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«L'aborto mi ha salvato la vita»: perché l'obiezione di coscienza è un diritto sulla pelle delle donne

Creato il 30 maggio 2011 da Andream
«L'aborto mi ha salvato la vita»: perché l'obiezione di coscienza è un diritto sulla pelle delle donneQualche tempo fa avevo dato la notizia della suora scomunicata per aver salvato la vita di una donna autorizzando un aborto. Sempre dagli Stati Uniti arriva questa testimonianza di una donna che ha rischiato seriamente di morire perché i medici di guardia al pronto soccorso erano tutti obiettori di coscienza.
Quale tipo di coscienza possano avere queste persone, però, resta un mistero.
La testimonianza
La signora è madre di due figli, e ha avuto altre due gravidanze non andate a buon fine.
La notizia della quinta gravidanza arriva inattesa, in quanto sono assenti tutti i normali indicatori; la ginecologa l'avverte che si tratta di una gravidanza a forte rischio, con una certa possibilità che non si concluda positivamente. La signora e il marito discutono della possibilità di interromperla, ma decidono di provare non di meno a portarla a termine, malgrado sanguinamenti intermittenti.
Un pomeriggio, mentre è sola in casa coi due figli, la signora ha un'emorragia. Dopo aver trovato qualcuno cui affidare entrambi i figli, si reca ad un ospedale di Chicago. Sebbene sia chiaro che la gravidanza non possa giungere a termine, a maggior ragione a causa della quantità di sangue che perde, per ore nessuno fa nulla: tutti i medici in servizio quella notte sono obiettori.
La donna resta nel suo letto, circondata dagli studenti di medicina; addirittura uno di loro le mostra l'ecografia del figlio morente, altri vogliono esaminarla. Nessuno le dà degli anti-dolorifici; nessuno chiude la porta, e lei continua a sentire altre donne che partoriscono regolarmente, mentre suo figlio le sta morendo nel grembo.
Solo l'intervento di un'infermiera è decisivo per salvarle la vita: pur rischiando il posto, l'infermiera contatta una dottoressa che pratica l'aborto e che quella sera è a casa. Giunta all'ospedale, la dottoressa sposta la donna in un'altra ala, dove le somministra gli antidolorifici che nessuno le ha dato per ore. Alla donna devono essere somministrate due sacche di sangue, prima dell'intervento, e si trova in uno stato di incoscienza tale che è il marito che deve firmare per l'intervento.
La dottoressa informa il marito che l'operazione potrebbe portare alla morte della donna; né il dottore obiettore né i suoi studenti l'hanno informata in tempo, come avrebbero dovuto, e ora è drammaticamente tardi.
La signora conclude dicendo:
I miei due bambini a casa hanno quasi perso la loro madre perché qualcuno ha deciso che la mia vita vale meno di quella di un feto che sarebbe morto comunque. Mio marito aveva riferito loro ciò che il mio medico aveva detto, e il medico del pronto soccorso ci aveva già avvisati di ciò che sarebbe accaduto. Ma nulla di questo importava di fronte all'idea che nessuno ha bisogno di un aborto.

Un'opinione
Che dire di questo ennesimo caso di abuso dell'obiezione di coscienza? Possibile mai che un medico disposto a lasciar morire una donna si trovi a presidiare un pronto soccorso, anzi, che in un pronto soccorso non ci sia alcun medico che possa praticare un aborto?
Nessun medico può essere obbligato a praticare un aborto, ma questo non deve ledere né i diritti delle donne né può costituire un vantaggio professionale. I medici obiettori dovrebbero essere allontanati dagli ospedali pubblici (parlo, ovviamente, dei ginecologi).
Testimonianza di Mikki Kernall, «Abortion saved my life», Esoterica, 25 maggio 2011; articolo ripreso da P.Z. Myers («Abortion needs to be taught in our medical schools», Pharyngula, 28 maggio) e Salon.com (26 maggio). La fotografia è Blood Bath, di Jerrycharlotte Miller

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