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JoePa

Creato il 24 gennaio 2012 da Alesan
JoePaPer un paio di giorni ho cercato le parole. E' difficile parlare di una persona che ha avuto tutto quello che voleva dalla vita, che ha ottenuto i successi che cercava, che ha dato tutto se stesso per uno sport. E, nel bene e nel male, ne ha scritto la storia. E' difficile perché sarebbe più corretto parlare degli sconfitti che dei vincitori, dare voce a chi voce non ha invece di stare qua a strombazzare insieme a decine di testate ufficiali (americane) della storia di un uomo famoso. Due giorni fa, dopo l'aggravarsi di una condizione di salute precaria legata ad una brutta malattia, si è spento Joe Paterno. Aveva compiuto 85 anni il 21 dicembre scorso, 61 dei quali trascorsi nel coaching staff di Penn State. Sedici anni da assistente, il resto da capo allenatore con due titolai nazionali vinti e tre Big Ten Conference, la più antica conference del football collegiale nella quale Penn State entrò nel 1993. Nel paese degli Zamparini fa un certo effetto leggere certi numeri. Ma non basta essere appassionati, avere un hobby o un passatempo, per trovare le parole per descrivere un personaggio del genere.
Si dà per scontato che dietro ad un allenatore del genere, leader e gran "formatore" di uomini, ancor prima che di giocatori, cultore di una grande disciplina ed eccellente maestro del gioco,  si nasconda un grande uomo. E probabilmente è così, per quello che si è sempre detto e sentito di JoePa. Io non l'ho conosciuto, ho solo visto ciò che creava sul campo e di quello potrei parlare. Ciò che diventavano i suoi ragazzi, più o meno forti o semplicemente abbastanza solidi da finire in Nfl, ma tutti che diventavano giocatori, giocatori veri. Si poteva pensare tutto il bene del mondo di questo nonno che all'università di Penn State sembrava essere più importante del presidente degli Usa. Lo si poteva dire sino all'autunno scorso, quando Paterno fu travolto da uno scandalo legato ad abusi sessuali su minori. Abusi, va detto, compiuti da un ex assistente di Paterno, Jerry Sandusky, che per 15 anni avrebbe compiuto crimini che, senza timore di eccedere, definisco orripilanti (si parla di almeno 40 abusi). JoePa, venutone a conoscenza, avrebbe detto tutto al rettore dell'università ma, una volta capito che nulla succedeva dopo la sua denuncia, non sarebbe andato oltre. Non avrebbe chiamato la polizia per denunciare il proprio allenatore della difesa. Né lo avrebbe allontanato da squadra e università.
Senza entrare nel merito di una indagine ancora in corso, senza esprimere giudizi su un atteggiamento che può essere contestato ma è di difficile comprensione in un mondo dove uno scandalo intimorisce più di una violenza, né senza esprimere giudizi in questo posto che non appare il luogo adatto, la condanna, quantomeno morale, per Paterno è più che scontata. E lecita. La sua immagine sfregiata. L'idea di questo conservatore fedele ai propri ideali e alla disciplina, definitivamente incrinata. Forse è per questo che non si trovano le parole. Che io non trovo le parole. A dispetto di un pubblico, quello dei tifosi dei Nittany Lions di Penn State, che lo hanno difeso, increduli, sino alla fine e che oggi prolungano una veglia infinita in ricordo di un eroe sportivo. Lo scandalo ha obbligato JoePa e la sua università a separarsi in modo tragico e definitivo. Mi piace pensare, come detto dal mio amico Ciava in altri luoghi, che come quei vecchietti che hanno passato un'intera vita con la propria compagna, che si spengono improvvisamente senza riuscire a sopravvivere non all'età, bensì alla solitudine, JoePa non sia sopravvissuto alla separazione dalla propria scuola. Mi piace pensare così, ad un finale romantico travolto dalla tragicità della verità giudiziaria. JoePa senza Penn State è durato un batter di ciglia, Penn State senza JoePa durerà in eterno. Ma anche questo è parte dello sport, del mondo che cammina in avanti. 
E la morte di quest'uomo molto meno credibile agli occhi di noi lontani spettatori, assume le forme della fine dolorosa dell'amore di una intera vita. Un atto tragico e disperato che chiude in romanticismo una figura ormai troppo offuscata. Un momento alto, benché tragico come la morte, che può sostituire ogni parola. Soprattutto le mie, che fatico a tirar fuori ma che, nel pieno dell'ipocrisia e della febbre da tifo, non mi impediscono di lasciarmi sfuggire almeno un ciao Joe. Per tutto quello che ho visto e imparato. Perché la vita è una roba seria ma il football, a volte, è soltanto un gioco. E vorrei riuscire a non mischiare le cose anche se, davanti a certi episodi, mi riesce impossibile. E' un libro che si chiude e si appoggia sul comodino con un po' di malinconia. Tutto qui.  

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