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Kathmandu: smart city

Creato il 10 maggio 2012 da Cren

Kathmandu: smart cityThapathali, Teku erano i quartieri che chiudevano a sud la vecchia Kathmandu; c’erano templi antichi e dilapidati sulle rive del sacro fiume Bagmati. Già decenni orsono era un area abbandonata malgrado fosse d’interesse storico, artistico e religioso. Negli ultimi 20 anni, come in altri 60 insediamenti lungo i fiumi (Bagmati, , Bishnumati, Manahara) che attraversano la Valle,  sono comparse le baraccopoli costruite da oltre 50.000 nepalesi fuggiti dai villaggi delle colline o del Terai per paura della guerra, mancanza di terra, cercare fortuna. Come nell’antichità gli insediamenti sono nati dove c’era acqua per lavare e per cucinare anche se imbevibile.

Scene tristi sul fiume secco e sporco, circa 300 baracche sono state demolite, le cianfrusaglie dei poveretti schiacciati dai bulldozer (comprati con i soldi dell’assistenza internazionale), bambini e donne piangenti, stracci dappertutto e giovani incazzati che si picchiavano e tiravano pietre alla polizia: 12 feriti e una trentina d’arrestati.  Lì nella curva del fiume vivevano 2000 persone da oltre 10 anni, i bambini andavano a scuola, qualche fortunato genitore a labvorare, le donne cucinavano sui fornelletti a gas o cherosene,  erano certi di rimanere. 

La baraccopoli è’ chiamata UN Park, perché sulla strada che porta ai lussuosi  compound degli uffici e delle case dei burocrati internazionali. Tutti i giorni passavano da lì nelle belle jeep bianche e vedevano le baracche, i poveracci accovvacciati per terra che accendevano fuochi con qualche pezzo di legna, i bambini che uscivano dai teli vestiti con stracciate divise scolastiche e se ne sono impippati. Unico segno d’attenzione un bel report patinato dell’Unicef (sugli urban children) e della World Bank che racconta la caotica urbanizzazione. Entrambi i rapporti suggeriscono i rimedi, senza aver fatto niente per controllare e limitare i problemi. Anche a Teku, l’unico intervento strutturato, è stato quello della polizia. Donatori e governi hanno lasciato che, per 20 anni, i problemi crescessero, non si è fatto niente per creare le condizioni perché questa gente rimanesse nei villaggi, non si è intervenuto per risanare o creare abitazioni civilei Adesso il governo promette Nrs. 15.000 e una futura, improbabile, abitazione a  Bungamati. Per adesso la gente è per strada.

Dopo decenni, un bel giorno, proprio sotto il governo dei maoisti e di “servire il popolo” è venuta l’idea di creare una “shining Kathmandu” con strade larghe, centri commerciali, fioriere, giardini. Tutta la spazzatura, umana e materiale doveva essere rimossa e in fretta. Lo stesso è accaduto lungo tutte le principali vie di comunicazione verso Dhulikel e a Tankot verso Pokhara,  il Terai:  Kalanki-Rabhi bhawan section, Maitighar e Tinkune. Solo nelle aree centrali di Kathmandu, Baneshwor e Lazimpath, dove vivono i più benestanti, l’abbattimento è stato limitato e lento.

Niente da dire sulla necessità del make-up di Kathmandu, una delle città più scassate e caotiche del mondo, chiusa in una Valle e con un urbanizzazione velocissima, nel 1971 solo il 4% della popolazione viveva nelle città, oggi si supera il 15% ;spostamento che è avvenuto in alcune città del Terai( Birgunj, Nepalganj)  ma principalmente nella piccola e urbanisticamente medioevale Valle di Kathmandu. Si è anche parlato di spostare la capitale amministrativa del paese nel Terai a Chitwan, per decongestionare la Valle. Nella foto l’espansione delle costruzioni e, parte delle poche aree bianche, sono quelle diventate slums o costruite.

Tutti questi movimenti di gente hanno provocato una bolla speculativa che ha portato gli affitti delle abitazioni più sfigate a oltre Nrs. 6000 mensili, cioè la metà del reddito di un nepalese fortunato. Acquistare una casa, anche nei nuovi casermoni della periferia, non costa meno di 300 euro al mq, con tassi dei mutui che superano il 10%. Risaie, campi di mostarda, foreste di bambù e yarcanda sono stati spianati e riempiti con blocchi di cemento. I templi, pagode, stupa che hanno resistito durante questa corsa ventennale alla costruzione sono, ora, schiacciati, nascosti, spaventati dalle brutture che gli sono comparse intorno.

In questa situazione di mercato non sorprende che alcuni squatters siano dei furbacchioni che, hanno le attività e case altrove, ma sperano di ottenere la proprietà della terra occupata, seguendo promesse e protezione di politici-affaristi. Ma, la maggior parte, sono Sukhumbasi (i senza terra) di cui centinaia di ONG dovrebbe, nei loro rapporti, occuparsene. Gli insediamenti sotto il ponte che porta a Patan (Thapathali) si sviluppò dal 2006, quando i maoisti favorirono la migrazione per usare i poveracci come massa di manovra politica. Lo stesso fece l’UML (comunisti moderati) che si garantì un serbatoio di voti affittando per 20 anni (dal 2002) agli squatters (tramite le ONG locali:  Society for the Preservation of Shelter and Habitation in Nepal, Mahila Ekata Samaj e Lumanti Support Group for Shelter) i terreni che sono, oggi, spianati da bulldozer e polizia.

Il sindaco d’allora, Keshav Sthapit, che si dimise per le minacce dei maoisti (ironicamente proprio per le espropriazioni) è tornato alla luce ed è diventato il responsabile della Kathmandu Valley Development Commission, con pieni poteri (e finanziamenti della Asian Dev. Bank) per rifare la città e dare un calcio nel culo agli squatters. Un tecnico.


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