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L’acqua è di tutti!

Creato il 12 maggio 2011 da Cultura Salentina
acqua

Bassorilievo centrale del Trono Ludovisi (Roma, Palazzo Altemps), raffigurante Afrodite che viene sollevata dalle acque

Sin dai tempi più remoti gli uomini hanno avuto coscienza della stretta connessione tra l’acqua e il fiorire della vita. Le funzioni vitali del mondo animale e vegetale sono assicurate primariamente dall’acqua e poiché il diritto alla vita è un principio inviolabile e incontestabile ne deriva che la fruizione dell’acqua deve essere libera, incondizionata e sempre garantita. Un bene prezioso come l’acqua, che non ha sostituti in natura, ci rende moralmente obbligati a salvaguardarlo dagli sprechi e dalla mercificazione finalizzata a produrre profitti. Il decreto Ronchi (17/10/2009 – art. 23 b.), in violazione a ogni responsabilità morale nei confronti del diritto alla vita e alla dignità del popolo italiano, ha definitivamente sancito, con voto di fiducia, il passaggio al settore privato della gestione dei servizi al cittadino tra cui anche quello dell’acqua. Motivi per opporsi a tale decisione sono diversi ed è opportuno fare chiarezza affinché, come si dice, non ne ce la diano a bere.

Innanzitutto è utile precisare che il progetto di privatizzazione, in Italia, corrisponde a una vera e propria resa del Governo nei confronti della sua inefficienza a gestire la cosa pubblica. Gli sprechi, in particolare le perdite idriche delle antiquate reti di distribuzione, continuano a superare il 30-35% con un picco sino al 60% nelle regioni del Sud. Ciò si tramuta in un costo al quale non corrisponde una compensazione con i ricavi. Questi stessi, a loro volta, sono decimati dalle mancate riscossioni tributarie legate agli utilizzi delle acque produttive, ossia quelle utilizzate in agricoltura e nell’industria, per le quali a fronte del 75% di prelievo in falda corrisponde solo un misero 10% di fatturato. Ciò significa che l’intero business governativo dell’acqua poggia esclusivamente sul consumo domestico (il 90% del fatturato) ma questo non basta a coprire i costi dell’intera gestione. Sotto quest’aspetto, allora, il Governo decide di togliersi il fardello dell’acqua affidandolo a imprenditori privati i quali, massimizzando i ricavi a fronte della riduzione dei costi, porterebbero beneficio al servizio nazionale di distribuzione idrica. Sin qui la logica governativa non fa una piega ma bisogna riprendere il principio che “l’acqua è vita” per rendersi conto che essa appartiene a tutti e a nessuno, individualmente o come gruppo, può essere concesso il diritto di appropriarsene a titolo di proprietà privata. La scelta coerente di un Governo responsabile sarebbe, invece, quella di mettere in atto un progetto di pianificazione economica urgente mirato al rinnovamento delle infrastrutture idriche e, contemporaneamente, sensibilizzare gli italiani a ridurre i consumi domestici che, permanendo a livelli altissimi (l’Italiano medio consuma 213 litri al giorno d’acqua potabile mentre lo Svizzero si limita a 159 e lo Svedese si ‘accontenta’ di 119 litri), rappresentano veri e propri sprechi.

La privatizzazione dell’acqua nasconde un interesse economico che è straordinariamente profittevole, si stima che l’acqua potabile erogata oggi in Italia valga 4,5 miliardi di euro, tanto da affermare che l’“oro blu” è il prosecutore del business petrolifero. Ragionevolmente si deduce, allora, che l’effetto della privatizzazione dell’acqua sarà di lasciare un bene insostituibile per il cittadino in mano alle leggi del denaro personificate dalle multinazionali internazionali. L’idropolitica italiana, forse, non ha tenuto conto che la disponibilità di acqua pro-capite nei prossimi anni si ridurrà del 40% per effetto della crescita demografica mondiale e circa 3 miliardi di persone resteranno senza. Semplicemente per la legge economica della domanda e dell’offerta si deduce che ciò porterà all’aumento del prezzo. Una congettura molto realistica che rende la privatizzazione un affare molto appetibile per imprese che speculeranno sui bisogni primari della gente.

Pur cercando di mantenere le distanze da un eccessivo pessimismo è un dato di fatto il ricorso da parte di molti Stati a trasformare questa risorsa in bene commerciabile tanto che è possibile prevedere una vera e propria guerra per la corsa all’”oro blu”. Questa è la tesi di molti osservatori internazionali, politici e strateghi i quali confermano tale preoccupazione facendo propria, in un certo senso, la massima dello scrittore statunitense Mark Twain secondo il quale «Il whisky è per bere, l’acqua per combattersi». Assegnando in mano ai privati la distribuzione dell’acqua, essa non sarà più un bene libero e come tale, essendo anche vitale, può assurgere a strumento di controllo e di tensione sociale tanto da sfociare in serissimi problemi di sicurezza nazionale. Si ricorda, a titolo di esempio, che in paesi come Israele e Palestina dove la disponibilità di acqua è identica, la sua gestione è invece, per il primo, affidata al Ministero dell’Agricoltura mentre per il secondo a quello della Difesa. Ciò perché, due Stati in guerra, hanno la necessità di garantirsi la sopravvivenza e, chi si sente più vulnerabile, tutela con le armi i propri beni primari. Anche per questo motivo non può il Governo italiano affermare che il processo di privatizzazione è in linea con le scelte già fatte dai vari Stati Europei poiché è indiscutibile che la capacità di disporre di beni e servizi, e tra questi l’acqua, dipende dalle caratteristiche giuridiche, politiche, economiche e sociali di una certa società e dalla posizione che l’individuo occupa in essa, piuttosto che dalla semplice disponibilità del bene o del servizio in questione. Se le condizioni dell’Italia dovessero volgere al peggio nel complesso mondo delle relazioni internazionali, oggi abbastanza tese in virtù delle diverse guerre nelle quali è attiva partecipe, allora l’acqua in mano privata potrebbe anche diventare il mezzo di una specie di ricatto idrico verso il suo popolo che avrebbe serie difficoltà di approvvigionamento.

E’ chiaro che sono leciti, allora, i motivi di preoccupazione di una privatizzazione dell’acqua e della sua mercificazione poiché ciò significa dare la possibilità a un ristretto gruppo di persone di tenere in mano i diritti sulla vita di un popolo. I fautori della “petrolizzazione” dell’acqua, ossia chi vede nel decreto Ronchi il sistema per tagliare la spesa pubblica e rendere i servizi più efficienti, sono coloro che potranno rendere concrete tutte le nostre paure.


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