Magazine Media e Comunicazione

Kurosawa, logotipi e milioni di vite

Creato il 23 marzo 2010 da Antonio Maccioni

I loghi commemorativi di Google rendono bene l’idea del modo in cui un motore di ricerca può orientare milioni di lettori e milioni di vite. Può farlo in modo apparentemente disordinato, in modo casuale e minimale, in modo innocuo. L’ultima puntata è quella dedicata ad Akira Kurosawa, con un logotipo dedicato al cineasta giapponese scomparso nel settembre del 1998 e alla macchina da presa dagli anni Quaranta fino alla morte. Mi chiedo se la scelta del caso sia legata in qualche modo alla rottura con la Cina in un contesto di relazione con i paesi orientali. Ma forse no, non è legata a nulla.

È però un fatto simpatico e altamente significativo. Così non dico che sia necessariamente un male: il tanto negativo può divenire tanto positivo e viceversa. Vedo però con più curiosità il fatto che i giornali accolgano, scrivano e riportino scelte e notizie senza battere ciglio. Riportino scelte e notizie, insomma, e poi per il resto: non si vuol essere derubati delle proprie news da un motore di ricerca, ma si ha bisogno del suo traffico.

C’è un film del regista nipponico che rende bene l’idea: ed è l’idea dello scontro tra convenzioni e natura, tra leggi della città e leggi della taiga, tra dover fare e voler fare, tra utilitarismo e altruismo, tra uomo e mondo, tra vita del singolo e vita comune, tra scelte globali e scelte personali.

In Dersu Uzala (film del 1975 e premio Oscar 1976 come miglior film straniero) il Capitano Arsen’ev conduce una spedizione di ricognizioni geografiche non lontano dalla Cina nei pressi del fiume Ussuri. Una figura bislacca, che si rivelerà essere quella di un grande saggio, li raggiunge presentandosi da dietro i cespugli, mentre i partecipanti alla spedizione durante la sera riposano attorno al fuoco. Dersu racconta: dice che la sua famiglia è stata sterminata dalla peste, dice che è rimasto solo, dice al fuoco di smetterla di frignare e lo punisce spegnendo un tizzone ardente, poi dice che vento, fuoco e acqua sono omini forti, e che se vento s’arrabbia fa paura. Dersu Uzala è ammaliante e diventa la guida del gruppo di Arsen’ev. Il vecchio cacciatore conosce i segreti della natura e più di una volta stupisce – generando risate e simpatia prima, grande rispetto e ammirazione poi – stupisce lo stesso capitano e i suoi uomini.

C’è una scena nella quale il buonissimo Dersu si preoccupa per un cinese sperduto e incontrato per caso. In seguito a una prima separazione, un secondo incontro tra Dersu e la spedizione avviene poco più tardi. Però dopo poco tempo – a causa di Amba spirito della taiga che lo punisce per aver ucciso una tigre? – il cacciatore inizia invece a lamentare i primi segni di cecità. Allora Arsen’ev lo portà con sé in città: lo porta in una casa (ma come faranno gli uomini a vivere dentro una scatola?) e Dersu Uzala inizia a lamentare la distanza e l’assenza della taiga. Infine è costretto a tornare nel suo mondo: lì viene ucciso da un brigante – forse a causa di un fucile che attirava il furfante, fucile regalatogli dallo stesso capitano. Dersu Uzala ama i piccoli uomini cinesi come ama la vita.

Poi c’è un’altra cosa bella per concludere meglio. Nel corso di un esperimento di lettura di testi cinematografici con gli studenti quattordicenni del prof. Gennaro Cucciniello (letture parzialmente rese disponibili anche in rete), giovani cinefili riprendevano con queste parole alcune scene del film.

[…]“Chi ci sarà dietro quei cespugli? Un orso feroce pronto ad azzannare ogni cosa gli capiti sotto mano, grazie alla sua enorme bocca spalancata? Un gatto selvatico dai lunghi artigli? Che animale può essere quello che fa scricchiolare come ossa rotte le foglie ad ogni suo passo?”

Sono queste le paure, i dubbi che invadono le menti di alcuni soldati russi in spedizione in una terra inospitale quale la Siberia. Invece, all’improvviso, dagli invalicabili cespugli sbuca la faccia mite e sorniona di Dersu, un cacciatore del luogo, senza dimora (la sua casa è il bosco), che, impaurito, esclama con voce tremolante: “No spara, io omo”. Uomo?! Si fa per dire! Guardate com’è ridotto! Piegato dal peso di uno zaino, carico di ricordi e di amarezze, selvatico ed incolto proprio come una radura siberiana colpita da una bufera, con occhi piccoli e a mandorla, ma luminosi, quasi accesi dal grande fuoco della saggezza. [Francesca H.]

[…]Dersu comincia a rendersi conto della diversità della vita cittadina quando una mattina la donna porge del denaro ad un uomo che aveva portato dell’acqua. Il siberiano esclama stupito: “perché per acqua dare soldi? In fiume tanta acqua c’è!”. Poi vuole andare a sparare; non può; perché in città non si può sparare? Nella sua stanza non riesce a vivere, si sente “come un’oca; come possibile omini vivere in scatola?”. Il suo desiderio è di costruirsi una capanna in strada ma in città non si può. Tutti si mostrano molto comprensivi nei confronti del povero Dersu ma egli non riesce a capire le regole della città. “La regola…? In aria sparare non si può, in strada dormire non si può!”. [Elisa B. ed Elisa C.]

Ma in tutto questo cosa c’entra la Cina?


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :