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Kony 2012: una falsa mobilitazione da facebook?

Creato il 23 marzo 2012 da Tiba84
Le false lotte sociali promosse su Facebook sono un modo per farci sentire bravi e belli, per farci sentire in pace con noi stessi perché partecipiamo in qualche modo ai problemi umanitari mondiali, lottando per deporre tiranni e liberare intere popolazioni innocenti. Su Facebook, tuttavia, non si fa altro che ricevere un messaggio, mettere un "like" astratto, favorire la diffusione di un video. E la nostra informazione finisce lì: il mio amico ha apprezzato il video, mi sembra convincente allora lo condivido anche io.
Molti gruppi e video si rivelano vere e proprie bufale; altri sono banalità condivise per farci sembrare ricercati. Facebook, infatti, nutre la nostra pigrizia e dietro l'assenza di ogni ulteriore ricerca si nasconde il pericolo di mobilitarsi per la causa sbagliata, indignandosi per l'immagine che ci viene proposta di una cosa. Siamo superficiali, su Facebook. Come alla morte un personaggio famoso e tutti ne diventano fan.
Il caso Kony 2012, che ha riscosso un successo mondiale di visualizzazioni, si sta rivelando come l'utilizzo di internet per giustificare un'azione altrimenti ingiustificabile. E' la versione moderna dell'invasione aliena raccontata alla radio da Orson Wells: oggi come allora, siamo di fronte ad un fatto che ci colpisce così rapidamente e così completamente da non lasciarci il tempo di trovare informazioni per accertarne la verità o confutarne le falsità. Di fronte alla guerra dei bambini, infatti, nessuno si pone alcun dubbio - giustamente -, e attacca la violenza del dittatore. Tuttavia è il secondo passaggio a necessitare un'ulteriore conferma. Che su Facebook, oggi, manca! E diventiamo i paladini di una giustizia che è monca, incompleta e pericolosa.
Kony 2012: una falsa mobilitazione da facebook?Siamo paladini di una libertà di cartone. Perché dietro all'indignazione, si dà il via libera ad un'invasione armata fatta "in nome della libertà", ma con l'obiettivo delle risorse energetiche.
Non sappiamo se la strategia mediatica riuscirà completamente. Perché internet ha gli anticorpi per sconfiggere le proprie bufale. Tuttavia, è evidente che la diffusione della prima informazione non sarà eguagliata dalla diffusione di chi la mette in dubbio e da chi chiede alle nostre ragioni di esercitarsi appena oltre il livello emozionale con cui abbiamo reagito al primo video.
Ciò che dobbiamo fare, è di essere sempre attenti. Di non credere che dietro l'innovazione di internet risieda la perfezione dell'informazione e della politica: delle due, l'assenza di un controllo informativo vero e proprio rende libero chiunque di costruire la propria verità unendo fatti diversi.
E di fronte ad ogni bufala, il pericolo resta alto!

