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Kosovo. Il serbo Ivanovic a processo e la giustizia a senso unico

Creato il 18 dicembre 2014 da Giacomo Dolzani @giacomodolzani

Ivanovic_oliverdi Giacomo Dolzani

Si è aperto oggi il processo contro Oliver Ivanovic, uno dei leader di punta dei serbi del Kosovo, imputato insieme ad altri quattro per crimini di guerra che sarebbero stati commessi nell’aprile del 1999; a questi si aggiunge poi l’accusa di omicidio ai danni di dieci cittadini kosovari di etnia albanese, morti durante gli scontri verificatisi nel febbraio 2000 nella città di Mitrovica.
Ivanovic era il leader della formazione paramilitare serba denominata “Guardiani del ponte”, nome derivante dal fatto che la città di Kosovska Mitrovica, situata nel Kosovo settentrionale, è attraversata dal fiume Ibar che la divide grossomodo a metà, la parte meridionale è abitata da cittadini di etnia albanese mentre i quartieri settentrionali sono a maggioranza serba, a collegare le due sponde c’è il ponte di Austerlitz, bloccato con barricate e cumuli di detriti, a significare che la porzione settentrionale della città rimarrà un baluardo della minoranza etnica serba la quale, dopo la secessione di Pristina da Belgrado, si sente più che mai minacciata, anche a causa dell’odio che regna tra i due popoli in seguito ad anni di violenze.
All’inizio del 2000, a pochi mesi dalla fine del conflitto, in occasione di una serie di scontri, su queste barricate persero la vita dieci cittadini di etnia albanese e, secondo l’Eulex (European Union Rule of Law Mission in Kosovo), che lo ha arrestato il 27 gennaio scorso, Ivanovic potrebbe essere uno dei responsabili; lui al contrario ha dichiarato oggi che “tutte le accuse sono false e quello che è stato scritto è pura falsità” mentre il suo partito, l’Sdp (Socijaldemokratska Partija), in un comunicato aveva parlato di “mossa politica” volta ad eliminare un leader scomodo.
Nonostante la missione dell’Unione Europea sia volta ad aiutare le forze di sicurezza di Pristina ad instaurare un controllo sulla regione e ad assistere i tribunali nella persecuzione dei criminali di guerra, ad essere arrestati e processati sono stati principalmente sospettati serbi, mentre i crimini commessi ai danni di questa minoranza da gruppi come l’Uck che, sotto la guida di uomini come Ramush Haradinaj hanno commesso violenze atroci ai danni di civili non albanesi e devastato luoghi di culto cristiani, non sono stati puniti se non in minima parte.
Gli attacchi a base di Kalashnikov contro villaggi serbi, situati soprattutto nella parte settentrionale del Kosovo, ad oltre dieci anni dalla fine del conflitto che ha insanguinato la regione non sono ancora storia passata, così come le profanazioni di cimiteri ortodossi; il fine ultimo di questi atti è infatti quello di costringere la minoranza serba a lasciare il paese e fuggire in Serbia, strada già seguita da molti.
Belgrado non è infatti più in grado di far sentire il proprio peso e di difendere i propri cittadini; questo ruolo dovrebbe competere ora ad Unione Europea e Nato, le quali hanno contribuito alla nascita di questo nuovo stato ma che, per ora, non si sono dimostrate capaci di fronteggiare le conseguenze delle loro azioni.

da Notizie Geopolitiche



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