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L’EDDIEtoriale: La Turin che c’è in noi

Creato il 04 marzo 2011 da Gianclint

L’EDDIEtoriale: La Turin che c’è in noiIn fremente attesa per la trasferta che sento maggiormente, ho deciso di onorare il ritorno presso Torino, la città non per tutti, con un racconto letterario che citi i passi comuni di un sapere storico di due club che, per me, rappresentano l’equivalente dell’amore per la compagna della vita e l’affetto eterno per il migliore amico.

Quando si ha oltre un secolo, arriva l’ora di mettere per iscritto le proprie memorie, onde evitare di scordarle. Pensando alla fondazione del Milan Foot-Ball and Cricket Club, facciamo mente locale al 1899, ed è giusto, ma, come in tutte le storie, c’è di più.. Niente nasce dal nulla, tutti i principali club della fine del diciannovesimo secolo ebbero una matrice comune, un pugno di uomini italiani, inglesi e svizzeri che diedero vita al movimento football insieme, arrivando solo in seguito a fondersi in diverse realtà, a causa di alcuni dissapori. Per il Bel Paese il maschio alfa della specie fu Edoardo Bosio, un personaggio mitico, al quale, tutti noi che viviamo domeniche di passione, dovremmo un applauso. Questo torinese intraprendente, a seguito di alcuni viaggi d’affari che lo portarono a conoscere e praticare il football, tornò con un’idea fissa ed i mezzi per realizzarla: un pallone di cuoio ed il regolamento. Egli fondò nel 1887, insieme ad un certo Herbert Kilpin ed ad una dozzina di gentleman, il primo Football and Cricket Club: capostipite di tutti i club calcistici italiani, quello che, con il Genoa Fc (1893), la Torinese Fc (poi Torino) ed appunto noi, fece sì che il calcio diventasse il fenomeno di massa che è diventato. I pionieri, così si usa chiamarli oggi, sono stati però molto più che semplici architetti. Erano filosofi, ed in quanto tali estrassero dal termine greco il verbo φιλεῖν “amare”. Amarono “la sfera” forgiandone i dogmi, in una missione di cuore e di sentimenti più che di ragione.

Insomma, un granata ed un rossonero soli al comando, ma è “solo” (si fa per dire..) questo a legare i due club? No, c’è tanto, tanto altro. A cominciare da una serie di coincidenze che rendono anche le rispettive rivalità cittadine quantomeno singolari, per analogie. Facciamo un altro passo indietro, stavolta al 1897, quando venne fondato (maledetto Liceo D‘Azeglio ) lo Sport Club Juventus. Come credo saprete, i gobbi nei primi anni giocarono con la maglia rosa, quella bianconera arrivò solo nel 1903, quando John Savage decise (forse perché isterico a causa delle prese per i fondelli degli avversari) fosse ora di cambiare e, si fece spedire dalla sua patria un bel pacco contenente una decina di casacche a strisce verticali, dello stesso colore della sua squadra del cuore: il Notts County Football Club (il secondo* club più antico al mondo, 1862). C’è un legame così stretto che, ancora oggi, cosa cantano i loro tifosi? “It’s just like watching Juve” E di dove sono i Magpies? Di Nottingham, ovvero la città di Kilpin, il nostro fondatore nonché grande tifoso del… Nottingham Forest (1865), la squadra rivale. Quando Herbert ed i soci dell’Fc Milan decisero quali colori avrebbe dovuto avere il club, la leggenda racconta che si fosse optato per rosso & nero: “come il fuoco e come la paura che incuteremo agli avversari”. Ma, molto più semplicemente (conscio del “mai rovinare una bella storia con la verità” lo faccio ugualmente), fu lui a spingere perché avesse gli stessi colori del “suo” club, ovvero il rosso e nero. Ed anche il primo vero club torinese prima di esser Fc Torino granata, in omaggio ai Maroons dello Sheffield FC (* il più antico 1857!!!), scelse proprio il rosso-nero! Intrecci pazzeschi che mi fanno capire come mai, ancor prima di conoscere queste storie, avessi provato l’empatia che provo ancora oggi verso una squadra tanto mitica per le sue gesta quanto per la sua sfiga.

