Magazine Solidarietà

Juju, tra magia nera e credenza diffusa

Creato il 30 luglio 2013 da Gianfrancodv @Gdv1964
Affrontare il tema della magia nera in Africa è di grande complessità. Tradizioni e religione, ancestrali riti e "moderne" credenze si fondono in una miscela di difficile interpretazione e comprensione. Dal nostro mondo, dimenticando il passato (e non solo), tendiamo a liquidare in modo superficiale queste "credenze" inquadrandole all'interno di una generica ignoranza e arretratezza, come se questa presunta superiorità bastasse a risolvere il problema.Naturalmente nulla è più sbagliato. Il rito, la magia, le credenze hanno avuto, e continuano ad avere nelle società africane, un valore di grande importanza. La funzione dello stregone o del sacerdote nelle comunità rurali africane continua ad avere grande significato nella vita quotidiana, questo oltre alcune pratiche che a noi appaiono (e spesso lo sono)  incomprensibili, assurde e talora pericolose. Un ruolo che spesso è anche quello di guida in contesti dove poche sono le alternative alla soluzione dei problemi. E' chiaro che il confine tra il ruolo guida e pratiche dannose e pericolose è molto labile.
Non è mia intenzione in questo post appofondire il tema della magia nera (che richiederebbe approfondimenti e competenze che non posseggo) bensì quello di evidenziarne come, anche nella società moderna, il legame con queste pratiche non si è mai interrotto.

Juju, tra magia nera e credenza diffusa

foto da Wikipedia

In tutta l'Africa Occidentale (altrove assume nomi e pratiche diverse), ad esempio, l'utilizzo dei talismani o amuleti è molto frequente e investe trasversalmente tutte le classi sociali ed economiche. Lo juju (in altri contesti gris-gris) è un amuleto di grande importanza. Una delle forme più comuni è quella del "sacchetto", una sorta di piccola borsetta di pelle dove all'interno possono essere contenuti versetti del corano, erbe, ossa, piccoli oggetti, capelli o unghie. Tale sacchettino viene tenuto legato alla vita o al petto (talora anche al collo al braccio).Le funzioni credute di questo amuleto variano di molto. Dalla protezione personale alla contraccezione, da tenere lontani i nemici a far innamorare un uomo o una donna. Insomma la personalizzazione è massima.Quando si parla di questi talismani in Africa si spazia da quello indossato sotto la giacca del direttore di banca di Lagos, convinto che questo lo aiuterà a fare carriere o a mantenersi sano, a quello indossato dai guerriglieri durante la guerra civile in Liberia, convinti di essere, grazie al loro talismano, immuni ai proiettili.

Sono spesso innocue credenze, paragonabili al "nostro" crocifisso al collo, ma che possono assumere aspetti terrificanti, se pensiamo al contesto ad esempio delle guerre civili (non solo in Liberia).Ricordo un episodio che, perfino ironicamente (nel suo dramma) esprime bene il contesto in cui si possono muovere queste credenze.Lamin lavorava in un Laboratorio di Veterinaria in Gambia. Era un bravo tecnico, scrupoloso e preciso. Maneggiava con destrezza solventi e reagenti chimici. Un giorno, durante il lavoro, un veterinario svizzero parlando con lui, affrontò il tema del juju che Lamin portava gelosamente alla sua vita. Egli naturalmente sosteneva che quell'amuleto lo proteggeva da tutto, dalle malattie e perfino dai proiettili di una pistola. Potete immaginare lo stupore e lo scetticismo del veterinario, cresciuto in un ambiente scientifico materialista e laico. La discussione, come era prevedibile assunse toni sempre più accessi. Lamin sosteneva le sue tesi frutto della sua storia e delle sue credenze, il veterinario, dopo aver provato a contrapporre la ragione passò, in modo azzardato, alla derisione e alla canzonatura. Intorno si era radunata una piccola folla che commentava sostenendo l'una o l'altra tesi. Lamin infastidito, prese un coltello e dopo aver affermato che il suo juju lo avrebbe protetto persino dalla morte, se lo piantò in mezzo al petto.

Lo stupore generale e l'incredulità lasciarono immediatamente il posto all'emergenza. La ferita sanguinava copiosamente. Lamin fu tempestivamente caricato in auto e portato nel vicino ospedale. Nell'Ospedale, distante solo un chilometro, fu portato in sala operatoria dove si sapeva che l'unico medico presente, un olandese, stava iniziando un intervento. Giunto sul posto, oramai quasi privo di conoscenza, Lamin fu preso in carico dal medico olandese, il quale, con grande tempestività (complice anche la sala operatoria pronta per un'altro intervento) lo operò. 
Due giorni dopo, il veterinario, sconvolto e roso dal senso di colpo, andò a trovare Lamin (che si era ripreso alla grande) in Ospedale. Lamin lo vide e sorrise. "Hai visto - disse - avevo ragione il mio juju mi ha salvato. Non sono morto".
La realtà è veramente un punto di vista.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazine