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L’eliocentrismo ha messo in crisi la teologia? No, ha elevato l’uomo

Creato il 18 dicembre 2012 da Uccronline

L’eliocentrismo ha messo in crisi la teologia? No, ha elevato l’uomo
 
di Francesco Agnoli*
*scrittore e saggista

 
 

L’effetto più evidente, per l’osservatore superficiale, della rivoluzione astronomica, è la fine del sistema aristotelico-tolemaico, e di conseguenza del geocentrismo. Su questa semplificazione sono nate tante affermazioni errate.

Si dice spesso, infatti, che l’eliocentrismo copernicano, che in verità verrà dimostrato solamente all’inizio dell’Ottocento, avrebbe avuto conseguenze filosofiche e teologiche mettendo in crisi l’antropocentrismo biblico. L’uomo si sarebbe cioè ritrovato piccolo, e insignificante, spodestato e detronizzato, sperso in un universo sempre più grande: non più al centro del mondo.

In realtà è vero il contrario. Tutto il pensiero antico, greco, persiano, indiano, arabo, in una parola astrologico, era cosmocentrico, non antropocentrico, e la Terra era al centro fisico dell’Universo, nel sistema aristotelico tolemaico, non per la sua maggiore dignità, ma al contrario, per la sua miseria e insignificanza, rispetto agli altri corpi celesti. L’astrologia, combattuta prima dal pensiero cristiano, poi sconfitta dalla rivoluzione astronomica e scientifica e dalle condanne papali, sino a Sisto V (bolla Coeli et terrae, 1586), si fondava cioè sull’idea del cielo come “causa efficiente universale”, espressa ad esempio dal medico-astrologo Pietro D’Abano, nel XIII secolo: “questo mondo inferiore (la Terra, ndr) è in necessaria continuità con i movimenti sovrastanti: così che tutta la sua potenza è governata dall’alto. Il mutamento delle cose terrestri in relazione a questo o quell’individuo deriva dal mutamento dei corpi celesti. Pertanto colui che intende investigare le cause delle cose dovrebbe innanzitutto contemplare i corpi celesti” ( Il Rinascimento italiano e l’Europa, Vol. V, le scienze, pag. 51, Fondazione Cassamarca, Vicenza 2008).

Tutto ciò che succede sulla Terra, infimo tra i pianeti, dunque, sarebbe determinato dai corpi superiori, dai cui effetti nefasti occorrerebbe sempre difendersi (vedi il De siderali fato vitando di Tommaso Campanella)! Osservando i cieli, scoprendo col cannocchiale che la luna ha avvallamenti e asperità e che il sole ha delle macchie, e va quindi spegnendosi, Galileo Galilei farà tramontare definitivamente l’idea pagana dei pianeti divini, anche se proprio in quegli anni molti ammiratori di Platone e della magia stavano cercando di far rinascere antichi culti pagani del sole, giustificandoli alla luce dell’ eliocentrismo copernicano (se il sole è al centro, sostenevano, è proprio perché è un dio, come volevano gli egizi e gli altri popoli panteisti). Così facendo, come lui stesso ebbe a dire, Galilei non abbassava la dignità della Terra - “nobilissima ed ammirabile”, e non già, come per gli aristotelici, “sentina di terrene sordidezze e brutture” (Dialogo)-, ma al contrario la elevava al livello degli altri corpi celesti, riaffermando, indirettamente, la centralità non più solo geografica, materiale, ma finalmente sostanziale, spirituale, dell’uomo: non sono le stelle che comandano sugli uomini, come già avevano detto Lattanzio, Agostino, ecc., ma gli uomini che studiano e comprendono le leggi che regolano gli astri, definitivamente ridotti a materia creata in movimento.

A coloro che, nonostante tutto, non volevano rassegnarsi all’idea di un mondo che non fosse dio, e che pensavano di trarre, dalle nuove nozioni sulla grandezza del cosmo, motivazioni per sminuire la centralità dell’uomo, mantenendo surrettiziamente la divinità degli astri attraverso la divinizzazione di un Universo “infinito”, cioè divino, avrebbe risposto il filosofo e matematico copernicano Blaise Pascal“L’uomo non è che una canna, la più fragile della natura; ma è una canna che pensa. Non è necessario che l’universo si armi per distruggerlo: basta un vapore, una goccia d’acqua per ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo lo distruggesse, l’uomo sarebbe sempre più nobile di ciò che l’uccide, perché sa di morire… l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. Non è nello spazio che devo cercare la mia dignità … attraverso lo spazio l’universo mi comprende e mi inghiotte come un punto, attraverso il pensiero io lo comprendo”.

L’uomo, insomma, che scruta ogni cosa, osserva i cieli, interroga la natura, e si chiede il senso della sua esistenza, è il vero ed unico vertice del creato, perché unisce, alla natura corporea, che lo accomuna a tutte le altre cose, una natura spirituale. Questo pensano i padri dell’astronomia, tutti, nessuno escluso. Lui solo, solo l’uomo, dunque, è portatore di una scintilla divina, a immagine e somiglianza di Dio, mentre il cosmo, lungi dall’ essere il luogo di mille paralizzanti divinità e spiriti, come è ancora oggi per molti popoli, gli è stato affidato come un giardino, di cui servirsi, ma anche da custodire, con cura e responsabilità. L’uomo guarda e indaga, liberamente, il cielo, dunque, perché è il cuore, il centro dell’universo.

Da “Scritti di un pro-life“ (Fede&Cultura 2009)


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