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L’autismo: no, i vaccini non c’entrano nulla, mentre è vero che i casi sono in aumento. Sfatiamo i miti di questa malattia

Creato il 04 aprile 2014 da Antonioriccipv @antonioricci

Il 2 aprile è stata la giornata mondiale per la consapevolezza dell’autismo, un disturbo dello sviluppo dell’organizzazione cerebrale la cui incidenza è in costante aumento: colpisce circa un nuovo nato su 150, soprattutto maschi.

L’autismo: no, i vaccini non c’entrano nulla, mentre è vero che i casi sono in aumento. Sfatiamo i miti di questa malattia

Autismo è un termine non corretto per descrivere l’eterogeneità di questa patologia, soprattutto secondo la nuova edizione del manuale di riferimento per tutti i disturbi riguardanti la sfera della salute mentale (la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders -Dsm V).

Qui sono raccolte sotto il nome di Disturbi dello spettro autistico tutta una serie di patologie che prima erano divise in cinque diverse categorie: disturbo autistico, sindrome di Asperger, Sindrome di Rett, disturbo disintegrativo della fanciullezza e il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato.

Infatti  grazie a numerosi studi e ricerche oggi si sa molto su questo spettro di disturbi ed è stata messa a punto una serie di strumenti che permettono miglioramenti anche significativi. Tuttavia ancora permangono una serie di falsi miti, convinzioni e pregiudizi che rendono più difficile la vita di chi ha un Disturbi dello spettro autistico.

I miti da sfatare

Non si conoscono le cause del disturbo autistico

Non è del tutto vero. Si conosce una parte rilevante dei fattori responsabili, forse più che in altre patologie come per esempio l’ipertensione. Si sa ormai da molti anni che è sempre presente una significativa componente genetica, variabile tra il 60 e l’80 %. Non esiste il gene dell’autismo, sono coinvolte decine di geni che interagiscono tra di loro, esiste quindi una predisposizione genetica a sviluppare la malattia.

È stato poi dimostrato il peso di altri fattori che si affiancano a quelli genetici come un’avanzata età paterna al concepimento, infezioni virali durante il primo trimestre di gravidanza o l’assunzione di farmaci come la talidomide o l’acido valporico, un nascita prematura o un danno perinatale, che spiegano in parte il restante 20-40 per cento.

I vaccini provocano l’autismo?

Quella della relazioni con il vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia è una bufala, tornata recentemente alla ribalta nei tribunali italiani, ma più volte definitivamente smentita in passato. Il sospetto, è nato in seguito a uno studio del gastroenterologo britannico, Andrew Wakefield poi rivelatosi una gigantesca truffa. A smentire questa teoria vi sono non solo molti studi – e non di case farmaceutiche, ma di enti pubblici di ricerca – ma anche l’esperienza clinica quotidiana. Si diagnosticano disturbi dello spettro autistico a bambini che non sono stati sottoposti a vaccinazioni dai genitori, che proprio per timori di questo genere non li avevano vaccinati.

Per leggere qualcosa di più su come non ci siano correlazioni citiamo solo tre dei numerosi lavori pubblicati sull’argomenti:

Lack of association between measles-mumps-rubella vaccination and autism in children: a case-control study.

How the vaccine crisis was meant to make money.

How the case against the MMR vaccine was fixed.

Si può diagnosticare con certezza solo dopo i due anni

Una diagnosi attendibile si può formulare intorno ai due anni, quando il quadro clinico del disturbo si è in parte stabilizzato. Attendibile, vuol dire che, formulata da un esperto di un centro, verrebbe confermata da un altro di un secondo centro, anche a uno o due anni di distanza.

A questa età una diagnosi di Dsa è più sicura di molte altre che hanno come oggetto malattie più comuni ed esami tangibili come le radiografie.

Tuttavia già intorno ai 18 mesi si osservano segni indicatori e oggi si cercano strumenti per individuare bambini a rischio entro il primo anno di vita (alcuni ricercatori pensano addirittura di averlo individuato nel grembo materno): una diagnosi precoce è fondamentale. Permette di intervenire in modo mirato aumentando le probabilità di recupero di alcune competenze. Inoltre, alcuni studi sperimentali stanno dimostrando che intervenendo precocemente in maniera mirata si potrebbe modificare l’atipica organizzazione cerebrale dei pazienti.

Non ha sintomi biologici ma solo comportamentali?

Il Dsa non è un disturbo psicologico ma uno neurobiologico dello sviluppo delle strutture cerebrali.

