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L'albero della libertà

Creato il 07 settembre 2010 da Gurufranc

L'ALBERO DELLA LIBERTÀ
Come si giunge al tricolore issato il 21 gennaio 1799 a castel Sant'Elmo
Il simbolo più potente e carico di significati: l'Albero della Libertà
Le domande: da dove nacque la politica antifeudale? Da quale humus nacque l'anticurialismo? Cosa portò a desideri realisti e, poi, al pensiero liberale e democratico? Quali furono gli eventi e gli uomini determinanti che trascinarono nei cieli partenopei i riflessi della rivoluzione francese? In realtà tutto era nato molto prima del 1799, l'anno della rivoluzione napoletana, della Repubblica Napoletana. Era da almeno cento anni che nella cultura si avvertivano ansie liberatorie, seppure talvolta si manifestassero e altre fossero celate. Uomini come Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Bernardino Telesio avevano alimentato la filosofia della libertà. Poi la loro produzione fu integrata dal pensiero scientifico di menti come quelle di Galileo e Cartesio; da quello degli economisti e storici come Antonio Genovese, Gaetano Filangieri, Pietro Giannone. Tutto ciò portò poi al pensiero eroico che seppe scuotere una Italia definita "sonnacchiosa". Molti si unirono all'idea della rivoluzione francese, all'idea di una repubblica democratica: Francesco Astore, Pasquale Baffi, Giuseppe Capecelatro, Francesco Conforti, Clemente e Ascanio Filomarino, Mario Pagano. Questi e molti altri accolsero l'impostazione del Filangieri: tolleranza religiosa, uguaglianza civile, libertà politica più ampia.
Così si giunse al 21 gennaio 1799: quattro colpi di cannoni indussero i napoletani a rivolgere lo sguardo verso castel Sant'Elmo. Un gruppo di giacobini aveva issato una bandiera tricolore dopo aver occupato la Bastiglia napoletana e Giuseppe De Logoteta lesse il decreto con cui fu dichiarata decaduta la dinastia borbonica e proclamata la Repubblica Napoletana. Tutti si apprestarono a giurare dinanzi al "sacro albero della libertà". Il giuramento, nell'esprimere riconoscenza alla Francia, nonché la manifestazione esplicita di alleanza alla stessa nazione francese, alle repubbliche batave, elvetiche e italiche, prevedeva come indivisibile e indipendente la libertà e per questa si doveva essere pronti a dare il proprio sangue.
Vi era, poi, anche una idea su cosa si dovesse pianificare affinché si costituissero fondamenta solide per la nascente Repubblica di Napoli: occorreva essere in grado di difenderla militarmente; occorreva reperire risorse finanziarie adeguate; sollecitare i legislatori francesi per allestire una carta costituzionale. Il primo giorno di libertà del popolo napoletano fu sottolineato dai versi di Eleonora Pimentel Fonseca. Si procedette, poi, il 23, a un altro giuramento davanti all'albero della libertà e, stavolta, era rivolto al generale Giovanni Stefano Championnet, comandante dell'Armata francese. E c'era la prima lista di personalità per la formazione di un governo provvisorio.
Ma qual era il senso attribuito all'albero della libertà? Da chi fu teorizzato?
Tutto risale al 2 marzo 1790: l'abate Henri-Baptiste Grégoire, che diverrà vescovo costituzionalista di Blois, tenne un discorso alla Convenzione nazionale. Incentrò il discorso sul senso dell'albero: valore religioso, politico e morale. Se i greci consacravano un albero a ogni divinità mitologica, ogni popolo aveva prediletto un albero: gli stessi greci l'olivo e il platano, gli egiziani il loto, gli asiatici la palma, i romani la quercia, i fenici il palmizio. Proprio quest'ultimo si lasciava risalire ad Adamo: era stato creato con i residui di limo da cui egli stesso trasse la vita. Il Grégoire sottolineò come dalla vigna si producesse il vino, che era fonte di gioia, di liberazione. Non a caso il dio del vino era Bacco o, indifferentemente, Libero.
Anche in America all'albero si riconnetteva significati straordinari: si piantavano alberi alla nascita dei bambini. Era la loro dote per il momento in cui si sarebbero sposati. In Europa se ne piantava a primavera per la stessa primavera e per la donna amata e i rami usava appenderli alle porte delle case e nei banchetti pubblici.
Poi ci fu la reazione sanfedista e dovettero passare molti decenni prima di giungere di nuovo a una idea ormai non più rivoluzionaria, a una idea forte, ma normale: quella della democrazia.


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