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Killer a Milano e quella inconfessabile voglia di laicità

Creato il 12 maggio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Killer a Milano e quella inconfessabile voglia di laicità Probabilmente Letizia Moratti mal sopporta la responsabilità della quale è stata investita nella corsa alla prima poltrona dell’ex capitale morale italiana. I nervi sono a fior di pelle, e il sentirsi in qualche modo “responsabile” della tenuta o meno del governo, la sta facendo andare fuori di testa perché è un peso superiore alle sue forze e alle sue risorse intellettuali. Quello che è accaduto fra il sindaco uscente di Milano e l’avvocato Giuliano Pisapia (il candidato più forte dell’opposizione), nel corso dell’unico faccia a faccia televisivo fra i due, rasenta infatti la sindrome da disperazione della quale sembra essere vittima la mamma di Batman. Il fatto. Studi di SkyTg24. L’incontro/scontro fra Letizia Moratti e Giuliano Pisapia è giunto alla fine. Il faccia a faccia è stato nervoso, molto teso e i contendenti non si sono risparmiati frecciate al curaro e una mal repressa voglia di mandarsi affanculo. La conclusione spetta al sindaco uscente che non trova di meglio da fare che dare una notizia falsa anzi, una non notizia. “L’avvocato – ha detto “mom” – si è reso responsabile del furto di un’auto utilizzata poi per un pestaggio. C’è una sentenza della Corte d'assise che dichiara il reato estinto per amnistia”. La sparata della Moratti è avvenuta all’ultimo secondo utile di registrazione, segno inequivocabile che è stata pianificata a tavolino e portata a termine con fredda lucidità proprio come un killer di professione fa con le sue vittime. Ovviamente, mancando il tempo, né Pisapia ha potuto ribattere né la Sindaca ha potuto completare l’accusa, perché avrebbe dovuto farlo affermando: “L’avvocato Pisapia, che è un galantuomo, consapevole di non essere colpevole di alcunché, presentò ricorso contro l’amnistia e, con il procedimento numero 76 del 1985, la terza corte d’assise d’appello di Milano, presieduta dal giudice Luigi Maria Guicciardi, accolse l’appello assolvendo Pisapia per non aver commesso il fatto”. La poco signora Moratti che, come dice Beppe Grillo: “il marito si è tolto dalle palle dandole 12 milioni di euro e mandandola a fare il sindaco”, ha cercato di mettere una pezza al mezzo disastro (e alla querela per diffamazione aggravata) che aveva combinato dichiarando: “Io provengo da una famiglia moderata, la mia cultura è moderata ho cercato solo di far capire che Pisapia non è un moderato” che, nel caso specifico, è come dire che chi si becca una multa per divieto di sosta o per eccesso di velocità è un pericoloso terrorista al soldo di Al Qaeda. E invece no, è stato solo il maldestro tentativo di avviare ancora una volta la macchina del fango di berlusconiana pratica con l’unica differenza che la batteria era scarica, le ruote sgonfie e il motorino di avviamento semidistrutto. Non siamo in grado di giudicare, o meglio di capire, quanto questo killeraggio pianificato possa incidere sul risultato finale delle elezioni milanesi, quel che è certo è che l’aria che si respira nel Pdl non è delle migliori, che c’è una palese crisi di nervi e un’ansia da prestazione che toglie il respiro e la necessaria lucidità. Se fossimo cittadini milanesi che fino a ieri non sono andati a votare per stanchezza, oggi un colpo di reni ci sentiremo di darlo perché non si può avere per sindaco, come illuminante esempio di primo cittadino, un mentitore consapevole di esserlo. E la differenza fra la sempre poco signora Letizia Moratti e il suo Capo sta tutta qui, lei mente sapendo di farlo, Berlusconi lo fa per patologica mistificazione acclarata e reiterata. Se si dovesse tener fede alle parole del presidente della Repubblica, che richiede a questa classe politica “credibilità”, le prossime elezioni amministrative non dovrebbero avere storia ma purtroppo non è così, anche se resta la speranza che perfino il più cieco e sordo e indifferente degli italiani torni a votare per dire un no secco e deciso al nulla. Perché vedete, cari amici lettori, non è vero che tutti i politici sono uguali. E chi continua ad affermarlo fa solo il gioco di chi ha massacrato la nostra storia, di chi ha cercato di mettere sullo stesso piano i partigiani e i repubblichini, di chi lavora incessantemente per far credere agli italiani che tutti sono corrotti, tutti sono dei concussori, tutti dei mistificatori, tutti dei bugiardi, tutti dei profittatori e tutti dei puttanieri inveterati. E ci dispiace ancora di più quando un personaggio come Beppe Grillo si unisce al coro di quelli che, grazie alla “teoria del tutti uguali”, continuano a governare una nazione bisognosa come non mai di riappropriarsi del concetto alto di democrazia, di partecipazione attiva, di legalità e di quel senso di “Stato laico” (sancito dalla Costituzione) che si è perso nei meandri puteolenti del rapporto affaristico fra questo governo e la chiesa cattolica. Ieri sera siamo andati a sentire Rosy Bindi (mentre Beppe Grillo lo avevamo ascoltato nella tarda mattinata). È la seconda volta che ne parliamo in pochi giorni e non vorremmo che nella mente di chi ci segue si facesse strada la convinzione che siamo diventati “bindiani” perché così non è. Però siamo costretti (con piacere in verità) ad ammettere che la presidente del Pd incarna l’animo più laico del suo partito, di quel credente che conosce perfettamente quale ruolo occupa Dio e quale Cesare e che non cerca voti “perché sono cattolica ma solo per il mio impegno, per quello che ho fatto, faccio e intendo fare nel futuro”. Al contrario di molti suoi colleghi del Pd che vanno alla ricerca di Dio (e la pubblicano in pallosissimi saggi) o che si professano atei pentiti o che baciano l’anello del Cardinale Carrozziere convinti che nel segreto dell’urna qualche voto a loro favore ci possa scappare, la Bindi tiene distinti i due “sentire”, essere cioè da una parte cattolico e dall’altra un politico che deve per forza di cose fare il bene anche di chi cattolico non è e non ne ha le stesse sensibilità. Inutile ripercorrere la storia della cattolica-democratica Rosy Bindi perché dovremmo partire da quella di Aldo Moro e di Vittorio Bachelet, che pure servirebbe a chi li cita a sproposito, quello che vogliamo dire con voce sommessa, e cercando di non farci trasportare dal tifo politico, è che se si riuscisse a tornare alla laicità vera dello Stato, Berlusconi scomparirebbe per un magico incanto perché lui è l’incarnazione della peggiore teocrazia trasformata in regime confessionale; la fregatura è che si ritiene Dio e quindi non c’è discussione che tenga. Per quello che può valere il nostro modo di concepire la politica e il nostro impegno, diciamo che torneremo a votare e lo faremo contro le nostre più profonde convinzioni. Che voteremo il 15 e il 16 maggio, il 12 e 13 giugno, alle prossime elezioni politiche e fino a quando le mezzeseghe che attualmente ricoprono abusivamente ruoli di responsabilità non torneranno a fare le mezzeseghe nei loro piccoli mandamenti di Brancaccio, della Vucciria e di Casal di Principe. Non è più possibile continuare a giocare perché il gioco si è fatto duro, perché di populisti di destra, di centro, di sinistra e agnostici ne abbiamo piene le palle, perché non sono uguali i morti figuriamoci i vivi e perché i comici, i battutisti e i barzellettieri non ci scassino più i cabasisi con le loro fregnacce ad effetto e tornino a teatro, un luogo che rispettiamo come pochi altri e con la sacralità che merita, invece di continuare ad occupare piazze e sale convention degli alberghi di lusso. Signori avanti c’è posto. Lo spettacolo va ad iniziare. Basta pagare il biglietto o andare a votare.
PS. Con il passare del tempo ci siamo convinti che il peggior D'Alema sia meglio del miglior Berlusconi. Che dite, stiamo invecchiando?

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