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L’esecuzione sommaria dell’Esitazione: il Carnevale di Venezia

Creato il 21 febbraio 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

“Sapevo che il bene e il male sono una questione d’abitudine, che il temporaneo si prolunga, che le cose esterne penetrano all’interno, e che la maschera, a lungo andare, diventa il volto.”

(M. Yourcenar)

 

Perché questo è il Carnevale di Venezia.

E niente di ciò che appare potrebbe essere più ingannevole.

E niente di ciò che sperimenterete potrebbe essere più autentico.

Il Carnevale di Venezia è un paradosso. E’ un mondo intrappolato in un mondo. Ed è un mondo che intrappola il mondo. Che fa inchinare le abitudini, lacrimare le consuetudini, che ingoia la routine del quotidiano. E’ una risata dissonante di cui non si comprende la provenienza e che, pure, continua a risuonare nelle tempie.

Venezia è un modo di fuggire da casa. E un modo di tornare. Là dove ogni notte cadiamo. Là dove finiamo quando si capovolge il pensiero. E tutto diviene rovesciamento di se stesso. Là dove possiamo essere divinità. Cortigiane. Re. O saltimbanchi.

Il Carnevale di Venezia è un luogo terribilmente familiare. E’ la voce di qualcuno di cui non si saprebbe pronunciare il nome. Di qualcuno che, nondimeno, senza una precisa spiegazione da poter fornire, ci conosce più di quanto vorremmo.

E’ un tintinnio di campanelli in mezzo al buio del razionale. E’ un “nessun dove” che ci appartiene e che ci possiede. Che può restare sopito e che, nondimeno, prima o poi pretenderà di essere guardato. Di essere ammirato. In tutta la sua Magnificenza.

Il Carnevale di Venezia è una domanda che vi viene rivolta. “Quale maschera sei?”. Il narcisista Sole? La silente Stella? Il potente Doge? La mutevole Luna?

Non troverete limiti. Non incontrerete bocche colme disappunto, occhi che vi guarderanno basiti. Non sarà un’ espressione facciale ad accogliervi, perché quelle hanno a che fare con il giudizio. E nella festa dei folli non c’è corte a sentenziare, né imputato a discolparsi. Se sarete qui, state tranquilli. Già sarà supposto in voi il dolo. L’intenzione. La volontà. E non vi sarà chiesto di recitare in ginocchio un mea culpa, cospargendovi il capo di ceneri. Perché qui siamo tutti colpevoli. Qui siamo tutti ospiti alla Corte del Sogno. Celebranti e celebrati.

Il Carnevale di Venezia è il richiamo febbrile di vino rosso che versa una fontana in piazza San Marco. E’ il profumo di cipria e piacere di insinuanti dame settecentesche. E’ la seduzione di una cena in penombra, tra candele bordeaux che si consumano implacabilmente, assieme al vostro desiderio. E’ il liquefarsi di ogni grossolana convenzione.E’ un regno in cui Bene e Male non sono ammessi a recitare i loro tradizionali nomi.

E’ l’esecuzione sommaria e sanguinaria di ogni esitazione.

Il Carnevale di Venezia è un bacio impresso sulle labbra gelide di una maschera sconosciuta.

E’ una mano avvolta in guanti neri che vi invita ad addentrarvi dentro il cuore di ogni vostra più recondita pulsione. E’ un “no” che non saprete opporre. E’ un amore che non potrà mai pienamente compiersi e che, pure, saprà piegarvi al suo raffinato giogo.

E’ la luce di un lampione che, per un solo istante, manifesterà decine di sagome bizzarre avvolte in cappe scure che vi scorteranno tra canali d’acqua e perdizione. Là dove smarrirete il vostro nome e cognome. E sarete tanto più fedeli a voi stessi.

E’ la gigantesca Ruota della Sorte che vi attende. Ve la sentite di giocare col Destino?

E, alla fine, il Carnevale di Venezia somiglierà a un dubbio. A un quesito che vi offuscherà ogni altra idea. Mentre vi domanderanno se avete scattato molte foto e se il tempo era bello, voi non potrete far altro che annuire distrattamente. Sbrigativamente. Sentirete aumentare le pulsazioni. Proverete a schiarirvi la voce. E avvertirete dentro di voi un grumoso senso di colpa. Per un peccato di cui prima non conoscevate i contorni, né la profondità.

Per un Peccato che un Giullare vi avrà insegnato a sillabare.

E che la Maschera che giace dentro di voi avrà commesso. Assassini del Reale.

Mentre qualcuno starà ancora parlando di Sanremo o di cosa vuole per cena, sarete costretti a fare i conti con le vostre consuete identità. Vi guarderete attorno, confusi. Spaesati. Che sia su un treno o dentro un autogrill. E, se ve ne saranno, riconoscerete perfettamente i vostri correi. Sarà un istinto naturale a guidarvi.

E là ammetterete di essere tutti in concorso di colpa. E cercherete un’assoluzione che non giungerà mai. Art. “000” del codice di Buonsenso. “Dei delitti contro la Banalità”. Il Carnevale di Venezia.

[Listenin' to: E Nomine- "Das Rad des Schiskals"]


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