Magazine Diario personale

L’errore più grande della mia vita: non aver capito prima Bridget Jones.

Creato il 22 maggio 2015 da Denise D'Angelilli @dueditanelcuore

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Quando ho visto per la prima volta Bridget Jones l’ho odiata tantissimo, avevo proprio quella voglia di prenderla a sberle e di strapparle tutti i capelli biondi che di solito mi assale quando vedo una con un bel culo. Mi succede sempre quando mi trovo davanti a quelle che dovrebbero essere delle anti-eroine, e quindi rappresentarmi, e invece hanno tutto quello che vogliono. Non funziona così, la sfigata tipo vorrebbe davvero che la sua vita fosse tutta rose e fiori, che dimagrire 10 chili in 5 giorni fosse facile quanto trovare Matteo Salvini in un qualunque talk show televisivo, che le centrifughe detox avessero il sapore del magnum caramel and nuts, che trovare l’uomo ideale fosse facile quanto farsi dire “sei bellissima” da un kebabbaro. Solo che poi guarda l’altra metà del letto matrimoniale e ci trova solo fazzoletti smocciolati, patatine fritte di tre giorni prima, il computer fisso sullo streaming di qualche commedia romantica del cazzo e una bottiglia di vodka finita. E la vaschetta di gelato completamente ripulita sotto il letto. Questa stronza qui, invece, si spacciava per super sfigata combinaguai e poi aveva una vita sentimentale e sessuale fin troppo occupata, roba che invece per me il massimo era prendere il cuscino, immaginare che fosse la faccia di Brandon Flowers e ficcarci la testa dentro ravanando la federa con la lingua. Una tristezza infinita, una sfigatissima forma di autoerotismo.

Andando avanti col tempo ho iniziato ad avere paura di lei: mi capitava davanti in ogni forma, così ho approfondito la sua conoscenza, e quella dei maglioni natalizi con le renne. In fondo – tranne che per quel particolare dei due uomini ai suoi piedi mentre io al massimo avevo i bacarozzi – era così uguale a me, quando mi guardavo nello specchio vedevo la sua faccia invece della mia, con le sue figure di merda che mi facevano venire voglia di spararmi da un cannone su Uranio per lei, la ciccia sballonzolante che aveva paura di mostrare al suo uomo la mattina, la voglia di essere meglio di come si è e le sedute di spinning lunghe cinque ore e la successiva resa, gli amici fuori di testa, i sogni di gloria, l’indipendenza che fa schifo quanto l’aloe vera. Questa consapevolezza di essere un qualcosa che non mi portava da nessuna parte l’ho fatta mia quando ero in Inghilterra: ho cambiato quasi completamente il mio modo di fare, me ne vantavo alla grande, anche il riuscire a mandare un messaggio era motivo di grandi auto-pacche sulle spalle. Non sono più Bridget Jones bitches, gridavo a me stessa. Ho soprannominato molto scioccamente questa fase Post Bridgetjonismo, come se essere Bridget Jones fosse un qualcosa da doversi lasciare alle spalle. Solo che io ero ancora single, lei aveva ancora Marc Darcy, e allora lì mi si è accesa la lampadina del nun c’hai capito ‘n cazzo. Ecco, abbiamo sempre guardato solo gli aspetti negativi della questione, senza mai concentrarci un attimo sul fatto che non possiamo pensare di metterci sul livello di Bridget Jones, di auto-paragonarci a lei o di far sì che gli altri ci chiamino così, se lei scopa e noi no. Perché è questa la triste verità amiche mie, noi la prendiamo in giro, ma stiamo molto peggio di lei, e lei sta molto meglio di noi. O almeno di me. Il concetto è molto semplice: non possiamo andare contro la natura, se nasciamo tonde non possiamo morire quadrate, ma ci sono una sfilza di espedienti che Bridget Jones è riuscita a trovare e noi, palesemente, no. C’è una grande voglia di rendere la propria condizione di anti-eroina vivibile, di arredare il disagio esistenziale con dei mobili che siano costosi e non ikea, di sfruttare i propri difetti e trasformarli in pregi. Tipo, ho i fianchi larghi, e quindi? C’è molto di più di toccare, sono morbida come un cucciolo di labrador, puoi fare il motoscafo in mezzo alle mie tette, puoi ridere fino a pisciarti addosso se racconto di quella volta che sono caduta davanti all’autobus pieno di persone il giorno del mio compleanno. Posso trasformare quello che mi rende un caso umano da competizione in un mucchio di minchiate sexy, devo solo capire come. Bridget jones ci è riuscita.