I soliti contestatori potrebbero dire: <ok, ma dopo la fondazione, tanti saluti a tutti ed ognuno per la sua strada>. Vero, ma solo in parte: i protagonisti delle grandi imprese rossonere e granata videro spesso incrociarsi i rispettivi destini fuori e dentro al campo. A proposito di incroci… Incrociando qualcuno per strada, alla domanda quale personaggio faccia subito venire il mente il Milan, uno dei più gettonati, specialmente dai meno giovani, sarebbe di sicuro Nereo Rocco: Il Mister con la M maiuscola, quello per eccellenza (ma attenzione che, se chiamato così, rispondeva: Mister te sarà ti, muso de mona! Mi son el signor Nereo Rocco), una vera istituzione, el paròn che ci ha portati sulla vetta d’Italia, d’Europa, del Mondo. Oltre ai trionfi con Rivera, Prati e Altafini, maturò grande esperienza in panchina proprio con il Toro, portandolo al miglior piazzamento dal dopo Superga: il terzo posto nel ’65. La squadra era quella di “faccia d’angelo” Rosato, nostro ex baluardo della difesa che, a scanso di equivoci da soprannome, era un misto tra Gattuso e Stam! Da quale vivaio proveniva Roberto? Quello granata! Simbolo del tremendismo di quegli anni era, però, la “farfalla granata” Meroni. C’è una foto che, chiunque (spero molti) abbia il cult book intitolato “Rocco”, non potrà mai dimenticare: accanto al Nereo che si defila dai tifosi entusiasti posa l’inquietante figura di Tilli Romero, la nemesi di Giussy Farina in salsa granata. Lo sciagurato Attilio (certo più di Egidio), non a caso uomo Fiat, vanta il seguente curriculum: nel ’67, da neo patentato, uccise il suo (a suo dire) idolo Gigi investendolo con l’auto e, nel 2005, da presidente “tifoso” (e meno male..), uccise l’intero Ac Torino, mandandolo al fallimento e, rischiando di farlo sparire dalla storia del calcio. Curiosamente a salvare il Toro arrivò un uomo di Berlusconi, colui che ci salvò da un altro fallimento certo nell’86.

Torniamo al mitico Nereo che, appena apriva bocca, capivi subito da quale zona dello stivale venisse: Trieste. Città che ha dato i natali ad altri due miti, due “veci” (così chiamava i suoi giocatori) storici, i capitani per antonomasia: Maldini & Ferrini. I due cognomi hanno un altro dato in comune, sono quelli che più volte hanno portato i colori rossonero e granata, una vera seconda pelle: Cesare 347 (“Paolinoooo” 647!), una vita nel Milan chiudendo però la carriera, con 33 presenze, proprio nel Toro dove Giorgio arrivò a 405, record assoluto del club. Il blasone dei due personaggi meriterebbe un pezzo a loro dedicato (non mancherò), per ora mi limito a dire che, insieme a Franco Baresi, Nils Liedholm, Valentino Mazzola e Paolo Pulici, rappresentano il DNA di riferimento che gli scienziati potrebbero usare per clonare l’incarnazione del giocatore ideale. Una breve nota, un ennesimo Torino-Milano, per quest’ultimo, uno dei miei miti: Puliciclone, nativo di Roncello (Milano), quando ancora giocava nel Legnano fu provinato e scartato dalla maiamata (sempre lungimirante…) per poi segnare il suo primo (di tantissimi) goal proprio contro chi? Sempre loro, gli intenditori di non-calcio, quelli che criticavano i “ladri” salvo poi arrivare dove neanche i gobbi avevano mai osato. Se potete, andate a stringere la mano a “Pupi” a Trezzo sull’Adda, sede della scuola calcio a lui dedicata, se lo merita.

Avendo i campioni ed i campionissimi bisogno di un luogo dove vivere le loro gesta, la mia chiosa non può che andare al Filadelfia, detto “La fossa dei leoni”. Proprio come la Fossa dei Leoni di Milano, prima firm italiana, nel 1968, seguita nel ’69, dagli Ultras Granata, primi ad usare il termine “ultras”. Andrebbe anche detto che già dal ’51, quando non era ancora presente il termine ultras, c’erano i Fedelissimi Granata, primi a formare gruppi organizzati per il tifo. Anni fa, quando vivevo a Torino, incontrai Oberdan Ussello per la presentazione del suo libro dedicato al mitico stadio… Che personaggio! Colui che impedì la fatal Superga potesse distruggere il club e, attraverso il suo lavoro con il settore giovanile, gettò le basi per far si che quello stadio plasmasse ragazzini come Vieri, Fossati, Cereser, Agroppi, Zaccarelli, Fuser, Cravero, Ferri (Giacomo, non confondiamo..), nomi che fotografano quello che era il miglior vivaio d’Italia. Dico “era” perché il triste giorno del 10 Aprile 1998, lo ricordo bene dato che ero presente, il Filadelfia venne raso al suolo in nome di una ricostruzione che non avvenne mai. Veder crescere erbacce lì dove correva sulla fascia Maroso e segnava il guizzante Gabetto fa male al cuore quanto guardare un club tanto importante sprofondare nelle sabbie mobili della B. Così sabato, quando saremo in campo, vinciamo anche per onorare la memoria di quella antica unione che ci vedrà, anche solo per una sera, tornare ad affratellarci per un comune tifo contro chi dimentica:Torino è stata e resterà granata.

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