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L’EIA contro l’e-commerce: stimola il commercio dell’avorio degli elefanti

Creato il 07 marzo 2013 da Molong

hanko
Soltanto settanta anni fa erano più di cinque milioni gli elefanti che vivevano nell’Africa sub-sahariana, ai giorni nostri sono ridotti a poche centinaia. Secondo il gruppo conservazionista Environmental Investigation Agency (EIA) anche i motori di ricerca, in particolare Google, stanno alimentando il commercio di avorio e il conseguente massacro di elefanti africani. Nei giorni scorsi un comunicato stampa dell’EIA sottolineava che sulla grande G sono visibili ben diecimila ads dedicati al commercio di avorio. In larghissima parte si tratta di siti cinesi e giapponesi e l’oggetto dei desideri nipponici è l’hanko, il timbro personale usato in sostituzione della firma per siglare qualunque contratto.
ivory
HANKO INSANGUINATI – Secondo gli attivisti dell’EIA la vendita di hanko “è una delle principali ragioni della richiesta di avorio e ha causato la ripresa del bracconaggio su larga scala in tutta l’Africa”. Fermare il sanguinario traffico è uno dei punti prioritari all’ordine del giorno del CITES (Convention on International Trade in Endangered Species) che si sta svolgendo in questi giorni a Bangkok, nel corso del quale esponenti di 178 nazioni si incontrano per proteggere la biodiversità, creare un commercio legale di flora e fauna e combattere il contrabbando. Negli ultimi anni, la continua crescita economica di gran parte delle nazioni asiatiche ha fatto crescere anche la richiesta di prodotti in avorio, portando il massacro di elefanti ai livelli massimi degli ultimi venti anni. L’anno scorso, secondo l’associazione animalista Born Free Foundation, sono stati 32.000 gli elefanti africani abbattuti dai bracconieri per strappare loro le preziose zanne e la maggior parte dell’avorio ricavato è finito nelle mani dei turisti sottoforma di ciondoli e statuette.
MA GOOGLE NON RISPONDE – I vertici dell’EIA hanno riferito inoltre di avere scritto il 22 febbraio scorso una lettera a uno dei fondatori e attuale amministratore delegato di Google, Larry Page, nella quale veniva espressamente richiesto di togliere tutte le inserzioni pubblicitarie che reclamizzino prodotti derivati da animali in via di estinzione. Un portavoce dell’azienda americana ha recentemente dichiarato che “la pubblicità di prodotti ottenuti da specie minacciate dall’estinzione non è consentito dalle nostre stesse politiche interne. E non appena individuiamo un ad che viola le nostre regole, lo rimuoviamo”. Peccato che secondo l’EIA le diecimila reclame di prodotti in avorio e le millequattrocento di oggetti creati con ossa di balena siano ancora tutti al loro posto e che nessuno si sia degnato di rispondere alla lettera. A parziale discolpa di Google è necessario sottolineare le difficoltà a combattere le pubblicità illegali, cosa del resto già fatta notare dai vertici dell’azienda quando nel gennaio scorso hanno pubblicato un post nel quale veniva raccontata la battaglia contro l’illegalità. Nel solo 2012 sono stai rimossi 224 milioni di ads ed eliminati 889 mila inserzionisti. E’ bene ricordare anche che cercando su Google Shopping Japan non si trovano oggetti dichiaratamente in avorio, poiché la materia prima della quale sono costituiti viene in qualche modo mascherata. Si usano termini come “osso che non brucia”, “oro bianco”, “falso avorio”, ma si tratta di fumo negli occhi di chi dovrebbe controllare poiché la stragrande maggioranza degli oggetti è in avorio. Un recente report investigativo di un altro gruppo conservazionista, l’ International Fund for Animal Welfare (IFAW), ha scovato 17.847 prodotti in avorio in vendita su 13 siti web cinesi.



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