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L’austerità prosegue imperterrita in Italia

Creato il 04 maggio 2013 da Coriintempesta

di: Chris Marsden

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 2 maggio 2013

Ci sono voluti solo un giorno e una visita a Berlino, per rendere chiaro che le promesse del nuovo primo ministro italiano Enrico Letta di passaggio dalle politiche di austerità alla crescita economica sono una miscela di false promesse, manovre diversive e pure bugie.

Letta, del Partito Democratico (PD), è a capo di una grande coalizione che include il PdL (Popolo della Libertà), del magnate dei media Silvio Berlusconi. La coalizione è stata costituita per volontà del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, un vecchio stalinista, al fine di continuare le feroci misure di austerità, imposte dal precedente governo tecnocratico non eletto di Mario Monti. ?Compito non facile, data la straordinaria crisi in cui versa il capitalismo italiano.

Anche se l’Italia potesse continuare a ricevere prestiti a un tasso di interesse del 4 per cento, la sua economia avrebbe bisogno di crescere del 5 per cento perché i debiti non aumentino. Al contrario, secondo le proiezioni del governo stesso, in realtà l’economia quest’anno si ridurrà dell’1,3 per cento e il costo degli interessi sui prestiti aumenterà.

Ancora più importante, la classe dirigente e la classe politica devono fare i conti con la rabbia di massa fra i lavoratori per il crescente malessere e la disoccupazione che aumenta, attestata all’ 11,6 per cento e che colpisce un terzo dei giovani. Questa rabbia, per ora, ha trovato poca espressione organizzata, perché i sindacati italiani stanno sopprimendo l’opposizione ai datori di lavoro e ai programmi di austerità del governo. Ma questa situazione non può essere sostenuta indefinitamente, specialmente nel bel mezzo del grave deterioramento delle fortune economiche del capitalismo europeo.

Un esempio lampante della miseria sociale che si sta sviluppando in Italia è stato fornito dai colpi sparati contro due agenti di polizia, uno ferito gravemente, da Luigi Preiti, 49 anni, motivato dalla disperazione per la perdita del lavoro e la fine del suo matrimonio.

Lunedi, in parlamento, Laura Boldrini, presidente della camera dei deputati e nominalmente di sinistra, ha ammonito: “C’è un’emergenza sociale che ha bisogno di risposte ed i nostri politici devono iniziare a darle.”

Ma Letta, il cui partito è di per sé in una situazione caotica, ha offerto solo un discorso pieno di promesse contraddittorie; si impegna ad onorare le promesse dell’Italia all’Unione Europea (UE) e al Fondo Monetario Internazionale (FMI) di imporre tagli, e allo stesso tempo vuole stimolare l’economia e venire in aiuto dei più bisognosi.

“Moriremo di solo consolidamento fiscale, le politiche di crescita non possono più aspettare”, ha dichiarato, aggiungendo che i 2 miliardi di euro di debito dell’ Italia “pesano gravemente” sugli italiani ordinari. Come risultato, l’Europa è affetta da “una crisi di legittimità.”

Letta ha avvertito che la classe politica deve rispondere al crescente sentimento anti-establishment.

Ha inoltre promesso di ridurre le tasse dei lavoratori e dei giovani, per stimolare la crescita economica, di lavorare con i sindacati per abbattere la disoccupazione e di propugnare un “sistema sociale che sia più universale, più focalizzato sui giovani e le donne e che si estenda a coloro che non sono inclusi, in particolare i lavoratori temporanei.”

Tuttavia, quando è giunto a parlare di misure concrete, Letta ha offerto poco.?Invece di accantonare l’ampiamente impopolare imposta immobiliare IMU, in linea con la promessa elettorale del PdL di Berlusconi, essa verrà sospesa nel mese di giugno per poi essere rivista. Sono stati abbandonati solamente i piani di aumento dell’IVA di un 1 per cento, che avrebbe portato la tassa al 22 per cento.

Abbandonare l’imposta immobiliare costerà allo Stato € 8 miliardi di entrate, non esigerla a giugno lascerà un deficit di € 2 miliardi. Letta non ha fatto alcun tentativo per dimostrare come questo sia compatibile con la dichiarazione del suo ministro degli esteri, Emma Bonino, che l’Italia non può cambiare gli impegni fiscali presi con l’UE e il FMI per quest’anno.

