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L'Argent: alla ricerca della sintesi assoluta.

Creato il 03 novembre 2010 da Samuelesestieri
L'Argent: alla ricerca della sintesi assoluta.
E’ sempre difficile parlare di film-testamento quando si tratta di Autori come Bresson. Ma “ L’Argent” sta a Bresson come “ Sacrificio” sta a Tarkovskij: in entrambi il percorso intrapreso arriva a un suo naturale epilogo, con una coerenza straordinaria. Le zone d’ombra presenti nei loro film precedenti si dilatano qui in vortici concentrici e mortuari. Entrambi si incupiscono, precipitando in proiezioni sempre più lugubri e in un pessimismo disarmante. Ma – ed è importante sottolinearlo – in entrambi c’è spazio per una speranza. O, meglio, in Tarkovskij per un bagliore, in Bresson per una piccola, tenue luce.
Ma questa luce è alla fine di un percorso che, se in Tarkovskij attraversa i meandri della follia e dell’irrazionalità per arrivare – o, meglio, per tornare – all’infanzia, in Bresson attraversa il germe del denaro, in uno spietato rapporto di causa-effetto che causerà un terribile massacro, per arrivare al pentimento di Yvon nel suo atto di costituirsi alla polizia.
“ L’argent” è una struttura a orologeria destinata ad esplodere: è un marchingegno crudele, dove regnano predeterminazione e fatalità. Un piccolo gesto innesta una reazione a catena: al centro delle banconote false che passano di mano in mano. Ed è qui che Bresson fa le meraviglie: il suo potere di sintesi arriva all’apice, lo stile scarno e asciutto prosciuga qualsivoglia resa spettacolare.
E’ una lezione di regia la sequenza del massacro con la sua straordinaria capacità logico-allusiva – riscontrabile in un montaggio puramente di sottrazione e ellissi: tutto avviene a pochi minuti dalla fine, in un silenzio tipicamente Bressoniano, interrotto dai passi di Yvon e dai mugugni del cane. E’ sorprendente l’uso del fuori-campo per i vari omicidi: Bresson rifiuta di riprendere l’immagine dell’omicidio, debellandone la sua componente plastica/spettacolare ma evocandone il suo puro scheletrico non-sense. Ed è a dir poco sorprendente come Bresson riveli i cadaveri: attraverso il cane, di nuovo un animale! Ed è un animale confuso che gira da una parte all’altra delle casa, metafora dello spettatore/uomo impotente di fronte al male e all’assurdo del mondo. Abbaia, mugugna, piange, annusa i cadaveri, gira freneticamente davanti alla glaciale indifferenza di Yvon. E’ curioso che sia il cane a rivelare gli altri cadaveri, ed è ancora più curioso che Bresson sia quasi più interessato al comportamento sbigottito e stralunato dell’animale piuttosto che a quello freddo e spietato di Yvon. E’ sempre il cane a portarci dalla donna che aveva aiutato Yvon, a fermarsi alla soglia della porta e a fissare l’inevitabile. Una battuta secca: “Dove sono i soldi?” sul mezzobusto della donna. Il particolare delle mani che si alzano, impugnando l’ascia. Si ritorna al cane che continua a mugugnare e abbaiare, bloccato come una statua di marmo impaurita. Torniamo al particolare, e vediamo l’ascia che si muove contro la vittima. Stacco. Il colpo d’ascia fa cadere la lampadina accesa sul comodino mentre delle gocce di sangue schizzano sul muro. La luce si spegne a terra, in fuoricampo. E qui, magia delle magie, l’ellissi arriva a un grado di sottrazione e sinteticità sbalorditive: sentiamo il rumore dell’acqua e vediamo buttare l’ascia in un fiume. Il massacro è stato compiuto e il carnefice si è appena liberato dell’arma/peso.
Un tale potere di sintesi, una tale padronanza del mezzo, non può che confermare il fatto che quello di Bresson fosse puro cinematografo – e non cinema. Egli soleva differenziare i due termini; il cinema, secondo lui, erano le sale cinematografiche, il teatro fotografato. Il cinematografo, invece, era tutta un’altra storia: faceva appello al linguaggio del film, era l’arte cinematografica vera e propria.
“ Penso che il cinematografo non sia ancora nato” diceva nell’intervista di Weyergans. Forse si sbagliava. Basti vedere “ Au Hasard Balthazar”, “ Mouchette”, “ Un condannato a morte è fuggito”, “ Pickpocket”, “ Diario di un curato di campagna” per rendersi conto che il cinematografo, invece, era nato.
E questo film-testamento ne è la prova inconfutabile.

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