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L'elogio della follia

Creato il 19 marzo 2013 da Sirinon @etpbooks

Qualsiasi cosa dicano di me i mortali - non ignoro, infatti, quanto la Follia sia portata per bocca anche dai più folli - tuttavia, ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini. Non appena mi sono presentata per parlare a questa affollatissima assemblea, di colpo tutti i volti si sono illuminati di non so quale insolita ilarità. D’improvviso le vostre fronti si sono spianate, e mi avete applaudito con una risata così lieta e amichevole che tutti voi qui presenti, da qualunque parte mi giri, mi sembrate ebbri del nettare misto a nepènte degli Dèi d’Omero, mentre prima sedevate cupi e ansiosi come se foste tornati allora dall’antro di Trofonio. Appena mi avete notata, avete cambiato subito faccia, come di solito avviene quando il primo sole mostra alla terra il suo aureo splendore, o quando, dopo un crudo inverno, all’inizio della primavera, spirano i dolci venti di Favonio, e tutte le cose mutando di colpo aspetto assumono nuovi colori e tornano a vivere visibilmente un’altra giovinezza. Così col mio solo presentarmi sono riuscita a ottenere subito quello che oratori, peraltro insigni, ottengono a stento con lunga e lungamente meditata orazione”. (Erasmo da Rotterdam, “L’elogio della follia”)