Emma Bonino ha detto ai giornalisti in parlamento: “L’Italia non può rinegoziare il 2,9 per cento”. Ciò significa che Letta riponeva le sue speranze sulla rinegoziazione dei termini di rimborso del debito, come richiesto lunedi da Berlusconi e ripreso dal ministro dell’industria Flavio Zanonato, del PD.

Questo tipo di richieste non offre niente ai lavoratori. Secondo Zanonato sono centrate su idee di “condurre una politica economica credibile, mantenere una reputazione in Europa e tenere basso lo spread tra i rendimenti dei titoli italiani e tedeschi”, mentre escludono la spesa per gli investimenti previsti dal patto di stabilità europeo.

Da parte sua, il ministro dell’economia e delle finanze, l’ex vice governatore della Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni, ha parlato della ristrutturazione del bilancio dello Stato e del taglio della spesa pubblica; il che indica che la scure semplicemente cadrà altrove.

Ancora prima della partenza di Letta per Berlino, per colloqui con il cancelliere tedesco Angela Merkel, l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha emesso un giudizio negativo sulle promesse di Letta di rilanciare la crescita. Facendo eco a quella del Moody’s, ha mantenuto la qualifica del debito dello Stato in Italia a “BBB+” – solo due tacche sopra il grado spazzatura e con una prospettiva negativa.

Più tardi in giornata le cose per Letta sono peggiorate. Nel corso di una conferenza stampa congiunta con la Merkel, Letta ha parlato cripticamente della necessità di raggiungere una sintesi tra riforme e misure per la crescita e dell’Europa, mostrando “la stessa determinazione a perseguire la crescita come a mantenere sane le finanze pubbliche.”

Ma la Merkel gli ha prestato poca attenzione, affermando che non vede alcuna contraddizione tra una disciplina di bilancio e l’obiettivo della crescita economica.

“Per noi in Germania, il consolidamento di bilancio e la crescita economica non sono due fini distinti, ma devono andare di pari passo per rafforzare la competitività e quindi avere più posti di lavoro,” ha detto. “Vogliamo rendere certo che l’Europa emergerà da questa crisi più forte di quanto fosse quando la crisi è incominciata; per partecipare a questo, ogni paese deve fare la sua parte.”

L’ avvertimento della Merkel che “l’Italia ha fatto notevoli passi in questo senso” indica solo che ulteriori passi sono considerati necessari.

“La crescita porta a finanze solide, il finanziamento solido crea i presupposti per la crescita”, ha aggiunto la Merkel. “Ma è importante che non si veda la crescita come qualcosa in cui spendiamo il denaro pubblico, ma come qualcosa in cui le imprese si sentono in grado di investire e creare posti di lavoro. Ecco perché abbiamo bisogno di riforme strutturali e meno burocrazia.”

Letta ha risposto con la promessa di onorare tutti gli impegni di riforma del precedente governo Monti e si è impegnato a riempire il vuoto di finanziamento di € 8 miliardi, lasciato dall’abbandono della tassa immobiliare. Vale a dire, promettendo ulteriori misure di austerità.

Ieri Letta ha incontrato a Parigi il presidente francese François Hollande, prima di partire per Bruxelles per colloqui con il presidente della Commissione Europea, Jose Manuel Barroso. Ma qualunque retorica aggiuntiva emerga dalle discussioni con quelle orecchie, solo in apparenza più benevole, i lavoratori in Italia e nel resto dell’Europa non possono aspettarsi, da qualsiasi sezione della borghesia si voglia, un alleviamento della terribile crisi economico-sociale che si trovano ad affrontare.

Il governo Letta, così come i governi degli altri paesi più colpiti dalla crisi del debito, come la Grecia e la Spagna, possono chiedere al governo tedesco qualche margine di manovra. Tuttavia, tutti sono d’accordo che la classe operaia deve continuare a pagare il conto della crisi. Inoltre, in nome della “ristrutturazione”, offrono, come alternativa all’enfasi posta esclusivamente sui tagli di bilancio, misure che accellerano il tasso di sfruttamento della classe lavoratrice tramite l’ampiamento delle incombenze, i tagli salariali, le razionalizzazioni e la privatizzazione dei beni pubblici.


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