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L’aborto rovina la donna: lo dicono gli studi (ma non Chiara Lalli)

Creato il 27 maggio 2013 da Uccronline

Sindrome-post-abortoPoco tempo fa Chiara Lalli ha pubblicato un libro, “La verità, vi prego, sull’aborto” (Fandango 2013) in cui ha furbamente cercato di negare l’esistenza della sindrome post-abortiva al quale abbiamo già risposto. Nelle scorse settimane, in ogni caso, è arrivato un nuovo ed ennesimo studio -pubblicato sull’“Australian & New Zeland Journal of Psychiatry”- a smentire ulteriormente questi subdoli tentativi.

 

Ne abbiamo parliamo con la dottoressa Maria Cristina Del Poggetto, specialista in Psichiatria e Psicoterapia sistemico-relazionale, membro della Società Medico-Scientifica ProMed Galileo, relatrice al convengo lo scorso 11 maggio al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.

“Dottoressa, che cos’è la sindrome post-abortiva?”
Si tratta di una condizione che, seppure non ancora ufficialmente inserita nella tassonomia ufficiale psichiatrica, è indicata nella letteratura medico-scientifica da una mole di autori dal cui contributo abbiamo oggi un quadro abbastanza preciso dei profili che la identificano. Si tratta di una compromissione dello stato di salute mentale che insorge dopo un aborto volontario. Clinicamente si può presentare con vari disturbi d’ansia, come attacchi di panico o post traumatico da stress; con alterazioni del tono dell’umore con quadri di depressione o di tipo distimico; con uso e abuso di sostanze (farmaci, alcool, droghe); ma può presentarsi anche solo con vissuti emotivi di tale intensità da risultare invalidanti.

“Che cosa afferma la letteratura scientifica?”
La letteratura medico-scientifica su questo argomento assomiglia ad un campo di battaglia. Gli studi tendono a risentire delle influenze derivanti dalla posizione morale sull’aborto degli autori. I lavori degli anni ’60 e ’70 su questo argomento tendevano ad evidenziare nelle donne una riduzione dei livelli di stress e di ansia nei mesi immediatamente successivi all’aborto.

“E questo non è importante?”
Piuttosto poco. Qualsiasi elemento stressogeno, e lo stesso intervento abortivo lo è, una volta superato si accompagna ad una diminuzione dello stress e dei livelli d’ansia. Ma le valutazioni a breve distanza di tempo devono essere integrate da osservazioni con più lungo follow-up. A partire dagli anni ’90 alcuni autori cominciano a segnalare la presenza di una percentuale di donne che dopo avere abortito manifestavano sintomi di disagio psichico. Si cominciò pertanto a discutere su questi casi che mettevano in dubbio la giustificazione all’aborto adottata in numerose legislazioni: la salute mentale delle donne.

“Quali sono le evidenze più recenti?”
Nel 2009 l’American Psychiatric Association pubblicò una cosiddetta revisione ragionata della letteratura medica per concludere che le donne che abortiscono non hanno rischi maggiori rispetto alle donne che portano avanti una gravidanza non programmata. Due anni dopo il Collegio Reale degli Psichiatri Inglesi giunse a conclusioni simili, seppure lasciando una certa apertura alla possibilità che alcune donne possano lamentare disturbi mentali e richiedere quindi un’assistenza specialistica. Queste revisioni sono state condotte procedendo ad una selezione a mio parere discutibile della letteratura e dando agli studi un’interpretazione ed un valore che ha tutta l’aria di essere stato influenzato da quell’agenda politica di cui dicevo all’inizio.

“Può fare qualche esempio?”
Certo. Nel 2009 il professor Fergusson aveva pubblicato non solo i dati a 25 anni sull’impatto dell’aborto volontario sul campione studiato nella cittadina neozelandese di Christchurch, ma aveva effettuato un’analisi sulla salute mentale delle donne che hanno abortito sulla base delle loro reazioni emotive dimostrando che le donne con un numero maggiore di reazioni negative all’aborto mostrano un’incidenza significativamente maggiore di problemi mentali rispetto a quelle che dichiarano di non avere dolore, rimorso, pentimento, senso di colpa. Nel 2010 sul Canadian Journal of Psychiatry fu pubblicato uno studio su un campione di oltre tremila donne che tenne conto di numerose covariate compresa la storia di violenza sessuale dimostrando un incremento del rischio di depressione, ansia, uso di sostanze, abuso di sostanze e ideazione suicidarla tra le donne che abortiscono con una correlazione temporale tra primo aborto e disagio psichico in circa la metà dei casi.

“Veniamo allo studio più recente?”
Si tratta di una risposta alle numerose critiche che hanno inondato lo studio di Priscilla Coleman, la ricercatrice che nel 2011 ha pubblicato sul British Journal of Psychiatry la più vasta metanalisi della letteratura, utilizzando oltre ottocentomila donne, e dimostrando un netto incremento di rischio psichiatrico nelle donne che abortiscono rispetto a quelle che portano a termine la gravidanza, anche se indesiderata o non programmata. Quello studio, come dicevo, fu investito da numerose lettere di protesta riguardanti soprattutto la metodologia di esecuzione della metanalisi. La dottoressa Coleman replicò punto per punto respingendo le critiche con solide argomentazioni. Ma lo studio del professor Fergusson, persona non credente e personalmente schierato sul versante pro-choice, pone una seria conferma alla possibilità che l’aborto peggiori la salute mentale delle donne. Egli infatti ha incluso nella propria metanalisi quegli studi che l’American Psychiatric Association e il Royal College of Psychiatrists inglese consideravano più attendibili, dimostrando che quei dati indicano l’incremento di problematiche di ansia, uso di sostanze e atti suicidari tra le donne che abortiscono rispetto a quante decidono di tenere comunque il bambino.

“Che cosa se ne può concludere?”
Lo abbiamo scritto in un nostro intervento sul British Journal of Psychiatry ed in pratica nel suo ultimo lavoro il professor Fergusson conferma questa prospettiva. Se è ancora discussa la possibilità che l’aborto possa avere effetti negativi sulla salute mentale delle donne, ma l’ultimo lavoro del professor Fergusson costituisce un forte indicatore che le cose stiano così, tutti i ricercatori e tutti gli studi sono concordi nel mostrare l’assenza del benché minimo miglioramento della salute mentale delle donne derivante dall’aborto; le donne che abortiscono hanno comunque incidenze maggiori di una serie di disturbi mentali, compreso, quello che è sicuramente il più grave, la tendenza suicidaria. La letteratura è cioè concorde che l’aborto non è in grado di produrre quella tutela della salute mentale della donna che è posta a giustificazione di molte legislazioni, compresa quella italiana.

“Quali conclusioni ne dovrebbe trarre il legislatore?”
La corte costituzionale italiana nel 1975 dichiarò incostituzionale la proibizione dell’aborto perché essa avrebbe violato il diritto alla salute della donna. Ora, a distanza di quasi 40 anni da quella sentenza, abbiamo una mole di dati a dimostrazione che questo non è vero, almeno per quanto riguarda la quasi totalità dei casi di aborto che sono appunto giustificati come strumento per tutelare la salute psichica della donna. Possiamo cioè affermare con ampio margine di sicurezza che l’aborto sotto il profilo psichico non promuove la salute, non previene malattie, non fornisce assistenza terapeutica, non è cioè un atto medico così come esso è stato definito dall’European Union of Medical Specialists nel 2005. Questo è il dato medico-scientifico.


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