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Kevin Spacey. La beffa del Diavolo

Creato il 16 marzo 2015 da Oggialcinemanet @oggialcinema
Kevin Spacey. La beffa più grande del Diavolo è stato convincere che non esiste“La beffa più grande che il Diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste”. Parole di Roger “Verbal” Kint. Anno di grazia 1995, l’anno che ha fatto conoscere al mondo Kevin Spacey: Verbal Kint ne I soliti sospetti e John Doe in Seven. Il Diavolo, probabilmente: in entrambi i film Spacey rappresentava il Male. I suoi due villain da antologia sceglievano di apparire in modo opposto. Il primo mimetizzandosi, mistificando, nascondendosi in un uomo apparentemente insignificante. Il secondo esibendosi, scegliendo lo show, facendosi annunciare da efferate uccisioni ad effetto prima di manifestarsi direttamente alla stazione della polizia che lo stava cercando. Prima del gran finale, i minuti che il suo John Doe passa in macchina con i poliziotti Somerset e Mills ci tiene inchiodati, ci riempie di paura. È ammanettato, è separato da loro da una griglia. Eppure parla, non dice cose a caso. E ci guarda, con quegli occhi. Sappiamo che è pericoloso, anche se pare sotto controllo. Il Diavolo può tutto. E così sarà.Quei due personaggi non sono più usciti dal nostro immaginario collettivo. E neanche dal mondo di Spacey. Nella sua carriera tutto torna. La camminata claudicante e insicura di Verbal Kint è in fondo quella di Frank Underwood, il grande protagonista della serie tv House Of Cards, che ha regalato nuovamente a Spacey un grande ruolo che merita. E che il cinema ultimamente non aveva più saputo dargli. Anche Underwood, come il Diavolo, ha convinto il mondo di non esistere: la serie inizia mentre lui è un deputato della Camera degli Stati Uniti, è il capogruppo della maggioranza. Non uno che appare, ma uno che tira le fila. Sempre in secondo piano, sempre senza apparire, Frank scala le gerarchie fino a diventare il Presidente degli Stati Uniti. Il gioco di House Of Cards (prodotta da quel David Fincher che lo lanciò in Seven) è palese, ed è rivolto proprio a noi che guardiamo: Frank parla guardando in macchina, si rivolge proprio a noi. La sua scelta è svelarci gli intrighi della Casa Bianca, della politica e del potere, renderci partecipi, complici. Come in ogni gioco della politica, cosa che Frank sa fare benissimo, ci ha proposto uno scambio: lui ci svela i segreti, in cambio del nostro appoggio. Sì, perché se nella realtà, o anche in altri film, tiferemmo contro un personaggio del genere, e a favore di chi cerca di incastrarlo, qui siamo sfacciatamente dalla sua parte. Per lo stratagemma che vi abbiamo detto. Ma anche perché, pur con modi da condannare, è uno che fa le cose. E forse perché un po’ di cattiveria e ambizione risiedono in tutti noi. Siamo tutti Frank Underwood.“Se guardo agli ultimi dieci anni, dove ho recitato ogni anno in teatro, mi piace pensare questa decade mi abbia reso un attore migliore. Tutto questo lavoro mi ha preparato a lavorare nel miglior modo possibile, e sono convinto che se non avessi fatto tutto questo, non sarei stato pronto per una cosa come House Of Cards”.Il suo Frank permette a Kevin Spacey di realizzare cose che agli altri suoi personaggi non era concesso. Per esempio, una relazione con una donna molto più giovane, la giornalista Zoe Barnes, interpretata da Kate Mara: una cosa che il suo Lester Burnham, il protagonista di American Beauty di Sam Mendes (Oscar come miglior attore protagonista, dopo il non protagonista vinto per I soliti sospetti), si poteva solo sognare, mentre immaginava la lolita Mena Suvari, compagna di scuola della figlia, cosparsa di petali di rose rosse. Spacey fu voluto fortemente da Mendes, mentre la Dreamworks proponeva attori di grido come John Travolta, Kevin Costner o Bruce Willis. È un ruolo insolito, nella carriera di Spacey, quello di un perdente, di un frustrato. “Generalmente interpreto personaggi molto furbi, manipolativi e intelligenti” dichiarò Spacey. “Di solito io mi muovo nell’oscurità, in una sorta di acque pericolose. Qui invece si tratta di un uomo che vive un passo alla volta, agendo d’istinto. È questa in realtà una parte molto più vicina a me, per il mio modo di essere, rispetto alle altre”.“Ammiro così tanto Woody Allen. Ero arrivato a un punto che, ogni volta che annunciava un nuovo film, non riuscivo mai ad avere un’audizione né c’era qualcuno che mi avvisasse. Così ho deciso di regalargli un abbonamento a Netflix perché vedesse House Of Cards. Mi ha risposto, mi ha ringraziato e mi ha detto di aver visto molti miei lavori, e che mi avrebbe tenuto in considerazione per i prossimi film”.Ispirato alle movenze “grossolane e comiche” di Walter Matthau, ma anche al Jack Lemmon de L’appartamento (a cui dedicò l’Oscar), Lester Burnham vede nel film cambiare il proprio fisico da flaccido a tonico (l’attore dovette cambiare spesso la propria postura, visto che il film non venne girato in ordine cronologico), grazie a lunghi allenamenti al vogatore. Proprio quell’attrezzo che Claire, sua moglie, regala a Frank Underwood in House Of Cards, per renderlo più atletico, e a cui, per amore (o per timore?) Frank si dedica ogni sera al piano inferiore della propria abitazione. Anche Lester, come Frank, in American Beauty ci ha conquistati subito grazie al suo rivolgersi a noi in voce off. Confidandosi.E forse la chiave della grandezza di Kevin Spacey, e dei suoi personaggi, è proprio questa: l’umanità. Codardi e perdenti, o spietati e vincenti, i suoi personaggi si aprono a noi. Ci dicono le loro ragioni. Il resto lo fa l’attore. I suoi sguardi liquidi, melliflui, taglienti, quel modo di guardare dal basso verso l’altro. Il sorriso dolciastro e suadente che in pochi istanti può mutare in ghigno beffardo, che si fa largo tra le due gote scavate che sono il suo marchio di fabbrica. Come il suo Frank Underwood, Spacey è terribilmente attento a ogni aspetto, anche mediatico, della sua carriera e della sua vita. Sin da quando convinse Fincher a non inserire il suo nome nei titoli di testa di Seven per non rovinare l’effetto sorpresa del suo ingresso in scena. Per arrivare alla sua vita privata, di cui ha fatto sempre trapelare poco o niente. Ma non ci occorre sapere molto di lui. Ci bastano i suoi personaggi.“Sono abituato al fatto che la gente pensi che io sia pazzo. E lo sapete? Amo questa cosa”.È THE FACE del mese di marzo perché: il suo Frank Underwood, protagonista di House Of Cards, la cui terza stagione è appena partita su Sky Atlantic, è uno dei personaggi del momento. E regala al grande attore uno di quei ruoli da villain che forse il cinema non gli dava più.di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net Kevin Spacey. La beffa del Diavolo ultima modifica: 2015-03-16T11:03:55+00:00 da Redazione OAC

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