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L’ECCIDIO DI BUGGERRU #proletariato #minatori #sfruttamento

Creato il 15 novembre 2013 da Albertomax @albertomassazza

buggerruOggi, Buggerru è poco più che un villaggio di mille anime, una lingua di case incastonate nella vallata del Canale Malfidano, che si apre sul porto naturale di una piccola cala sabbiosa. Un paese ancora in attesa di un riscatto, impossibilitato da una politica mediocre a mettere a frutto in modo sostenibile lo straordinario patrimonio ambientale e culturale del suo piccolo territorio. A nord e a sud, tratti di costa tra i più suggestivi e meno contaminati dal turismo di massa dell’intera Sardegna, in un susseguirsi di scogliere selvagge e falesie, piccole e sorprendenti cale e qualche ditesa più lunga di sabbia. E poi, a segnare indelebilmente la memoria di questo paese, il motivo stesso per cui nacque Buggerru nel 1864: le miniere, in particolare proprio quella di Malfidano, di piombo e zinco, a ridosso della quale era stato fondato il paese.

Il giovane Stato Sabaudo evidentemente non volle gravarsi del peso di governare l’attività estrattiva e preferì lucrare sull’appalto. Ad aggiudicarselo furono i francesi che crearono una società ad hoc, la Societé de Mines de Malfidano. Buggerru fu oggetto di un’inchiesta parlamentare, presieduta da Agostino Depretis, per le condizioni dei minatori e delle loro famiglie già nel 1871, ma a parte la denuncia del relatore Quintino Sella, non si fece granché. D’altronde, era appena un villaggio, ancor più piccolo di oggi, in un posto impervio, abbandonato da Dio. Ma sul finire del secolo le cose cambiarono decisamente, tanto che, all’esordio del novecento, con i suoi seimila abitanti, Buggerru era diventato uno dei centri più importanti dell’intera regione mineraria del Sulcis-Iglesiente. I dirigenti francesi ebbero tanta cura nel replicare lo stile di vita parigino da far guadagnare alla cittadina il nome di Petite Paris. Si dotarono di cinema, teatro, sale da ballo, ad uso e consumo loro e dei pochi funzionari piemontesi. Tutto era sotto la loro giurisdizione: i poveri minatori non potevano raccogliere legna o coltivare alcunché, senza la loro approvazione ed erano obbligati per forza di cose a rifornirsi negli spacci dei francesi, con prezzi gonfiati. Da una parte del Canale Malfidano c’era la piccola Parigi, con tutti i comfort di una moderna città; dall’altra, immediatamente a ridosso della miniera, una suburra, un girone infernale in tutto simile a quello affrescato da Emile Zola nel suo Germinal. Ammassati in case fatiscenti di proprietà dei francesi, prive dei più elementari servizi, vivevano oltre cinquemila tra minatori, operai e operaie addetti alle attività collaterali all’estrazione, anziani e bambini.

Per migliorare le condizioni di vita e i salari, i minatori si erano organizzati nella Lega di Resistenza di Buggerru, con circa 4000 iscritti, associata alla Federazione Regionale dei Minatori, guidata dal medico socialista piemontese Giuseppe Cavallera e dal romagnolo Alcibiade Battelli. Per fronteggiare la protesta organizzata, nel 1903 era stato chiamato a dirigere la miniera un greco di Costantinopoli, Achille Georgiades, noto per il suo pugno di ferro nell’affrontare le vertenze. Nel maggio del 1904, l’ennesimo incidente che costò la vita a quattro minatori, fece salire il clima di tensione tra lavoratori e società, con i primi scioperi. Ma a far precipitare la situazione fu la decisione di Georgiades di anticipare l’orario di lavoro invernale (un’ora in meno di pausa) all’inizio di settembre, anzichè ad ottobre. Dopo due giorni di mobilitazione, la domenica del 4 settembre minatori e operai si affollarono nei pressi della palazzina della direzione, dove era in corso una trattativa tra Georgiades e i leader dei minatori Cavallera e Battelli. In realtà, il direttore voleva solo prendere tempo, in attesa dell’arrivo dell’esercito da Cagliari. Una volta arrivati, i soldati vennero alloggiati in un edificio. Avutane notizia, i minatori si diressero verso l’edificio e, vedendosi di fronte le truppe pronte all’intervento, la situazione degenerò rapidamente. Dalle mani di qualche minatore partirono pochi sassi, ai quali l’esercito reagì spropositatamente, con scariche di fucili ad altezza d’uomo. Decine di minatori caddero al suolo, due dei quali, Francesco Lettera e Salvatore Montixi, ormai privi di vita. Un terzo, Giustino Pittau, morì in ospedale alcuni giorni dopo; un quarto, Giovanni Pilloni, spirò dopo un mese di agonia. La notizia dell’eccidio provocò lo sdegno di tutto il movimento nazionale degli operai, tanto che il 16 settembre venne proclamato il primo sciopero generale nazionale, con la nascita di fatto del movimento sindacale italiano.

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