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L'epoca delle passioni tristi

Da Vale
Sono sicura, cara Homemademamma, che non disdegnerai l'idea di unire la tua meravigliosa rubrica del Venerdì del Libro alla Giornata della Memoria.
E' stato casuale questo incontro, ma illuminante. Il libro è questo:
L'EPOCA DELLE PASSIONI TRISTI di M. Benasayag G. Schmit - Feltrinelli -
L'EPOCA DELLE PASSIONI TRISTI
I due autori sono due psicanalisti, uno dei quali è anche un filosofo, che lavorano nel campo dell'infanzia e dell'adolescenza. Partono il loro trattato chiedendosi come mai si trovano ad avere sempre più richieste di aiuto da parte delle famiglie o degli insegnanti.  La loro risposta arriva nelle prime pagine, dove dicono che le crisi di cui si occupano avvengono in una società essa stessa in crisi. Ci siamo resi conto...
del venir meno cioè di quella credenza che stava a fondamento delle nostre società e che si manifestava nella speranza in un futuro migliore e inalterabile: una sorta di 'messianismo scietifico' che assicurava un domani luminoso e felice, come una Terra promessa.
E continuano spiegando il titolo del libro:
Per dirla in termini più chiari, viviamo in un'epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le "passioni tristi". Con questa espressione il filosofo non si riferiva alla tristezza del pianto, ma all'impotenza e alla disgregazione.
Ed eccoci qua.
Il genocidio "razionale" degli ebrei è esemplare perché quell'orrore...
... ha visto morire la sua (dell'Occidente) speranza fondamentale: quella di sradicare la barbarie nel mondo grazie allo sviluppo della ragione, dell'intelligenza e della cultura.
In sostanza loro dicono che paradossalmente i bambini e i ragazzi arrabbiati, che sfidano il mondo adulto, che sentono addosso il peso di esistere, sono più calati nella realtà della crisi dei genitori e degli insegnanti che cercano di spronarli verso un futuro che non esiste più (nell'immaginario della nostra società).
Ma questa impasse porta con é delle conseguenze pesanti: la crisi dell'autorità (la relazione con l'adulto percepita come 'simmetrica') e quindi dell'anteriorià (l'anzianità come fonte di autorità). E l'adolescenza prolungata: come fa un ragazzino ad uscirne quando la sua crisi personale corrisponde ad una crisi della società?
Proseguono osservando il problema dell'apprendimento.
... i problemi di apprendimento sono rivelatori di una difficoltà di desiderare nella vita, di desiderare la vita (...) Così nella pratica quotidiana dell'educazione, si passa dall' "invito al desiderio" a una variante più o meno dura di quello che potremmo chiamare "apprendimento sotto minaccia".
L'utilitarismo dell'educazione. Ecco il problema dicono. Non posso fare "sprecare" del tempo a mio figlio, non si deve concedere il "lusso" di imparare cose che non servono, tutti gli sforzi devono tendere all'eccellenza, "sola garanzia di sopravvivenza in questo mondo pieno di pericoli e di insicurezza, caratterizzato dalla lotta economica di tutti contro tutti". Per questo la scelta di chi fa il giardiniere non è vista come un orientamento dettato dal desiderio, ma come un fallimento scolastico.
Continuerei a descrivervi le teorie di questo libro illuminante, delle soluzioni messe in atto anche in campo clinico, della loro idea di legame e molteplicità... ma è tutto troppo vasto e ho già scritto troppo.
Concedetemi solo un'ultima citazione:
"... più sviluppiamo la serialità e l'individualismo, più rendiamo pericoloso il mondo e lasciamo che l'emergenza, il non-pensiero e la tristezza governino la nostra vita. (...) il filosofo cinese Tchouang Tse spiegava che "tutti conoscono l'utilità dell'utile, ma pochi quella dell'inutile". L'utilità dell'inutile è l'utilità della vita, della creazione, dell'amore, del desiderio..."
Me lo ripeto ogni mattina, da quando non lavoro più e ho a che fare con la mia solitudine e la mia inattività lavorativa. Ogni giorno. Ogni giorno.


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