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L’enuresi ovvero la perdita involontaria delle urine dopo i 5 anni di vita

Creato il 13 novembre 2015 da Antonioriccipv @antonioricci

L’enuresi è un disturbo caratterizzato dalla perdita delle urine che avviene involontariamente durante la notte, con una frequenza di più di due volte a settimana, per tre mesi consecutivi, in bambini aventi un’età superiore ai 5 anni, ossia l’età entro cui è normalmente acquisito il controllo degli sfinteri.

L’enuresi ovvero la perdita involontaria delle urine dopo i 5 anni di vita

Si distinguono:

  • enuresi monosintomatica (MNE): enuresi non associata ad altri sintomi delle vie urinarie;
  • enuresi non-monosintomatica (n-MNE): enuresi associata ad altri sintomi delle vie urinarie (urgenza minzionale, mitto debole o interciso, mutandina bagnata durante il giorno, cambiamenti nella frequenza delle minzioni, sforzo ad urinare, incontinenza urinaria, manovre atte ad evitare l’incontinenza come “accovacciamento” o saltellare su di una gamba, sensazione di incompleto svuotamento);
  • enuresi primaria: il bambino non ha mai acquisito il controllo vescicale;
  • enuresi secondaria: il bambino è stato asciutto durante la notte per almeno 6 mesi prima che il disturbo si sia presentato.

Si tratta di un disturbo molto comune in età pediatrica.

A 5 anni circa il 15% dei bambini bagna il letto, a 7 anni il 10%, a 10 anni circa il 5% e tra gli adolescenti e gli adulti le percentuali si aggirano intorno all’1-2%.

Per quanto riguarda l’enuresi monosintomatica il disturbo è più frequente nei maschi rispetto alle femmine. I meccanismi in grado di causare enuresi sono molteplici. L’eziologia è, infatti, multifattoriale. Tra le cause si riconoscono fattori genetici, alterazione nel ritmo secretivo dell’ormone antidiuretico, la vasopressina, ritardo maturativo dei meccanismi di inibizione della minzione, instabilità del muscolo detrusore, disturbi del sonno e difficoltà a risvegliarsi. Motivi psicologici sono invece prevalentemente alla base dell’enuresi secondaria.

Una corretta e approfondita anamnesi del paziente è essenziale. Un’attenta valutazione della storia personale permette di inquadrare correttamente il tipo di enuresi, di evitare al bambino esami inutili e, soprattutto, di impostare l’iter diagnostico terapeutico più adeguato.

Una familiarità per enuresi, o più genericamente per disturbi minzionali e/o nefro-urologici (nicturia, nefrouropatie, ecc), deve sempre essere investigata.

Prematurità o patologie perinatali possono comportare un ritardo delle successive acquisizioni psicomotorie.

Stipsi e/o encopresi di per sé possono accentuare i disturbi minzionali diurni e l’enuresi.

Disturbi minzionali diurni devono essere accuratamente ricercati. Abitudini igienico-alimentari non corrette, quali bere molto la sera o durante la notte, non urinare prima di andare a letto, assumere bevande fortemente gasate, devono essere prese in considerazione.

La presenza di apnee notturne o russamento deve far sospettare un’ipertrofia adenoidea la cui cura può portare di per sé al miglioramento o alla guarigione del disturbo.

Notizie sul rendimento scolastico, socializzazione, rapporti familiari possono indicare quei bambini in cui sia necessario approfondire la sfera psicocomportamentale.

Per quanto riguarda invece l’esame obiettivo, oltre alla visita generale con valutazione di peso, altezza e pressione arteriosa, meritano particolare attenzione la valutazione delle seguenti regioni:

  • addome;
  • genitali;
  • perineo;
  • regione lombosacrale;
  • arti inferiori.

Chi e quando trattare? In generale qualsiasi tipo di terapia va cominciata dopo il quinto anno di età e dopo un periodo di osservazione di almeno un mese, durante il quale il bambino dovrà annotare con attenzione il numero di notti bagnate. L’epoca di inizio del trattamento, tuttavia, è un’indicazione puramente teorica e convenzionale e deve prendere in considerazione diversi aspetti della vita psico-affettiva, sociale e comportamentale del bambino che soffre di enuresi. Bisogna intervenire quando la richiesta di “voler guarire” viene espressa in maniera esplicita da parte del bambino e della sua famiglia.

Perché intraprendere una terapia?

Per l’impatto che l’enuresi può avere sulla sfera psico-comportamentale del bambino, per la certezza che la causa principale della MNE non è da ricercarsi in generici motivi psicologici, ma, al contrario è proprio la condizione di enuretico che può comportare, se perdura nel tempo, delle problematiche di tipo psico-emotivo.

Ma anche per le possibili ripercussioni sull’identità sessuale del soggetto e sulla possibilità di generare complessi di inferiorità e di inadeguatezza rispetto ai coetanei e infine per migliorare la qualità di vita dei bambini che traggono beneficio dalla terapia e delle loro famiglie.

