buio della sala, destinate nonostante tutto a diventare leggendarie. Uno dei più grandi progetti mai realizzati nella storia del cinema è senz’altro Dune di Alejandro Jodorowsky, naufragato ad un passo dalle riprese a causa della mancanza di budget dovuta alla poca fiducia, mista ad un certo timore e spavento, da parte degli studios hollywoodiani nei confronti del regista cileno. A distanza di quasi quarant’anni dal titanico, mistico e sfortunato tentativo di portare sullo schermo il romanzo fantascientifico di Herbert, il regista Frank Pavich ha deciso di realizzare un documentario che ripercorresse le varie tappe di un progetto che, a detta di Nicolas Winding Refn che figura tra gli intervistati,  se fosse andato in porto avrebbe potuto modificare radicalmente l’intera struttura dei blockbuster che si stava delineando nella seconda metà degli anni ’70, a partire da Guerre Stellari fino ad arrivare ai giorni nostri.

A guidarci a ritroso nella genesi di questa pietra miliare mancata è lo stesso Jodorowsky, drammaturgo, poeta, scrittore, fumettista e cineasta, autore all’inizio degli anni ’70 di El Topo e La montagna sacra, due veri e propri cult movie tuttora venerati da uno stuolo irriducibile di fan e cinefili. Davanti alla macchina da presa posizionata nel suo appartamento, l’artista cileno si dimostra un grande affabulatore nel raccontare i retroscena di un’opera che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto provocare nel pubblico di allora lo stesso effetto prodotto dall’assunzione di LSD. Questo film avrebbe dovuto cambiare le percezioni del pubblico. Volevo  creare un profeta per cambiare le menti dei giovani di tutto il mondo. Per me Dune sarebbe stato l’arrivo di un Dio artistico e cinematografico, non era solo la creazione di un’opera, era qualcosa di più profondo, di sacro e di libero, con una nuova prospettiva per aprire le menti”.

A dargli l’opportunità di dar vita a questo incredibile progetto fu il produttore Michel Seydoux che aveva distribuito in Francia La Montagna Sacra, rivelatosi un grande successo di pubblico in Europa, specie in Italia e Oltralpe. Jodorowsky si trasferì in Francia, in un grande castello affittato da Seydoux appositamente per lui, dove iniziò a lavorare alla sceneggiatura del film, cercando nelle pagine del romanzo di Frank Herbert un profondo significato spirituale. Una volta avuta la mia sceneggiatura dovevo trovare i guerrieri per farlo. Ogni persona che avrebbe lavorato all’opera sarebbe stato un guerriero spirituale”. È proprio così che li chiama, definizione che rende al meglio l’immersione totale nel progetto da parte del cineasta cileno, il suo approccio mistico e spirituale, convinto di dover avere al suo fianco persone fidate dedite alla causa.

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Per realizzare lo storyboard la scelta ricade su Jean Giraud, il grande fumettista francese più noto con lo pseudonimo di Moebius (è così che si firma quando si occupa di fantascienza), conosciuto grazie alla lettura di Blueberry, celebre personaggio a fumetti simbolo del western francese. “Ho usato Moebius come una cinepresa”, altra definizione che calza a pennello vista l’incredibile bravura e l’enorme talento dell’artista francese, per di più velocissimo nel lavoro, famoso per le sue tavole dallo spiccato taglio cinematografico.  Attraverso le tavole di Moebius, Jodorowsky “gira” il suo film, scena per scena, inquadratura per inquadratura, a partire dal mirabolante piano sequenza iniziale, sulla falsariga dello straordinario incipit realizzato da Orson Welles in L’infernale Quinlan, con la cinepresa che attraversa tutta la galassia, milioni di stelle, battaglie, flotte e navi spaziali. Un momento unico, sublime, in parte fonte d’ispirazione per la sequenza iniziale di Contact di Robert Zemeckis, con le tavole disegnate da Moebius che prendono vita sullo schermo, lasciandoci stupefatti ma al contempo amareggiati per la sua mancata trasposizione cinematografica.

La ricerca dei collaboratori prosegue incessante con l’ingaggio di Dan O’Bannon, responsabile degli effetti speciali di Dark Star, il primo film di John Carpenter. A tal proposito Jodorowsky racconta, sempre in modo affabile e divertito, di come avesse scartato nientemeno che Douglas Trumbull, l’autore degli effetti speciali di 2001: Odissea nello spazio, perché dopo averlo incontrato non lo riteneva l’uomo giusto per il film, non era il suo guerriero spirituale.

