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L’albero

Da Trentinowine
 

tronco di Patrizia Belli – Il cortile del quartiere era un nudo piazzale di asfalto crepato. Ai bordi sopravviveva una striscia d’erba che comunicava sporcizia e sciagura ambientale. Qualcuno aveva imbrattato il cartello di divieto a calpestare l’aiuola con figurine adesive e resti induriti di gomme da masticare. Nessuno se lo filava quel divieto. Non che in quella striscia ci fosse qualcosa di speciale, era zeppa di cartacce e altre schifezze, ma non c’era altro. Sul margine si trovava un vecchio tronco mozzato. Era stato un albero maestoso e centenario, non ne rimaneva che il ceppo liso e consunto, senza più corteccia. Le radici grosse e contorte affondavano nella terra, i ragazzi le usavano come pioli di scala. Un tempo a Pietro piaceva issarsi su quel tronco, lassù si sentiva invincibile, ora non più.

«Ciao.»

Si voltò. Un bambino piccolo lo fissava sorridendo. Aveva capelli pazzeschi, parevano paglia bruciata. Il sorriso lo infastidì. Tornò a guardare il tronco.

«Io mi chiamo Naim.»

«Pietro.»

«Posso stare qui con te?»

Pietro non rispose. Il cielo era un fondo grigio di fuliggine. Non avrebbe voluto ma il ricordo riaffiorò violento. Rivide l’angelo di pietra che sormontava il cancello del cimitero, l’elegante drappeggio della veste, i tratti delicati del viso, gli occhi cavi e la mano tesa al cielo, come a invocare. Non lo impauriva, non come le lisce lapidi a terra, opprimenti e massicce. Un’ombra gli attraversò il viso. Si sentì schiacciare da un senso di perdita.

Qualcosa lo sfiorò, provocandogli una scossa. S’era scordato del bambino.

«È per te.»

Aprì la mano, ci trovò una caramella gommosa rosicchiata in un angolo. La mise in bocca, sapeva di lampone.

«Perché piangi?»

«Non piango.»

«Ma sì.»

«No, invece.»

«Perché non saliamo?»

Il bambino gli indicò il tronco e lo prese per mano. Pietro si lasciò condurre. Quando fu in cima al tronco aprì le braccia come in volo, come l’angelo del cimitero. Il bambino lo guardava e sorrideva. D’improvviso si sentì più leggero. Dilatò i polmoni, respirò il cielo e provò un sollievo fatto di sole e aria, l’alito gentile del mondo. Pietro pensò all’albero dietro casa, a quando lui e il padre raccoglievano le noci. Non sarebbe più successo. Era doloroso ma anche bello ricordare. Gli venne improvvisa la voglia di parlare di lui. Per trattenerlo nella sua mente, per narrare quanto era stato buono come padre.

«Mio padre amava gli alberi, quando trovava un ceppo mozzato lo accarezzava. Mi ha raccontato che si può capirne l’età osservando gli anelli. Questo doveva essere vecchissimo.»

Gli era uscita una voce fonda, da adulto, che lo aveva sconcertato. Solo con gli anni avrebbe imparato che si vestono di peso solo le parole che svelano il nostro profondo.

Non ci fu bisogno di dire altro.

Restarono in silenzio e lui provò una gratitudine da lacrime per quel silenzio.

Poi il bambino disse:

«Nel mio paese, quando due sono amici, piantano un albero.»

«Davvero?»

«Sì.»

«E poi?»

«Niente…

Una bolla sospesa nel tempo. Alla fine aggiunse:

«Lo guardano crescere.»

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