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L’alba d’inverno di Andrea Settembrini

Creato il 22 settembre 2014 da Cultura Salentina

L’alba d’inverno di Andrea Settembrini

22 settembre 2014 di Agnese Bascià

L’alba d’inverno di Andrea Settembrini

L’alba d’inverno

Le emozioni non navigano mai solitarie come navi pirata nel mare del nostro percepire la realtà, ma son sempre grandi flotte che scagliano i loro attacchi insieme, tempestando l’uomo di lacrime e di brividi, di sudore e di battiti veloci. Forse non ha neanche senso chiamare questo sentire qualcosa emozione. Ci sentiamo padroni del tutto al punto di credere d’essere detentori del sapere e del diritto di nominare ciascuna cosa con le sillabe che più ci aggradano.

Debutta con L’alba d’inverno il giovanissimo Andrea Settembrini, classe ’91, oggi impegnato su vari fronti: corso di studi in Ingegneria, cinematografia e scrittura.

Questo “non-romanzo”, iniziato all’età di 18 anni, si apre in un modo interessante dal punto di vista linguistico: insolito, ritmato, in prima persona, molto punteggiato e fuori dai canoni letterari tipici di un racconto. Ci vorranno molte pagine prima di capire quali esperienze hanno segnato il protagonista: l’uccisione del padre orafo nella sua bottega da parte di un rapinatore, davanti al protagonista ancora bambino; la morte della madre; la sua “percepita” follia e le sedute psicoanalitiche, poi l’ingresso nel “mattatoio di menti”; i suoi rapporti con le persone di famiglia e non.

Capita sempre più spesso. Un vaso di Pandora dall’animo mite, la mia memoria. Sprigiona i venti dei ricordi un fiato per volta. Quasi non voglia sconvolgermi. Loro diretti a Itaca? Io?

Non c’è una trama definita come ci si aspetterebbe da un romanzo o per lo meno non è di facile intuizione: sembra di camminare accanto al protagonista, di sentirne i pensieri espressi ad alta voce, di vedere e giudicare con lui i vari soggetti che intersecano la sua strada, di approfondire sprazzi di realtà che ogni giorno, come lui, anche noi incontriamo sul nostro cammino.

L’amore tra me e la città non è mai sbocciato. Troppo umana per i miei gusti.

A metà racconto ho avuto l’impressione di essere catapultata in un fumetto di Dylan Dog: pensieri, stile delle frasi e ambientazioni sono stringati, talvolta noire, pertinenti, profondi e spesso sprezzanti, non curanti dei giudizi altrui e relativi a una realtà guardata con distacco, grazie all’alibi di una presunta pazzia:

Io non sono nessuno qua. Se non il folle, il pazzo, il ragazzo uscito di senno. Sono qualcuno ma non chi vorrei. Non mi lamento, o almeno ci provo. Mi consola il non essere solo, almeno in questo. A rifletterci pare di stare in mezzo ai matti, ma matti per davvero. Gente che spera di esser “la brava gente”, gente che agisce solo per essere la persona che vorrebbe. E poi, mi vengono a dire che sono un uomo libero. Che siamo uomini liberi. Quando non ci possiamo tirare giù nenache le mutande come, solo, noi vogliamo. Che poi, delle mutande, che me ne faccio? Non bastavano i pantaloni? Ma con le mutande la vita ha più strati, più difficile da sbucciare, la verità.

Nonostante l’età del protagonista risulti maggiore di quella dell’autore — almeno questa è la considerazione cui si arriva leggendo alcuni passi — taluni giudizi espressi dall’io narrante sono, a mio avviso, segnati dalla giovane età dello scrivente, condivisibili o meno che siano: opinioni su Dio, sul suicidio, sul consumismo ecc. fanno pensare un po’ a Il Matematico Impertinente, di Odifreddi e chissà che gli studi scientifici condotti dall’autore non abbiano contribuito a conferire una sottile vena cinica all’opera.

Cronaca nera. Maschera per omicidi. Un calabro ha ucciso la moglie, lo tradiva. Un indiano ha deciso di suicidarsi, non trovava lavoro, non poteva sfamare i suoi sei figli. Stupido. Non sarà la notizia della sua morte a riempire le loro bocche.

Eppure credo, nessuno si suicida pensando agli altri… Ad ogni modo, il vantaggio di questa narrazione è che, come essa spazia e salta da realtà a fantasia, dall’ora al passato, dall’umano all’astratto, anche la mente del lettore può lasciarsi “spostare” da una parte all’altra, con la massima leggerezza e senza sforzo alcuno. Pertanto, ritengo che questo “esercizio di stile” valga la lettura del libro, per provare a capire quanto la nostra testa riesca a leggere oltre le righe, oltre il seminato dall’autore.

Riconoscendo il grande sforzo innovativo compiuto da Andrea Settembrini, con una capacità dialettica davvero buona che lo porterà sicuramente lontano in vari campi creativi, purtroppo occorre segnalare la presenza di numerosi refusi, causa probabilmente l’assenza di un’attenta revisione della bozza.


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