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L’Europa secondo Tony Blair: deve svegliarsi per cambiare, 2014

Creato il 03 giugno 2014 da Paolo Ferrario @PFerrario

 

PERCHÉ la Gran Bretagna vinca la battaglia per il suo futuro in Europa è decisivo che si vinca la battaglia per il futuro dell’Europa stessa. A questo fine bisogna che il dibattito in Gran Bretagna vada oltre il rimpatrio di alcune regole e competenze e si elevi allargandosi a livello europeo generale, così che la Gran Bretagna assuma un ruolo di primo piano nella riforma dell’Europa, non limitandosi a negoziare i termini della propria adesione all’Unione.

Il dibattito deve riguardare ciò che è bene per l’Europa oltre a ciò che è bene per la Gran Bretagna. Il risultato elettorale conta. È un campanello d’allarme per l’Europa e per la Gran Bretagna. Sia in Europa che in Gran Bretagna dobbiamo reagire ponendoci in testa, non restando in coda. Dare un’interpretazione dei risultati elettorali è sempre rischioso, soprattutto quando l’affluenza alle urne non è alta. La gente vota alle europee per i più svariati motivi. I risultati non sono stati omogenei. Il più spettacolare, a dire il vero, si è registrato in Italia, dove un primo ministro schierato per le riforme e per l’Europa ha ottenuto il 40% dei consensi.

La cancelliera Merkel ha vinto in Germania dove anche l’Spd ha registrato forti consensi. Ma la vittoria dell’Ukip nel Regno Unito e del Fronte Nazionale in Francia e l’elezione in tutto il continente di partiti dal programma esplicitamente “anti status quo in Europa” hanno un peso.
NON è possibile ignorarla. È indice di profonda ansia, sfiducia e distacco dalle istituzioni e dalla filosofia che sta al cuore dell’Europa.
Inoltre persino tra i filoeuropei è diffusa la netta sensazione che sia giunto il momento per l’Europa di riflettere sulla direzione da prendere da qui in avanti, su come ristabilire il contatto con le istanze dei propri cittadini e su come cambiare per poter realizzare in maniera migliore i propri ideali
in un mondo che cambia.
Quindi sostenere, come fanno certi politici europei, che nonostante i risultati ottenuti dall’estrema destra esiste tuttora una maggioranza per i filoeuropeisti corrisponde a verità, ma vuol dire adagiarsi sugli allori ed è quindi pericoloso.

Persino i più accesi sostenitori dell’Europa reputano necessario il cambiamento. Qualunque sia l’interpretazione giusta del voto della scorsa settimana, certo non è stato un voto a favore dello status quo.
La vasta ambizione del progetto della moneta unica con gli intrinsechi difetti di realizzazione, le pene della crisi finanziaria e dei suoi postumi, e il legame tra i due elementi nella crisi del debito sovrano; l’allargamento dell’Europa da 15 a 28 nazioni nell’arco di un decennio; e semplicemente la portata, le dimensioni e la rapidità del cambiamento nell’era moderna sotto il profilo tecnologico, commerciale e geopolitico: tutti questi fattori assieme hanno creato un ben più ampio insieme di sfide per l’Europa aumentando enormemente il livello di incertezza e imprevedibilità nell’affrontarle. All’interno dell’eurozona l’Europa improvvisamente è passata dall’avere semplicemente un ruolo importante a determinare apertamente il futuro delle politiche e dei programmi di spesa dei Paesi membri. Per questi ultimi adeguarsi alla realtà mutata e praticare forti tagli della spesa pubblica senza la flessibilità di adeguare anche il tasso di cambio è stato molto doloroso, e sotto molti aspetti le proteste sono state sorpendentemente ridotte. Ma anche i Paesi al di fuori dell’Eurozona hanno subito il forte impatto dell’evoluzione all’interno di essa. Le istituzioni europee sono diventate più visibili venendo poste al contempo maggiormente sotto assedio.
Se poi aggiungiamo la sensazione ormai datata e non limitata alla Gran Bretagna che l’Europa fa troppo di ciò che non dovrebbe e troppo poco di ciò che dovrebbe, abbiamo il perfetto confluire di insoddisfazione che sembra caratterizzare l’Europa di oggi.
Ma se facciamo un passo indietro e guardiamo l’Europa da un’ampia prospettiva storica ci appaiono chiari sia i risultati raggiunti che gli obiettivi assolutamente necessari al nostro futuro. Da un continente in guerra si è passati ad un continente in pace. Nazioni che non conoscevano quasi la prosperità la hanno ottenuta.

Nel tempo i Paesi schiacciati dall’Unione Sovietica ne sono emersi, si sono riformati e l’Europa dell’Est e dell’Ovest si sono riunificate. Oggi l’Ue è l’unione politica e il mercato più grande del
mondo.
Tutto questo non è stato facile. Nulla si è realizzato senza una leadership dal coraggio e dalla visione eccezionali.
Quanto al futuro, in un mondo in cui non solo l’America ma la Cina e senza dubbio ben presto l’India hanno un ruolo dominante, per non parlare di Russia, Brasile, Turchia, Indonesia, Filippine, Vietnam e, col tempo, le grandi nazioni africane e in cui il Pil e la popolazione saranno sempre più correlati, non c’è dubbio che l’Europa abbia sempre più forti ragioni di esistere. Assieme le nazioni europee possono esercitare effettiva influenza, avere peso. Singolarmente, nel tempo perderanno importanza relativa. L’ordine mondiale del ventunesimo secolo sarà drasticamente diverso da quello del secolo precedente. La ragione di esistere dell’Europa oggi non è la pace, ma il potere.
Nel lungo periodo dovrà realizzarsi una riforma radicale delle istituzioni europee. L’equilibrio tra stati nazione e Ue dovrà essere rivisto, le istituzioni dovranno essere riformate per avvicinarsi ai cittadini che governano e rispondere loro del proprio operato. Tutto questo significherà una maggiore unione, che potrebbe non essere espressa esattamente nei termini odierni. La sfida immediata è fare il possibile apportando minimi cambiamenti al Trattato e massimi cambiamenti nel contesto esistente delle istituzioni e dei trattati europei. All’interno dell’Eurozona significa un accordo ancora più esplicito che veda in cambio del proseguimento di profonde riforme strutturali nei Paesi membri una maggiore flessibilità fiscale e un’azione monetaria più incisiva per consentire una più forte crescita ed evitare la deflazione. Decisiva sarà a questo proposito la posizione della Germania da un lato e dell’Italia e della Francia dall’altro. La riforma è in corso. Come sanno i leader dei due Paesi, tale riforma va accelerata e approfondita. Non esiste altra via per la competitività a lungo
Dal discorso che l’exprimo ministro ha tenuto ieri alla Cbi, la Confindustria britannica. (Traduzione di Emilia Benghi)

Martedì 3 Giugno 2014

da

L’Europa secondo Blair: deve svegliarsi per cambiare | Rassegna Stampa di VeneziePost.


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