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Juventus e la maledizione (sfatata) del 18 marzo

Creato il 19 marzo 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

La storia del difficile rapporto tra la Juventus ed il 18 marzo, data “maledetta” fino al sorprendente dominio di Dortmund.

Servivano uno stadio storicamente favorevole come il Westfalenstadion di Dortmund e una prestazione fisico-tecnico-tattica da vera big europea per infrangere una strana e curiosa maledizione che la Juventus si trascinava dietro da ormai più di qualche stagione. E i due elementi si sono rivelati sufficienti: i bianconeri hanno trionfato con un 3-0 senz’appello e, in special modo, lo hanno fatto il 18 marzo, data che negli ultimi decenni di storia juventina ha spesso coinciso con cadute rumorose, sia in Italia sia, più recentemente, nelle competizioni continentali.

Riavvolgendo il nastro del tempo e sfogliando metaforicamente gli archivi, spunta fuori un complicato 18 marzo 1984 per la Juventus di Trapattoni, orfana da quell’annata di pilastri come Zoff e Bettega, ma nuovamente in corsa per vincere il campionato dopo il secondo posto del 1982-83. Era il secondo anno della coppia Boniek-Platini, anche se la colonna vertebrale era rimasta quella dei campeones di Spagna ’82 (Paolo Rossi, Tardelli, Scirea, Gentile e Cabrini). Ospite dell’Hellas Verona, la capolista sbloccò subito il risultato con il fenomeno francese, proiettato verso il suo secondo Pallone d’Oro, ma si fece rimontare nella ripresa da un rigore di Iorio e dal gol partita dell’ex Galderisi. Da quella sconfitta, la Vecchia Signora infilò tuttavia una striscia di sette risultati utili e portò in bacheca il ventunesimo scudetto.

Avvicinandoci a grandi passi ai giorni nostri, la proverbiale eccezione che conferma la regola si verificò il 18 marzo 1998, quando la Juventus di Marcello Lippi, ma soprattutto del formidabile trio composto da Del Piero, Zidane e Inzaghi (70 gol complessivi a fine stagione), si impose a Kiev, sul campo della Dinamo, con un rotondo 1-4 e si qualificò per le semifinali di quell’edizione della Champions League. Il cammino proseguì sino alla finale di Amsterdam, la terza consecutiva per i bianconeri, ma a sollevare la coppa dalle grandi orecchie fu il Real Madrid, portato al successo dal gol di Mijatovic.

Da quella stagione in avanti, il 18 marzo ha portato soltanto dolori e delusioni alla società di Corso Galileo Ferraris. Tre anni dopo il successo in Ucraina, nel 2001, in panchina sedeva Ancelotti e l’avversario erano niente meno che i campioni d’Italia in carica, ovvero la Lazio di Simeone, Mihajlovic e Crespo, di Verón, Stankovic e Nedved. L’unico a salvarsi in quella serata nerissima fu il solito Del Piero, che però non poté nulla di fronte alle doppiette del Valdanito, capocannoniere di quella stagione, e del centrocampista ceco, che da lì a pochi mesi avrebbe iniziato il suo percorso destinato ad issarlo a bandiera e poi ad altissimo dirigente della stessa Juventus. Quell’anno, al termine di un appassionante quanto discusso dualismo, la spuntò la Roma di Capello e Batistuta, con due punti di vantaggio sui bianconeri (e sei sui cugini laziali).

Le ultime due partite disputate dalla Juventus il 18 marzo, prima della festa appena celebrata a Dortmund, ebbero lo stesso esito, ovviamente una sconfitta, ma due sapori totalmente diversi.
Il primo episodio risale alla seconda fase a gironi della Champions League 2002-2003, più precisamente all’ultima delle sei giornate previste: gli uomini di Lippi erano praticamente certi della qualificazione tra le migliori otto e scesero in campo a Basilea con poche motivazioni e un moderato turnover. Il capitano dell’occasione, Alessio Tacchinardi, portò avanti la Juventus in avvio di match, ma l’orgoglio degli svizzeri, unito alla tradizione negativa della data, ribaltò la situazione, con l’argentino Giménez che completò la rimonta al 92° minuto. Da quel tonfo, tuttavia, la Juventus non si fermò più: eliminò il Barcellona ai supplementari al Camp Nou e il Real Madrid dell’ex Zidane, per poi, come tutti ricordano, sbattere su Dida ai rigori della finale di Manchester. Lippi si prese poi la rivincita su Ancelotti aggiudicandosi il quinto scudetto in sette anni a Torino, il ventisettesimo della storia della Juventus.

Ma il vero schiaffo targato 18 marzo, quello più doloroso, la Vecchia Signora l’ha subito poco più di cinque anni fa, nel 2010, a Craven Cottage, in occasione del ritorno degli ottavi di finale di Europa League. Reduce dal 3-1 dell’Olimpico torinese, la Juventus si presentò a Londra, sul terreno del Fulham, dopo un 3-3 casalingo contro il Siena, che fu addirittura in grado di recuperare il triplice svantaggio accumulato dopo dieci minuti. Il morale sotto i tacchi per una stagione ormai fallimentare poteva solo essere parzialmente recuperato con una qualificazione ai quarti, che pareva acquisita grazie al vantaggio lampo firmato Trezeguet. Ma quella Juventus era totalmente priva di stabilità e di fiducia, mai in grado di difendere una situazione favorevole. E la rimonta del Fulham, per nulla abbagliato dal color oro delle divise delle zebre, fu l’apice dei disastri di quella gestione, o meglio il fondo del pozzo, un altro 4-1 come quello di Roma di nove anni prima. Zamora, la doppietta di Gera (nella serata della carriera) e Dempsey estromisero dalla competizione i bianconeri, ancora una volta scottati dalla maledizione del 18 marzo.

Antonio Conte, nei suoi tre anni fulminanti, non è mai stato testato da una partita in tale data e allora la palla è stata passata ad Allegri. Ma le lucidissime mosse strategiche dell’allenatore livornese, pur privo di Pirlo dall’inizio e di Pogba dopo la prima mezz’ora, e la contestuale benedizione dello stadio del Borussia, teatro della semifinale di Germania 2006 e di tre vittorie su tre trasferte in passato, hanno avuto la meglio sui precedenti negativi. Il 18 marzo hanno perso Trapattoni, Ancelotti e Lippi. Allegri non ci ha fatto caso: BVB a casa con un secco 0-3, complimenti diretti e sinceri da Marotta, Klopp e da milioni di tifosi e Juventus di nuovo ai quarti di Champions, con il ruolo di outsider di lusso. Qualcuno già urla “Andiamo a Berlino!”, di “caressiana” memoria, ma la strada è tortuosa, ripida. Il 18 marzo è passato, questa volta positivamente, ma nell’urna di Nyon di domani aspettano Messi e Neymar, Cristiano Ronaldo e Bale, Guardiola e i suoi fenomeni dalla Baviera. Serviranno altri fenomeni per andare ancora oltre, serviranno tutti e serviranno integri: il meglio deve ancora comparire all’orizzonte, e non è detto che sia il meglio per la Juventus. Sarà sicuramente il meglio del calcio, un altro tassello di storia.

Tags:18 marzo,Allegri,Ancelotti,bianconeri,Borussia Dortmund,calcio,Champions League,conte,curiosità,Dortmund,Italia,juventus,Lippi,maledizione,Signal Iduna Park,sport,trapattoni,Vecchia Signora,Westfalenstadion

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