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Juba (Sud-Sudan) / Città o ghetto per gli africani d'Israele ?

Creato il 10 marzo 2012 da Marianna06

 

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Ottimi rapporti, a quanto riferiscono le cancellerie, si sono instaurati  ,di recente, tra il nuovo Stato africano del Sud-Sudan, l’ultimo”nato” nel continente nero, e quello di Israele.

E lo conferma la visita cordiale dello scorso dicembre di Salva Kir, presidente dello Stato africano, ai due leader israeliani, Shimon Peres e Benjamin Netanyahu.

Visita in Israele preceduta da altre due importanti, fatte rispettivamente da uomini politici di grosso calibro del Kenya e dell’Uganda.

Parlo del primo ministro kenyota Odinga e del presidente ugandese Museveni.

Perché queste intese d’amorosi sensi tra Israele e l’Africa?

In particolare, poi, perché proprio di quest’Afriche ?

Ufficialmente le ragioni più ovvie  possono essere,ad esempio, quelle del commercio delle armi, che costituisce sempre  un grosso affare e, per giunta, in territori, tanto in Africa quanto in Israele , decisamente “caldi”.

Ma probabilmente  la verità vera è un’altra.

E cioè Israele vuole dal Sud-Sudan, nato dalla secessione dal Sudan di Al-Bashir,come dal Kenya e dall’Uganda, garanzie politiche contro l’avanzata del fondamentalismo islamico, specie quello di marca somala, di cui ormai conosciamo bene,anche in Occidente, tutto il negativo possibile.

Inoltre sono moltissimi anni che si verifica un transito continuativo e mai interrotto di persone, attraverso il deserto del Sinai, verso Israele.

Si tratta in prevalenza di giovani eritrei che, come tutti, come giustamente tanti africani e non solo eritrei, vogliono sottrarsi ad un destino fatto di oppressione e povertà e scelgono per questo,sia pure correndo grossissimi rischi, il cammino verso una presunta ambita libertà di realizzazione.

Ora pare, invece, che Israele  voglia liberarsi di questi “scomodi” abitanti, qualcosa come 50mila persone, di cui 30mila eritrei e circa 20mila sudanesi  e intenda al più presto rispedirli lì da dove sono venuti.

Così, a sua volta, il Sud-Sudan, per favorire il recente amico-alleato-benefattore israeliano, ha intenzione di riaccogliere questi migranti per popolare una città di recente costruzione, che  ha in programma di edificare a breve.

E tutto, in questo modo, avrebbe la sua spiegazione.

Gerusalemme si dice per questo disponibile a partecipare anche economicamente.

Ma parlare di Sud-Sudan e parlare di petrolio è la stessa cosa. E petrolio vuol dire ricchezza e  significa  sopratutto sviluppo.

Ad un Sud-Sudan senza idonee infrastrutture per poter sfruttare a dovere l’oro nero, ha pensato  allora il Kenya, che ha in cantiere la costruzione a Lamu di uno scalo petrolifero, utilizzabile anche da Juba.

In più il rientro dei migranti eritrei e sudanesi per il Sud-Sudan ha una sua logica, che non fa una grinza.

E cioè a queste persone,ospiti della futuribile città , che ci si augura non sia  un “ghetto”, come potrebbe anche essere, verranno offerte opportunità di formazione e di addestramento  sempre in vista del futuro sviluppo del nuovo Stato africano.

Miracoli del petrolio e di altri minerali pregiati?

Quasi certamente sì.

La preoccupazione autentica di chi ragiona  con disincanto resta però che questi giovani eritrei o sudanesi, che siano, non finiscano con l’essere soltanto ostaggi di un benessere annunciato e che con loro quasi certamente non avrà mai niente a che vedere.

 

   A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

In basso una fotografia aerea della città di Juba, capitale del Sud-Sudan

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