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L’autobiografia fatta romanzo nel XX/XXI secolo: Proust, Knausgård e lo strano caso di JT Leroy

Creato il 23 febbraio 2016 da Wsf

I romanzi sono, spesso, racconti distorti della realtà degli autori, o del loro modo di interpretare la propria vita. Anche i romanzi di fantasia a volte prendono spunto da fatti realmente avvenuti agli autori, che decidono di raccontarli attraverso i loro personaggi. Non è sempre così, ovviamente: la maggior parte delle volte in cui la narrativa è narrativa, a prescindere dal genere letterario, ed è tutto inventato di sana pianta dagli autori; ma ci sono volte in cui gli autori decidono di trasformare la propria vita in un romanzo. A volte magari per sfogo, altre volte come esercizio stilistico, o semplicemente perché si può.

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L’ultimo esempio in ordine di pubblicazione e il primo per fama è la saga “La mia lotta” di Karl Ove Knausgård, autore norvegese che ha diviso la propria vita in sei romanzi – di cui due pubblicati anni fa in Italia e riproposti nella loro interezza negli ultimi anni. La particolarità dei romanzi di Knausgård non sta nello stile in cui sono presentati o per dettagli particolarmente crudi e cruenti della sua vita, quanto per l’assoluta, brutale onestà con cui racconta la propria storia senza censurarsi in nessun modo. Knausgård non risparmia dettagli della vita privata sua o quella dei suoi cari, senza cambiare neanche un nome né un fatto: tanto che racconta senza problemi della sua vita matrimoniale e della sua storia extraconiugale, avvenuta all’insaputa della moglie (almeno fino alla pubblicazione).

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Un’altra serie autobiografica meno nota, ma assolutamente meravigliosa e degna di ogni nota, è quella de “I Melrose” scritta da Edward St. Aubyn che racconta la propria infanzia disperata alla mercé di un padre pedofilo, crudele, distruttivo, dedito solo al lusso sfrenato, dolorosamente lontana da una madre ricchissima e alcolizzata, seguita dal racconto dettagliato della propria tossicodipendenza e dai propri tentativi di autodistruzione e crescita personale. L’intera serie di St. Aubyn è vera fino all’ultimo rigo, spietata e crudele come la vita dell’autore che, forse in un iniziale istinto di pudore, ha cambiato tutti i nomi dei protagonisti della storia, incluso il proprio. Così finiamo col seguire i passi di Edward/Patrick (o forse seguiamo Edward che segue Patrick lungo la propria storia, ricostruendola una parola alla volta) credendo di avere a che fare con un romanzo davvero ben scritto, e ricordandoci solo ogni tanto, con una fitta di empatia e dispiacere, che l’intera storia si è svolta nel mondo reale.

Questi due esempi citati sono rappresentati della nuova frontiera del romanzo autobiografico, che come genere ha origini molto più antiche ma ha visto il suo sviluppo e apice ai primi del novecento; un po’ per l’evoluzione naturale dello stile letterario, un po’ per le nuove frontiere filosofiche del ‘900 che vedevano l’uomo al centro del pensiero, e rendevano naturale lo svilupparsi di un genere che mettesse sotto i riflettori la vita umana in tutte le sue

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sfaccettature. Tuttavia ci sono delle precisazioni da fare: se quelli di Knausgård e St Aubyn sono romanzi autobiografici nel senso più autentico del termine, ovvero romanzi che parlano della vita dell’autore così com’è avvenuta, gli antenati del romanzo autobiografico dell’inizio del secolo scorso sdoganano lo stile senza però parlare dell’autore in sé, ma di un personaggio inventato trattato come reale. Fra alcuni degli esempi più famosi e consigliati su questi schermi ci sono il celebre “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust, forse il primo e più clamoroso caso di romanzo autobiografico nella storia della letteratura; Proust racconta vita, morte e miracoli di un singolo individuo narrati quasi passo dopo passo, come se si trattasse di sé – ma non essendolo. Perché, per quanto la Recherche possa sembrare autobiografico, non lo è come lo sono le opere sovracitate. Il confine fra verità e finzione è sottilissimo, ma c’è. Anche alcuni dei romanzi di Amelie Nothomb, come il celebre, “Biografia della fame”, o il famoso “Delta di venere” di Anaïs Nin, possono essere accostati a questo stile per il modo in cui la un episodio più o meno centrale della loro vita (l’anoressia della Nothomb o la vita sessuale della Nin) sia stato trasposto fedelmente su carta.

Il dettaglio davvero importante degli esempi citati come realmente autobiografici, però, è che anche se fossero inventati di sana pianta sarebbero considerati altrettanto belli e indispensabili da leggere; la consapevolezza della realtà dietro la storia permea questi libri di una visione diversa, ma non più o meno forte di quanto lo sarebbe stata di fronte ad un’opera di fantasia. L’importante è mantenere fede alla promessa della verità: uno scrittore non è in sé un bugiardo, a meno che non inventi storie di sana pianta giurando che siano avvenute davvero. Non è fondamentale che una storia sia vera o meno, ma la promessa fatta dall’autore lo è: godersi una storia vera o inventata che sia diventa godibile solo una volta che le regole sono state rispettate. Io, lettore, posso lasciarmi andare alla verosimiglianza della tua storia inventata o interessarmi a te autore, se mi dici che la storia che stai raccontando ti è successa davvero.

Questa premessa è necessaria perché, a questo punto, è impossibile non citare la saga/farsa di JT Leroy, nome di

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fantasia di Laura Albert. Se Knausgård e St. Aubyn hanno messo la propria storia prima della propria persona, con JT Leroy è avvenuto esattamente il contrario: esisteva prima il personaggio abusato, con la madre tossicodipendente e una serie di patrigni uno peggio dell’altro, pieno di disturbi emotivi e comportamentali, e poi i racconti della sua vita, raccolti in romanzi brevi che reggevano unicamente sulla certezza della loro veridicità. La sua storia di riscatto attraverso l’arte e la scrittura ha avuto un tale successo da farlo diventare un personaggio internazionale, tradotto e venduto in tutto il mondo; talmente noto da vedersi produrre un film sulla sua vita diretto e interpretato da Asia Argento. Quando si è scoperto che dietro il ragazzino figlio di una prostituta dall’infanzia traumatica e infernale si nascondeva Laura Albert (che non si riteneva abbastanza interessante per farsi notare da qualche editore e una propensione patologica alle bugie), JT Leroy e la sua fama internazionale sono crollati come un castello di carte. Dopo aver superato lo scandalo ed essere stata condannata per frode Laura Albert ha pubblicato un nuovo romanzo, ancora inedito in Italia, e passato quasi in sordina in America.

Ps: durante lo scandalo Leroy, Asia Argento fu accusata di essere a conoscenza della vera identità di Leroy, e di aver taciuto per non vedersi sfumare la possibilità di girare un film in America – cosa che poi, però, le ha impedito di farne altri. Ma questa è un’altra storia.


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