La strada dell'inferno è lastricata di video, di D. Rieff
È difficile stabilire il momento in cui tanti ragazzi in occidente si sono convinti che la consapevolezza sia la chiave per raddrizzare i torti commessi nel mondo. Il fenomeno è molto diffuso in Europa, ma negli Stati Uniti si presenta in forma estrema. Lo dimostra il successo di Kony 2012, un video di 30 minuti prodotto da una ong finora oscura, Invisible children, che vuole “far conoscere Joseph Kony a tutti”, per aprire la caccia al sanguinoso capo di un gruppo paramilitare centroafricano, l’Lra (Esercito di resistenza del Signore), e consegnarlo alla Corte penale internazionale.
Kony 2012 come fenomeno mediatico non ha uguali. A differenza di quanto è avvenuto in Darfur, le imprese di Kony e dell’Lra, note agli specialisti, erano sconosciute alla maggior parte dell’opinione pubblica statunitense ed europea. Il video è stato caricato su YouTube il 5 marzo, e in due settimane l’hanno visto quasi 70 milioni di persone. In questo, alcuni leggono una dimostrazione della sua efficacia. Ma una spiegazione più plausibile del suo successo è che lusinga gli spettatori. Kony 2012 non dice la verità, ma è un esempio di attivismo puerile, buono per tutti. E nella cultura di oggi, se smerci roba del genere difficilmente ci rimetti.
Ci sono poi persone intelligenti che riconoscono alcuni difetti di Kony 2012, ma lo difendono perché ritengono utile usare mezzi consumistici per canalizzare le energie dei giovani oltre il consumismo. Certo interessarsi alla vicenda di Joseph Kony è meglio che interessarsi a un reality show, ma questo da solo non basta. O almeno non basta a spingere la gente ad agire e a pretendere un intervento dei governi. Perché ciò avvenga non basta sapere che Joseph Kony è cattivo. Non ci si può limitare a spacciare la tesi che il suo arresto dimostrerebbe che “il mondo in cui viviamo ha regole nuove” e che “le stesse tecnologie che hanno unificato il nostro pianeta ora ci permettono anche di rispondere ai problemi dei nostri amici”.
Nonostante la sua tecnoutopia, il messaggio di Kony 2012, più che un presagio di un futuro migliore, è una regressione al passato coloniale. Mi ricorda il paternalismo che i missionari sfruttavano rientrando nella madrepatria dagli avamposti dell’impero britannico o francese. D’accordo, a quel tempo non c’era Facebook o YouTube per ispirare e mobilitare i fedeli. Resta il fatto che gli eccessi di semplificazione e il paternalismo sono farina dello stesso sacco. Kony 2012 è tecnoutopia allo stato puro, che pontifica su come la rete ha cambiato il mondo, sta trasformando la politica e sta diffondendo su vasta scala un’etica dell’altruismo senza frontiere. Tuttavia, a meno di non credere davvero che “il mezzo è il messaggio”, come sosteneva Marshall McLuhan, Kony 2012 non rappresenta un nuovo modo di pensare, ma un nuovo veicolo propagandistico per l’ala umanitaria della vecchia impresa imperiale, con il suo paternalismo verso il “sud del mondo”, il suo senso di superiorità, con il suo disprezzo per le complessità e le ambiguità della storia e della morale.
È una visione puerile del mondo, perfino per gli standard degli Stati Uniti di oggi, dove tutto ciò che è sentimento e istinto viene esaltato al di sopra della razionalità, e dove molti attribuiscono più discernimento allo sguardo del bambino che a quello dell’adulto. Kony 2012 è un’espressione estrema di tutto questo. Nel filmato il capo di Invisible Children, Jason Russell, spiega al figlioletto Gavin “cos’è questa guerra e chi è Joseph Kony”. È uno spettacolo penoso, un catechismo del politically correct in cui non si capisce bene se è più infantile Russell o il bimbo: “Io che lavoro faccio?”, chiede papà Russell. “Fai smettere i cattivi di essere cattivi”, risponde Gavin. Joseph Kony è il cattivo e spetta ai buoni (Russell, gli utenti di Facebook, le forze armate statunitensi e voi) fermare Kony. Non serve nient’altro. Un altro intervento militare in nome dei diritti umani? No problem: è talmente una buona causa… E la storia dell’Uganda? Be’, magari un’altra volta. Ah, e il contesto della ribellione di Kony? Troppo complicato. Per Russell e per i suoi colleghi niente deve intralciare la costruzione di un movimento di persone pronte a incollare manifesti e a far pressione su celebrità e politici perché appoggino la campagna di Invisible children.
Alcuni dirigenti di Invisible children hanno ammesso che in effetti Kony 2012 semplifica i fatti. Dicono che semplificare non è sempre un male. Considerate le buone intenzioni, la tesi può inizialmente anche sembrare credibile. Ma se uno chiama le cose con il loro nome, cioè propaganda, allora la campagna di Invi-sible children appare sotto una luce diversa. Perché la propaganda è propaganda, comunque. Ma Russell e i suoi, e decine di milioni di ammiratori del loro video, si comportano come se non vedessero quant’è pericoloso tutto questo. È la dimostrazione che il vecchio adagio secondo cui la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni è più attuale che mai, e prospera, in questo caso, su YouTube.

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