Le scelte per il cast non sono certo da meno, si va da David Carradine a Brontis Jodorowsky, il figlio adolescente di Alejandro, fino ai nomi altisonanti di Mick Jagger, Udo Kier, Salvador Dalí per il ruolo dell’imperatore della galassia e Orson Welles nelle vesti del barone Vladimir Harkonnen. Durante la visione si percepisce nettamente l’entusiasmo dell’artista cileno, figura carismatica e magnetica che sembra irradiare luce intorno a sé,  nel rievocare gli aneddoti più curiosi legati alla composizione del cast. Veniamo così a sapere che Dalí si convinse a partecipare solo dopo che gli venne promesso che sarebbe stato l’attore più pagato di Hollywood (centomila dollari per ogni minuto – non più di cinque – in cui sarebbe apparso nel film) e che Welles accettò perché Jodorowsky gli assicurò che avrebbe assunto come suo chef personale il cuoco del suo ristorante parigino preferito.

È un dream team quello messo su per Dune e ne avrebbero fatto parte anche gli osannati e psichedelici Pink Floyd e i Magma, un gruppo all’epoca famoso per le sue sonorità gotiche e oscure, perfette per  le musiche relative ai crudeli Harkonnen. Per realizzare i loro costumi e la loro fortezza viene scritturato l’artista elvetico Hans Ruedi Giger, qui alla sua prima esperienza in campo cinematografico pochi anni prima di dar vita alla terrificante creatura di Alien di Ridley Scott a cui deve gran parte della sua celebrità.

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A completare la squadra delle meraviglie è l’artista britannico Chris Foss che si occupa principalmente dei veicoli e delle astronavi, disegnate come una sorta di enormi insetti viventi dotati di un’anima. Dall’unione artistica di quest’incredibile ensemble di geni nasce il leggendario libro di Dune che racchiude al suo interno tutto il film: storyboard, disegni a colori dei costumi e delle navi spaziali, ricostruzione accurata e dettagliata degli ambienti e dei luoghi presenti nell’opera. I grandi studios hollywoodiani ricevono una copia del libro del film e incontrano Jodorowsky e Seydoux ma si rifiutano di fornire il budget necessario, stimato all’epoca intorno ai quindici milioni di dollari, per realizzare quest’ambiziosa, fluviale e innovativa space opera. Come sostengono i vari critici e registi, tra cui Richard Stanley autore di Hardware e Demoniaca, intervistati nel documentario, Jodorowsky era un personaggio troppo originale e surreale per gli standard hollywoodiani, in netto anticipo sui tempi e con talmente tante idee che ci sarebbero voluti decenni per vederle realizzate tutte. Pavich ci mostra come il suo Dune abbia influenzato enormemente diversi film successivi, da Guerre Stellari a Terminator, da Flash Gordon al primo Indiana Jones fino ad arrivare ai più recenti Contact e Prometheus. A pensarci bene tutti rimandi inevitabili dal momento che Hollywood di lì a poco si servì del talento dei “guerrieri spirituali” di Jodorowsky. Dal canto suo l’artista cileno, smaltita la delusione e l’amarezza nel vedere qualche anno dopo il suo progetto affidato nelle mani di David Lynch per volere della famiglia De Laurentiis che ne realizzerà una versione confusa e di scarso successo economico, si dedicherà insieme a Moebius a L’Incal, opera a fumetti ispirata al suo Dune. I sogni però sono duri a morire e il giovane ultraottuagenario Jodorowsky, sfogliando il suo Dune insieme al figlio Brontis, si augura che qualcuno un giorno ne ricavi almeno un film d’animazione. Come dice giustamente Richard Stanley, quando devi dar vita ad una cosa tanto grande e non hai la possibilità di trasporla, continua a vivere nella tua testa, non puoi esorcizzarla, s’insinua dentro di te e finisci con l’esserne ossessionato per il resto della vita”. Le ultime frasi pronunciate da Jodorowsky al termine di questo viaggio a ritroso nel tempo suonano come un’incondizionata dichiarazione d’amore nei confronti della settima arte ed un esplicito incoraggiamento a chi decide di avventurarsi in questo mondo: perché non dovreste essere ambiziosi? Abbiate più desiderio d’ambizione che potete. Volete fare questa fantastica arte del cinema? Provate. Se fallite non è importante, bisogna provare.

La visione di Jodorowsky’s Dune non potrà che far felici i tanti estimatori dell’artista cileno e più in generale gli amanti del cinema tout court, che per novanta minuti si ritroveranno a fantasticare e a condividerne il suo sogno insieme ai guerrieri spirituali che sono arrivati ad un passo dal realizzarlo.

Boris Schumacher

http://www.taxidrivers.it/author/boris-schumacher


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