Io sono nata come Bridget Jones, non ci posso fare molto, sono sempre quella più simpatica che figa, dico un sacco di parolacce, faccio battute inopportune, parlo di peni come parlo di Tolstoj. Non sono l’unica, noi siamo quelle donne che forse non sono tanto donne ma menomale che non siamo tutte uguali. Ed è per questo che Bridget Jones improvvisamente non è più un esempio negativo ma molto molto positivo:

– è coraggiosa: voi avreste urlato davanti a tutti “NO!” appena appresa la notizia che l’uomo dei vostri sogni sta per partire con una shampista qualunque? Avreste detto in faccia a quel tipo “mi piaci”? Sareste uscite di nuovo di casa dopo aver mostrato il culo in mondovisione?

– È una lottatrice: quando pensa che il suo uomo sia scappato a causa del suo diario segreto (i feel you Bridget) esce in mutande e cappotto e va a cercarlo sulla neve.

–  È sensuale a modo suo: va alla festa vestita da coniglietta di playboy e resta lì nonostante gli altri siano vestiti normalmente e riesce pure a farsi toccare il culo da qualcuno.

– È fica senza nemmeno saperlo: se una di voi è riuscita a far fare a cazzotti due come Colin Firth e Hugh Grant allora se ne vada subito via da questo blog, perché io al massimo sono arrivata al cretino che rosicava perché uscivo con l’amico deficiente e il massimo che faceva era scrivermi messaggi da ragazzino di prima media facendomela scendere. Fine.

– Non è timida: quando Hugh Grant inizia a mandargli le mail zozze lei gli risponde a tono, va a lavoro in minigonna giro culo e canotte trasparenti e lo guarda con la faccia da “se solo il tuo ufficio non avesse le pareti di vetro verrei lì e ti sbatterei sulla scrivania iniziando a fare con te quello che farei se avessi davanti della pasta fresca da trasformare in fettuccine”. Riesce a far sì che il suo uomo sogni lei, voglia lei, pure con le mutandone da nonna.

– Riesce, a modo suo, a trovare la felicità: cambia lavoro, si mette in gioco, rischia, trova l’amore. Lo so da sola che è solo una storia, vecchi cinici che dovete sempre farmi scendere dalle mie nuvole color rosa confetto, però allora io vi chiedo: perché quando dobbiamo usarla come esempio negativo la citiamo come se fosse una persona in carne e ossa e se invece ci accorgiamo che vorremmo essere come lei allora lei non esiste? Perché non posso stare qui a immaginare di poter usare le sue strategie – che a lei escono naturali – per trovare quello che ha trovato lei? Perché dobbiamo essere tutte uguali, con gli stessi atteggiamenti? Quando qui anche chiedere di andare a prendere una birra è uno scoglio insormontabile, quando quel periodo di non -devo-avere-paura-di-niente è durato solo una manciata di mesi, quando fare la sgargiulla da dietro lo schermo del telefono è semplice ma poi dal vivo guai a provare a guardare la persona che si ha davanti negli occhi, perché l’attesa del principe Azzurro che a questo punto potrebbe essere di qualsiasi altro colore è diventata pesante come una tetta di Kate Upton.

Io non sono Bridget Jones ma cazzo se vorrei esserlo. Se fossi come lei probabilmente avrei meno paranoie, avrei chi voglio avere al mio fianco, guarderei me stessa con occhi diversi. Se mai dovessero chiamarmi ancora Bridget Jones, adesso, sarei finalmente felice. Perché io non voglio vivere nel post Bridgetjonismo, il post Bridgetjonismo non esiste e non deve esistere, io voglio il Bridgetjonismo pieno e assoluto, io voglio continuare a essere quella che sono fino a quando non troverò qualcuno che mi dica queste stesse identiche parole. Smussando gli angoli di me stessa ma non cambiando completamente. Sono goffa, lo so, ma se mi vesto da coniglietta di playboy sono una fica da paura. Io ci credo. Aiutami tu, Bridget.

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