Quali rimedi ha a disposizione il pediatra, utilizzabili singolarmente o in combinazione?

  • desmopressina: analogo sintetico della vasopressina, prima scelta terapeutica nei bambini con enuresi monosintomatica e poliuria notturna.
  • allarme acustico: consiste in un apparecchio in grado di emettere un segnale acustico quando il bambino bagna il letto, le mutandine o il pigiama. Il principio si basa sulla creazione di un riflesso condizionato che, inizialmente, determina un risveglio del bambino alla comparsa delle prime gocce di urina e, nel tempo, porta ad una soppressione delle contrazioni detrusoriali che precedono l’atto della minzione;
  • anticolinergici: efficaci in bambini con enuresi non-monosintomatica. Questi farmaci agiscono riducendo le contrazioni vescicali non inibite, migliorando la compliance vescicale e bloccando i canali del calcio;
  • training vescicale: può essere finalizzato sia alla diminuzione del tono e della contrattilità della vescica, tramite minzioni frequenti ad orario prefissato e acquisizione della percezione di riempimento, che all’aumento del tono sfinteriale, tramite interruzione del mitto e ripresa dopo breve intervallo di tempo, trattenendo le urine quando compare lo stimolo e dilazionando la minzione il più a lungo possibile.

Cosa fare…

  • Condividere la propria esperienza: se un genitore ha sofferto in prima persona di enuresi è giusto che ne parli con il proprio bambino che constaterà così l’esempio vivente che il problema è risolvibile.
  • Dire al bambino che non è solo, dargli supporto e rassicurarlo: spiegare che bagnare il letto è comune tra i bimbi ed è una condizione che si risolve e non succederà per sempre.
  • Coinvolgere il bambino in ogni decisione: cercare di capire insieme quale sia il momento e il modo migliore per affrontare il problema.
  • Far compilare al bambino un calendario delle notti asciutte e bagnate (“soli” vs “nuvolette“) per responsabilizzarlo. Può essere utile soprattutto durante il trattamento.
  • Educare il bambino a bere in risposta allo stimolo. Educarlo a non esagerare con l’assunzione di liquidi, soprattutto di sera.
  • Scegliere acque minerali a basso contenuto di calcio.
  • Risolvere la stipsi, quando presente.
  • Training vescicale.
  • Abituare il bambino a fare minzioni corrette, svuotando tutta la vescica.
  • Occhio al cibo: evitare bevande gasate o contenenti caffeina. Evitare cibi ricchi di calcio o troppo salati soprattutto a cena.
  • Far diventare un’abitudine l’andare ad urinare prima di andare a dormire.
  • Coinvolgere il bambino nella pulizia quando bagna il letto, allo scopo di responsabilizzarlo, sottolineando che non si tratta di una punizione.
  • Attenzione all’igiene del sonno: assicurarsi che il bambino riposi per il tempo necessario (un cervello stanco non si sveglierà con lo stimolo a urinare) e che non solo la quantità, ma anche la qualità del suo sonno sia garantita e rispettata.
  • Non esitare a consultare il proprio pediatra quando se ne sente la necessità e per avere risposte e chiarimenti a dubbi e perplessità.

Cosa non fare…

  • Agitarsi: non perdere la calma. Ricordare che la situazione tende a correggersi anche spontaneamente e non è associata ad alcuna patologia.
  • Rimproverare il bambino e colpevolizzarlo: sgridare il bambino e farlo sentire in colpa non lo aiuterà a non bagnare più il letto.
  • Punire il bambino: le punizioni aggravano solo la situazione, facendo leva sui sensi di colpa, la vergogna e l’imbarazzo già provati il bambino. Non dimenticare che non è colpa sua e che la volontà del bambino non
  • ha alcun potere sul suo disturbo.
  • Prendere in giro il bambino con fratelli, parenti o amici.
  • Parlare con leggerezza del problema con estranei, imbarazzando il bambino.
  • Non cogliere richieste di aiuto: se si ha il sospetto che il bambino possa essere vittima di episodi di violenza o bullismo, indagare, chiedere, ascoltare ciò che cerca di comunicare.
  • Impedirgli di dormire fuori casa: non limitare il bambino ma ricordare e ripetere con lui le regole che segue a casa per non bagnare il letto, incoraggiarlo, fornire un cambio extra di mutandine e pigiami e avvertire
  • gli adulti che saranno con lui.
  • Svegliare il bambino: non solo non serve, ma appare come una punizione che può avere ricadute sulla qualità del sonno e anche dal punto di vista psicologico, rendendo solo il bambino più irritabile e stanco.
  • Il pannolino: è vero che è “comodo”, ma non aiuta a risolvere il problema. Anzi incoraggia il bambino a rifugiarsi in comportamenti infantili. Per motivare il bambino è utile non utilizzare il pannolino.


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