brueghel

Solo aggrappandomi strettamente ad Erasmo riesco a trovare un senso compiuto a quanto sto leggendo d’Italia, sull’Italia, dall’Italia. Da giorni, anzi da mesi. Era un filtro, quello della follia, che mi aveva - straniero in terra straniera - aiutato a capire l’incomprensibile di una terra che non conoscevo. E pertanto aveva un senso. Adesso contrariamente a quanto avrei auspicato, mi serve per cercare di capire una terra che in fondo ho lasciato da poco e che oramai, ahimé, sembra invece lontana. Una terra dove l’esercito dei critici, degli analizzatori, dei comici arguti e degli osservatori professionali ha surrogato l’esercito dei cittadini. Una terra dove l’anarchia regna sovrana quale apoteosi di una democrazia che non accettando più alcun tipo di bavaglio e di freno al più piccolo dei diritti, cerca di sfamarsi alla mangiatoia della perenne e totale opposizione a tutto, esaurendo così la propria energia nel sindacare, analizzare, dissezionare morbosamente quel poco di fare che c’è, trovandolo – ovviamente – inadatto e inadeguato. In questa generale e totale negazione dove l’imperativo assoluto è quello di smontare, nessuno o quasi ha più il tempo di costruire. E le alternative sono tutte in mano a chi, uscendo allo scoperto con uno straccio di possibile novità o soluzione (parola che sembra divenuta sconcia), si espone a raccogliere consensi fino a che fa opposizione pur schifando l’élite perché usa il vaffanculo, come se invece starsene immobili a riempirsi di un futuro che è sempre più frutto di filosofia e non di vita fosse più democratically correct o invece ancora, frequentando una superiore arroganza che osserva da ben altra e più elevata finestra sia più trendy. Quando poi la malcapitata politica start-up infine esce allo scoperto, tentando l’assurdo, ovvero il folle gesto di saltare la barricata e dall’opposizione (facile e divertente) passa al tentativo di fare, naufraga. Anche perché la Madre dei sociologi, degli esteti, dei comportamentalisti, perennemente incinta, aveva messo e mette in guardia attraverso l’esercito dei suoi figli,  da tutto e da tutti coloro che cercano di fare, ora perché fascistoidi, ora perché di casta, ora perché destrorsi, ora perché sinistroidi. Si rifiuta però, per un contratto stipulato con una certa morale democratica, di  proporre anche la più piccola iniziativa che non sia un esame o un riesame dell'accaduto, perché il suo vivere è dovuto ed alimentato dall’errore altrui, tanto che la realtà odierna non viene vissuta come tempo da salvaguardare (poiché macchiato dalla colpa dell’errore) ma unicamente come esperimento da osservare per il futuro. Quello sì che non stanca né abbrutisce. E’ malleabile il futuro, docile, fresco e fantasioso. L’oggi poi si consuma in fretta, diventa subito ieri e quando è diventato ieri non ha più nulla di nuovo da dirci. Il futuro no. Si estende, si dilata, si allunga e si rinnova ogni giorno. E pensando in funzione del futuro nel frattempo è possibile schifarsi di tutto e di tutti, è possibile credere di non appartenere all’oggi cercando di guardarlo da una finestra privilegiata: quella della follia. La follia che disconosce il senso del vivere con quello di prepararsi a farlo come se fossimo non solo eterni ma, soprattutto, come se potessimo scegliere quando iniziare a vivere. In questa dimensione di folle vissuto si approda infine alla specializzazione: essere specializzati permette di limitare le responsabilità in quanto cultori di uno spicchio ben definito di competenze ma, soprattutto, inculca quel senso di appartenenza ad una specifica enclave (o casta in quanto detentrice della ricchezza più grande, la verità), che permette dal proprio osservatorio di sottoporre ad esame autoptico (vivo o morto non importa) il brulicare (o il brucare, in base al grado di rispetto che se ne porta) della massa. Quella popolare, digitale e non. Sferzandola, insultandola, pur, nel contempo, nutrendola. Se venisse a mancare, tutta la ragion d’esistere dell’osservatore verrebbe a cadere. Così, alla fine del secondo ventennio, dopo che migliaia di esperti e specializzati sono cresciuti, hanno osservato, anche nel silenzio, la povera Italia, esausta ma in fondo felice, va alle urne e cosa ne esce? Due figli del ventennio (B&B) e una cosa informe che andava bene chiamarla popolo grillino fino a che si divertiva con i vaffanculo (anche se a “tanta volgarità in odor di menefreghismo di vecchia data” era difficile accomunarsi apertamente a detta di molti) e che adesso, di fronte al fatto che ogni parola ed ogni voto espresso può pesantemente influire sul destino sia personale che di altri, barcolla, trema. Un gruppo che forse ha qui esaurito parte della sua ragione di essere e che non merita altro  se non il sacrosanto ringraziamento per aver, fino ad oggi, fatto il lavoro sporco tanto da non permettere che i soliti attori dell’ultimo ventennio si spartissero il Parlamento (salvo prossimi e futuri inciuci di cui, anche se ridimensionati, sarebbero capaci), con buona pace degli schifiltosi moralisti, degli “intelletti puri e puliti” che in realtà nelle urne non hanno inteso rischiare un centesimo del proprio avere, preferendo il mal conosciuto alle ipotetiche sabbie mobili di un futuro che stavolta poteva non rivelarsi così attraente come nelle chiacchiere. Dimostrando così di essere - olte che falsi profeti di futuri -  i veri conservatori non solo per un mancato voto al “presunto nuovo” o comunque all’elemento di rottura, quanto per la non sentita necessità di rinnovarsi negli ambiti partitici consueti (che, all’esame dei nomi, non stavano presentando alcuna alternativa alle facce straconosciute. Non casualmente … nessuno ha vinto, nemmeno i sicuri vincitori. Ed inoltre se l’unica novità era Grillo, non è certo stata colpa di Grillo). Ha vinto questa casta dei conservatori non dichiarati. Una casta che non vuole mettere in discussione il diritto ad un benessere spesso caduto dal cielo e non guadagnato, al quale non intende rinunciare e che comunque vorrebbe eventualmente discutere in punta di fioretto in una ideale agorà, seguendo toni e modi da grande civiltà, eloquente segnale di un distacco con la realtà (di follia dunque) che invece, ancora una volta ha dimostrato come ci sia bisogno di più fatti e di meno filosofia. A meno che non valga il principio secondo il quale “fino a che ho un lavoro, un’autovettura, un televisore, un iphone ed un po' di vacanze continuo a tapparmi tutti gli orifizi”.

