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L’Alcesti di Euripide

Creato il 16 aprile 2014 da Cultura Salentina

L’Alcesti di Euripide

16 aprile 2014 di Dino Licci

« Il tempo ti consolerà: non è più niente chi muore »

L’Alcesti di Euripide

Museo Pio Clementino: Marmo, copia romana da un originale greco. ca. 330 d.C.

Con queste alate parole, Alcesti, la moglie devota resa immortale dal genio di Euripide, saluta il marito, cui si sacrifica per donargli la vita. In effetti  sarà salvata da Ercole come vedremo, ma il gesto resta ad esempio di una grande virtù muliebre.

Ma andiamo per gradi seguendo dall’inizio la trama della famosa tragedia che, sull’esempio di Eschilo,  si compone di :

un Prologo che da inizio alla rappresentazione;

un Parodo che introduce il coro,

gli Episodi, la parte dialogante degli attori;

gli Stasimi, che servono a separare i tanti episodi.

Il prologo ci racconta che, quando Zeus uccise Asclepio, figlio di Apollo, come punizione per aver egli osato resuscitare i morti con il suo talento medico,  Apollo per vendetta massacrò i ciclopi, che avevano forgiato i fulmini di Zeus e per questo  fu condannato dagli altri dei ad una pena particolare: sarebbe dovuto diventare per nove anni il servitore di un umano e scelsero come suo temporaneo “padrone” Admeto, re di  Fere in Tessaglia e figlio del re Fere, da cui la città prese il nome. Admeto era noto per la sua  ospitalità e per il suo senso di giustizia, sulla quale io nutro dei forti dubbi esaminando come si svolsero i fatti raccontati da Euripide.

Apollo, divenuto dunque il pastore  e lo stalliere di Admeto, venne così colpito dalla sua generosità che lo  premiò  rendendo gemellari tutti i parti delle sue mucche. Quando poi Admeto chiese a Pelia, re di Iolco, la mano della figlia Alcesti, la protagonista della tragedia, si sentì rispondere che avrebbe potuto sposarla solo se fosse riuscito ad imbrigliare in una biga  un cinghiale ed un leone. Cosa impossibile per un umano! Ma Apollo intervenne ancora una volta rendendo possibile l’impresa. Admeto così riuscì a sposare Alcesti e qui la storia sarebbe potuta terminare,  ma la fantasia degli antichi greci non aveva confine e il politeismo del tempo consentiva agli umani di interagire con gli dei, che di essi condividevano le passioni: l’amore, la gelosia, la vendetta. Così la storia continua, anzi, come vedremo, la tragedia vera e propria deve ancora cominciare. Accanto ad Admeto c’è sempre Apollo che vigila sulla sua sorte come quando persuase la sorella Artemide a perdonarlo per una grave mancanza. Durante il matrimonio il re si era infatti dimenticato di “sacrificare” ad Artemide  e la dea si vendicò facendogli trovare la casa e il letto nuziale invaso dai serpenti. Solo per l’intercessione di Apollo, Artemide si convinse ad annullare  il sortilegio.

Ma l’aiuto più grande che Apollo diede ad Admeto fu di persuadere le Moire a rimandare il giorno della sua morte. Le Moire erano  infatti  la personificazione del destino ineluttabile dell’uomo e il loro compito era tessere il filo del fato di ogni individuo, svolgendolo  ed infine recidendolo segnandone la morte. Apollo fece ubriacare le Moire, e queste accettarono il rinvio della fine di  Admeto se questi fosse stato in grado di trovare qualcuno che morisse al suo posto. Admeto credette inizialmente che uno dei suoi anziani genitori sarebbe stato lieto di prendere il posto del figlio, ma così non fu. Quando questi non si mostrarono disponibili, fu sua moglie Alcesti a scegliere di morire al suo posto.

Così, quando giunge Thanatos Artemide, (la personificazione della morte), Apollo avendo tentato  inutilmente di evitare la triste fine della donna, si allontana dalla scena, lasciando la casa immersa in un silenzio angoscioso.

Si apre così ilParodoecon l’ingresso del coro  dei cittadini di Fere, comincia  la tragedia vera e propria: mentre i coreuti piangono per la sorte della regina, una serva esce dal palazzo per annunciare  che Alcesti è ormai pronta a morire. La regina in preda  alla commozione per la sorte della sua famiglia, appare direttamente sulla scena per pronunciare le sue ultime parole: saluta la luce del sole, compiange se stessa, accusa i suoceri, che egoisticamente non hanno voluto sacrificarsi, e consola il marito.

Nel frattempo arriva sulla scena Eracle, intento in una delle dodici fatiche, per chiedere ospitalità. Admeto lo accoglie con la solita gentilezza ma,  non riuscendo a dissimulare  la propria afflizione, finisce per  spiegargliene il motivo. Racconta all’eroe che è morta una donna che viveva nella casa, ma non gli dice che era sua moglie per   non metterlo a disagio. Intanto sopraggiunge Fere, il  padre di Admeto, portando in dono una veste funebre. Il re lo respinge contrariato, accusandolo di essere il colpevole della morte della moglie, ma si sente accusare (giustamente secondo me) di essere solo un codardo.

A questo punto il Coro esce di scena  concludendo la sezione più propriamente “tragica” dell’opera. I successivi Episodici mostrano  un servo che si lamenta del comportamento di Eracle, il quale, ignorando  la situazione, si è perfino ubriacato, ma quando lo schiavo decide di rivelare a Eracle la verità e cioè che  la donna morta, in realtà, è la moglie di Admeto, l’eroe, fortemente scosso e pentito del suo comportamento, decide  di scendere  nell’Ade per riportarla in vita. Dopo il terzo Stasimo, contenente un elogio di Admeto e Alcesti, Eracle ritorna con una donna velata, fingendo di averla “vinta” a dei giochi pubblici. Admeto, inizialmente, ha quasi orrore a toccarla ignorandone l’identità, e acconsente a guardarla solo per compiacere il suo ospite. Tolto il velo, si scopre che la donna è Alcesti, ora restituita all’affetto dei suoi cari. Eracle spiega che però non le è consentito parlare per tre giorni, il tempo necessario per essere “sconsacrata” agli inferi. Con questa limitazione  che mette in luce  il carattere solenne e religioso del ritorno dalla morte e tale da non consentire  un immediato nuovo contatto tra mondi lontani, finisce la tragedia di Euripide ed interpretarne  il messaggio assiologico non è cosa semplice. Forse ha voluto sottolineare  il sacrificio di una donna, un fatto nuovo per quei tempi in cui erano considerati eroi solo gli uomini che morivano in battaglia o forse avrà voluto esaltare il ruolo   femminile nel suo significato più altamente morale: la madre che dona la vita e, come tale,capace di sacrificare se stessa per il bene della comunità. Certo è che il mondo dell’antichità ci affascina ancora pur nella complessità della trama delle sue opere, che nulla hanno da invidiare ai libretti dei nostri attuali melodrammi.


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