È stato definitivamente dimostrato grazie alle moderne tecnologie di diagnostica per immagini come la risonanza magnetica funzionale.

Sono stati osservati uno sviluppo e un funzionamento atipico di alcune reti cerebrali, come quelle relative al social brain, e l’atipica organizzazione reti che sottendono le capacità emotive e sono correlate  a una delle caratteristiche principali del disturbo: l’ impairment socio-comunicativo.

Inoltre, il complesso quadro di sintomi di un paziente comprende spesso anche problemi medici come epilessia, problemi gastro-intestinali, intolleranze alimentari, allergie.

Non c’è cura, non si guarisce

No, una cura non esiste.

Tuttavia esistono alcuni modelli terapeutici che combinano diversi approcci di tipo cognitivo-comportamentale basandosi sui quali i medici costruiscono efficaci terapie individuali, che cambiano spesso nel corso della vita del paziente.

Il risultato di questi interventi dipende anche dalla gravità del disturbo e dalla presenza o meno di un ritardo mentale associato. Se è presente (circa il 50/60% dei casi), il successo è fare in modo che da evitare il ricovero in un ospedale psichiatrico o in un istituto per disabili, come accadeva fino a poche decine di anni fa.

Negli altri casi, il ventaglio di possibilità di recupero si allarga fino ad arrivare a una vita nella comunità con solo un sostegno parziale, o addirittura una vita indipendente, come raccontano le molte autobiografie di pazienti oggi pubblicate, come quella di Temple Grandin.

Chi ha un Dsa non capisce le emozioni altrui

In parte è vero. Le persone autistiche riescono a provare e riconoscere tutte le emozioni di base, come felicità, tristezza o rabbia. Hanno invece maggiori difficoltà con quelle più complesse come vergogna o imbarazzo.

Questo anche a causa del fatto che hanno una diversa capacità di mentalizzare, ovvero di attribuire stati mentali all’altro: intuire cosa desidera, pensa o prova l’altro. Inoltre,molti hanno un’effettiva difficoltà ad esprimersi verbalmente, che in alcuni casi non viene mai recuperata, e che porta a pensare che non provino essi stessi emozioni: questo è falso e alla fine molti trovano altri modi per esprimere quello che provano.

 Non vogliono amici – Non sanno farsene

Le persone con un Dsa hanno un deficit nella capacità di stabilire interazioni sociali reciproche e generalmente, almeno per parte del tempo, sono poco motivati all’interazione. Tuttavia anche il desiderio d’isolamento non è uguale per tutti.

Si distinguono almeno tre tipi diversi di paziente in questo senso: l’isolato, che è disinteressato all’interazione e al contatto con gli altri; il passivo, che invece osserva gli altri, per esempio i coetanei che giocano e interagiscono, e vorrebbe partecipare ma non sa come fare – più o meno come una persona occidentale in Cina che vorrebbe partecipare a una conversazione ma non conosce la lingua; infine il bizzaro, che magari sta per conto suo, ma se vede una persona con alcune caratteristiche particolari, come gli occhiali o  i capelli rossi, vuole toccarla o interagirci.

Sono tutti geni alla Rain-man?

A smentire questa convinzione basterebbe il dato che il 50- 60% delle persone con Dsa ha anche un deficit cognitivo importante, un cosiddetto ritardo mentale.

Nel restante 50% dei casi la maggior parte ha un quoziente intellettivo medio, intorno al 100, come la maggior parte della popolazione. Vi sono poi alcuni molto intelligenti , che hanno un QI anche di 140 e poi ce n’è anche una percentuale meno brillante. Esattamente come accade tra chi non ha un disturbo autistico.

Le persone con un Dsa non sopportano il contatto fisico né quello visivo diretto

Il rifiuto totale o parziale del contatto fisico è vero solo per alcuni pazienti, altri invece amano molto farsi accarezzate, coccolare o solleticare. È una risposta individuale, come quella del contatto visivo: per alcuni può essere fonte di disagio o stress, altri invece semplicemente non sanno che attraverso gli occhi possono ottenere più informazioni, che lo sguardo è parte fondamentale della comunicazione.

Non sono interessati al sesso

Questo è uno dei più falsi tra i miti sul disturbo dello spettro autistico, alimentato dallo stereotipo tipo solitario, che spesso condanna il paziente a non avere relazioni sociali esterne alla famiglia. Le persone con  un Dsa sono interessati al sesso esattamente come chiunque altro, ma le loro difficoltà di interpretazione delle emozioni altrui e di interazioni, frustrano spesso questo desiderio.



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