A seguito delle elezioni, governo o meno, la Costituzione impone che si debba provvedere ad eleggere un paio di simboli istituzionali e qui ….., come fare a non essere d’accordo suchi, in qualche modo eletto, sta declamando delle ovvietà ma che, dette da certi pulpiti hanno il potere di risvegliare quel sentimento ormai perso in età romantica ch’è la speranza? Oggi a dire ovvietà si passa da brave persone anche sui social, figurarsi poi da certe poltrone: si diventa simboli di virtù, e portatori di speranza.  Guai poi, in fondo, a non concedere una chance. Anch’io la concedo perché no? Non per una forma di democrazia ma solo per il fatto che vorrei che anche a me venisse concessa in caso di bisogno. Ma ciò non può certo bastare anche se in tale grigiore pure una o due rondini potrebbero far (o sembrar) primavera. Specie adesso che quella araba non è più argomento per esultare e galvanizzarsi ma avvenimento consumato e concluso nello scontro (c.v.d.).

Ma noi siamo diversi. Noi siamo furbi. Noi siamo … più di tutti. Noi siamo italiani prima di essere globali, ovvero prima di capire che della globalità si fa parte non solo grazie alla rete ma anche perché dall’esterno si possono trarre lezioni, ci ritroviamo, pateticamente snob, a sbandierare la nostra unicità.

E nel frattempo si perde il rapporto con la realtà, quella vera. Ed in un mondo cui comunque piace fare il globale solo quando non fa fatica, cui piace servirsi di questo totale senso di informazione solo per le grandi questioni, come se i principi debbano essere rispettati solo dagli altri, specie se lontani, si guarda alla Grecia, alla Spagna, a Cipro, all’Irlanda, manifestando invece una certa qual superiore diversità. Paesi dove è successo non più tardi di ieri quanto sta piano piano avvenendo in Italia (l’ingovernabilità ad esempio che la Grecia, da quasi un anno, ci ha riproposto con l’inciucio degli inciuci … o il crescere della disoccupazione che in Spagna, fino a pochi anni fa paese considerato simbolo per innovazione e mobilità, oggi ha toccato livelli da terzo mondo). Paesi dove tutti delegano oramai perché tutti presi a condannare il governo o l’opposizone. Dove nessun propone perché non si ha tempo per proporre. Paesi dove le enclaves estremiste ed autonomiste stanno avendo grande successo. Paesi non tanto diversi  dall’Italia dove, probabilmente, si faranno nuove elezioni Grecia docet!) perdendo un anno in tempi in cui tutto avviene nel termine di secondi.

Ma che volete che sia un misero anno di fronte al pontificare sul futuro per il quale, invece, fioccano scenari, proposte, immagini, ipotesi e persino trattati, fatti di ordine, di apparati funzionanti, puliti, moralmente integri, apolitici (come se una tale condizione oltre che in discipline filosofiche ed etiche esistesse nella realtà). Insomma uno scenario dove non c’è da sporcarsi né le mani né l’intelletto. Non a caso non si comprende come fare dalla condizione attuale ad arrivarci. Una panacea che fa sopportare meglio il presente disconoscendolo, facendo finta che non esista o che appartenga ad altri che non hanno di tali importanti incombenze, dimenticando il significato profondo della storia che è pronunciamento di quella antica legge di causa ed effetto che lega tutto il vissuto umano.

L’Italia è terra di un popolo di scellerati folli o di ricchi o di ricchi folli. L’Italia solo grazie ad un profondo senso della follia può starsene sul ciglio del baratro (dove altri sono già precipitati) a ridacchiare, a satireggiare, a cercare di salvare quel tanto o poco che ancora ha, rifiutandosi di credere che se per caso arrivasse la resa dei conti, per i più non ci sarà riparo e tanto effimero benessere (si parla qui di quantità e non di qualità) che si è pervicacemente cercato di salvare se ne andrà d’un colpo. Perché se succedesse, così sarà. Si viene spazzati via con tutti privilegi fino ad oggi goduti e chiuso. Illuso chi pensa che i ceti medi ne usciranno indenni. Saranno costoro a pagare più di tutti perché oggi vanno di moda i potenti e gli “ultimi”, degli altri v’è bisogno solo per pagare (guardate gli altri PIGS e ditemi: chi ha pagato e sta pagando fino a scomparire?). Nel frattempo, essendo fuori legge l’oppio, ci si inebria di futuro, ma non in termini di speranza quanto di surrogato al presente del quale, morto che cammina, non val più la pena di preoccuparsi. A meno che non si arrivi più a fine mese ed allora cambiano le prospettive ed il futuro, diventa speculazione per chi può permettersela ed il presente .. un affar serio.

