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L’etimologia della parola arte

Creato il 23 maggio 2010 da Elton77

Il testo che viene proposto risale alla seconda metà dell’800; contiene termini, strutture verbali, costruzioni del periodo molto arcaici, se li confrontiamo col modo di scrivere e parlare del XXI secolo. Per renderlo più comprensibile ai lettori moderni è stato fatto un lavoro quasi di traduzione, sperando che tuttavia lo spirito originario dell’opera sia rimasto inalterato.

Per fissare un’epoca approssimativa dell’origine della lingua pelasga o albanese nella vasta regione caucasica in Asia, secondo il nostro avviso, ogni congettura diventa quasi impossibile e la mente umana, che vi si volesse applicare, si perderebbe nei vortici del tempo: possiamo al contrario poi francamente affermare che in Europa detta lingua suonò in tempi molto anteriori all’invasione dei Fenici, e moltissimo prima della lingua greca, alla quale prestò i radicali, i caratteri e i suoni dei caratteri, ragione per la quale divenne ricchissima ed estesa. La lingua pelasgo-albanese venne detta barbara perché, secondo i Cadmei, tutto ciò che non era greco era barbaro; e barbari furono tenuti i poveri pelasgo-albanesi; anzi, in conformità di ciò, troviamo opportuno riportare qui appresso quel che Platone riferisce nel Cratilo con le seguenti testuali parole, tradotte in idioma italiano:

Se tu non trovi la derivazione dei greci nomi nell’idioma dei greci medesimi, cercala in quello dei barbari (cioè pelasgo-albanesi), dai quali assai vocaboli i Greci han preso.

Barbari quindi e bilingui vengono anche oggi giorno dagl’Italiani detti tutti gli Albanesi generalmente stanziati nelle meridionali provincie, e spesso poi denominati Greci.

Ammessa una volta per tutte l’esistenza di un popolo cosi antico, la lingua da esso parlata non può essere che primitiva. Una lingua primitiva non può essere che rozza, aspra, piena di consonanti, ed in gran parte abbondante di vocaboli monosillabici. Tale è la lingua pelasgo-albanese, come si potrà riscontrare dalle seguenti parole: Ferr (spina, roveto), Gardh (siepe), Pret (taglia), Thik (coltello), Lop (vacca), Shtjerr (agnello), Zërk (nuca, collo), Diell (sole), Lum (fiume), che ha molta analogia con flumen dei latini e fiume degl’Italiani. Burr (uomo), donde l’italiano burro, che è il fiore, il grasso del latte, e il vocabolo latino Vir. Bir (figlio), At (padre), Ëma (madre), Motër (sorella), Plot (pieno). Noi potremmo qui riportare migliaia di vocaboli di natura simile, ma ci fermiamo per non annoiare troppo i nostri lettori.

Una nazione si dice viva, nel fiore della vita, allorché possiede una letteratura propria. Quindi vive la nazione tedesca perché vive la letteratura tedesca: vive la francese, vive l’italiana perché l’una e l’altra posseggono la loro letteratura. Al contrario si definisce morta quella nazione che non possiede o manca della propria letteratura. In vero, l’idioma degli Albanesi attuali dell’Asia, della Grecia, della Turchia e dell’Italia, unico avanzo del più antico popolo del globo, esistendo soltanto in forma orale, non ha consentito che ci pervenissero documenti scritti; quindi non avendo quel popolo la propria letteratura, la sua lingua sta per finire. Tra gli Albanesi d’Italia in varie epoche emersero gagliardi e robusti ingegni. Scrissero nella propria lingua belle poesie, bellissimi canti, scrissero topografie, monografie, composero persino epopee, tradussero la Bibbia; ma i loro scritti ebbero la vita di quel fiore che all’alba rallegra chiunque s’avvicina col suo profumo fino a mezzogiorno; poi, appassito perché poco curato, alla sera, chinato sul suo stelo inaridito, finisce per essere da tutti disprezzato.

Gli Albanesi, se potessero nella loro totalità unirsi in un Regno, certamente formerebbero una seria e formidabile nazione; ma, sventuratamente, sparpagliati e disseminati in diversi punti della terra e, quel che è peggio, in disaccordo tra loro, non possono formare una Nazione, quindi non possono avere una propria letteratura.

La lingua albanese non è altro che la lingua dei cosiddetti Pelasgi. Essa è antichissima, è primitiva, è autonoma, non deriva da altra lingua.

Assodato dunque quanto riportato precedentemente, è per noi abbastanza agevole, con la guida di questa antichissima lingua, poter trovare l’etimologia della parola Arte, avvolta nell’oscurità del tempo. L’etimologia, per esser vera, bella e dilettevole, non deve poggiare sopra induzioni fantastiche, sopra arzigogoli; non deve crearsi, come si è soliti fare, per sottrazione di sillabe, o sostituzione di lettere; né inventarsi per esistenti o immaginari dialetti: invece l’etimologia deve poggiare sopra verità, deve essere spontanea, e contenere in sé tutto il senso, la filosofia del vocabolo primitivo da cui si vuol dedurre la natura ed origine della parola derivante.

Il vocabolo Arte, nell’idioma albanese, è un sostantivo, per cui gli Albanesi, per indicare “che cosa sai fare?”, “che prodotti, che produzioni sai fare?”, dicono: Cië Art di e bën ti?-Ç’farë Arti di dhe bën ti?, Cië Art ësct ckiò?- Ç’farë Arti është kjo? (che produzione è questa?). Deriva dunque dalla radice del verbo Ardhur che significa produrre, nascere, pervenire. Dalla coniugazione di questo verbo nei suoi modi, tempi, numeri e persone abbiamo Erdh che significa è prodotto, è nato, è pervenuto. Onde gli albanesi per dire: “è pervenuto, è nato il sole” dicono: Erdh Dieli o Dielli. Art è il presente dell’imperativo, pervenga, produca, nasca; onde Art tij e mira (nasca, avvenga, si produca a te il bene). Art tij e liga (avvenga, si produca a te il male). Chi non vede in tale etimologia l’armonia, la filosofia e l’analogia della parola ARTE col vocabolo primitivo della lingua albanese?

Tratto dal libro Studi filologici svolti con la lingua pelasgo-albanese del professore Stanislao Marchianò


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