Nel frattempo chi deve tirare le fila continua a farlo. Dal Parlamento hanno offerto un paio di inutili contentini, non segno di rinnovamento, ma solo, forse, facce un poco più pulite, che non sono una eccezionale anormalità anche se così può sembrare. Cipro nel frattempo, visto che è piccolina, subisce le angherie peggiori senza ritegno alcuno. In Italia molti se ne restano perennemente nel limbo della fase beta ad osservare. In mezza Europa dopo la fase beta (che poco in realtà funzionò con l’Islanda), che fu ben sperimentata in Grecia e la fase 1.0 esperita in Spagna dove si sono affinate le apps messe a punto ad Atene, si passa adesso alla fase 2.0, con apps tutte nuove, molto più incisive e dirette, che non necessitano di integrazione con i software presenti nell’ambiente, manifestando l’idea, a Cipro, di razziare depositi e risparmi, senza pensarci due volte, anzi, come condicio sine qua non per mostrare il volto solidale “dell’europa delle banche” ….. e in Italia si gioca alle carte e si parla di calcio nei bar …… salvo qualcuno che ancora crede che magari se lo meritano pure a Cipro perché fino ad adesso hanno sperperato come cicale.

Questo si percepisce dall’esterno. Sta implodendo un sistema. Cosa è capace di spazzare via in parte già lo si dovrebbe sapere. Non vedo prevenzione, non vedo comprensione, non vedo la lungimiranza almeno di iniziare a ipotizzare qualche rimedio quando ancora non tutto è perduto. Ma per fare questo servono obiettivi, spirito di sacrificio, umiltà, tenacia. E servono anche regole, ma come darne a chi pensa che la democrazia sia una pentola dove tutti vivono liberi, felici e contenti, dove ogni desiderio è un diritto e dove il richiamo ad ogni dovere è una repressione fascista? Per quanto poco ebbe poi a funzionare non è questa nemmeno la democrazia dell’antica Grecia con la quale tutti gli intellettuali d’Europa ebbero a riempirsi la bocca cinque anni fa prima di girarsi dall’altra parte per non sentire il puzzo di carogna.

follia
In Italia oramai il dopo elezioni è stato digerito. Non si parla più di programmi. Si satireggia in particolare sui grillini come è ovvio fare in tutte le caserme con i nuovi arrivati messi sotto la lente d'ingrandimento (“le scimmie” si chiamavano dove ero io di stanza), si cazzeggia più o meno rassegnati ad attendere le prossime ipotetiche elezioni che si paventa siano da farsi a ottobre. Forse ci srà un governicchio, forse no, forse un bell'inciucione ma occorre stare attenti perché farebbe guadagnare, salvo miracoli inattesi, ulteriori punti alle matricole del "vaffa" che certo oggi non sono né sarebbero capaci di governare ma se gli piove addosso un altro 5% ..... Nel frattempo Vendola si inalbera, puro e puritano, perché accusato di voler “comprare” un deputato grillino. Travaglio apostrofa come “decerebrati” coloro che non lo capiscono dopo aver etichettato come “fascisti” i “vaffanculo” di Grillo con squisita e collaudata arroganza. Grillo sta riempiendo di lavoro il povero Crozza che nel dopo-Berlusconi rischiava di perdere il posto; Bersani è quello che prima devono dire gli altri cosa fanno e lui dopo prende le misure, dimentico che stavolta è lui a guidare la presunta maggioranza; il “povero” Alfano é ridotto a fare  il cagnolino obbediente dell’imbonitore nelle piazze davanti ai tribunali, Monti tace, non ha bisogno di fare nulla, tutto sta andando avanti allo sfascio come da programma .. meglio di così (!). La rete, ammesso che sia una entità a parte, prima parla … poi si vedrà, qualcuno finisce per credere a tutto, tanto poi ci sono gli influencer e tutti i nuovi sociologi a ripetere ed amplificare ciò che deve essere amplificato. Prolifica il tutto ed il nulla nella Storia Infinita di questo paese, in particolare più il secondo del primo.  

Questo si percepisce da fuori confine. Speriamo sia tutta un'impressione.


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