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L'ideologia di Stato russa da Uvarov a Putin

Creato il 28 settembre 2012 da Matteo
"Se c'è un "comitato regionale di Washington", ci dev'essere anche un CC"
27.09.2012
Viviamo in uno stato ideocratico. L'offesa ai sentimenti dei credenti, elevata a legge penale, è il diretto sostituto ed erede dell'"agitazione e propaganda antisovietica", che tanto dolorosamente – secondo l'idea del potere – feriva la gente sovietica. L'ideologia di Stato si è finalmente fusa con l'ortodossia ufficiosa. Poiché l'ideologia esige nuove idee, sia pure artificiali, ma non ce ne sono, come non c'è neanche un nuovo marxismo-leninismo, tocca ricorrere a idee vecchie – religiose e rituali. E dove c'è l'ortodossia, là ci sono anche l'autocrazia e il carattere nazional-popolare. La triade uvaroviana, anche se formulata in francese, già passa da qualche parte alla categoria di detto popolare russo…

L'ideologia di proibizioni, trasformata nelle norme delle leggi, completa il contorno del nuovo potere, il potere del terzo mandato di Putin. Il paese si isola – per l'ennesima volta nella sua storia – dalla modernità e dall'Occidente e si immerge nell'arcaismo. Che parrebbe buffo, se non fosse così terribile. Così giungeremo allo stato della prima metà del XVIII secolo, quando i professori di filosofia erano obbligati a presentare alla cancelleria dell'Accademia gli appunti delle loro lezioni perché venisse giudicato se "non deviassero dall'insegnamento della fede ortodossa e non mettessero in dubbio la gloriosa condizione dello stato".

Il guaio è che questo stato è sterile e improduttivo. In economia è un paese non attraente per gli investimenti, con fuga di capitali. Nell'istruzione e nella scienza non è attraente dal punto di vista delle idee. Più stretto si fa il cappio dell'ideologia di Stato, meno chances ci sono che vengano a insegnare e ad occuparsi di ricerche le migliori menti e che dal paese cominci una fuga non semplicemente di cervelli, ma una fuga di bambini – di quelli per cui, sostanzialmente, si costruiscono i sistemi statali, politici, economici e sociali.

Per capire meglio la natura di questa ideologia già formata tanto ostile al libero pensiero e allo stile di pensiero e di vita moderno, abbiamo intrapreso una conversazione con uno dei più profondi studiosi della storia dei processi ideologici in Russia – lo storico Andrej Zorin. Il quale, essendo professore a Oxford e passando per la docenza e la ricerca a Harvard, Stanford e altre università, non perde le speranze di far assimilare la cultura scientifica internazionale da se in patria, lavorando in qualità di direttore accademico dei programmi di una serie di facoltà dell'Accademia Russa di Economia Nazionale e Servizio Statale (RANCh i GS [1]). Per ironia delle attuali circostanze russe è una struttura sotto l'egida del presidente della Federazione Russa… La Russia è il paese dei paradossi. Cosa che finora la salva pure.
Andrej Leonidovič, avrei voglia di parlare con Lei dei progetti ideologici russi, che si ripetono di secolo in secolo, confermando, a mio parere, l'"effetto binario". Ma iniziamo questa conversazione dall'articolo dello storico Andrej Zubov, pubblicato sulla "Novaja gazeta", sul conte Sergej Uvarov [1] (n. 97 del 29 agosto e n. 100 del 5 settembre 2012) e la sua triade "ortodossia-autocrazia-carattere nazional-popolare". Nei nostri articoli è presentato come una figura progressiva. E' d'accordo con questo approccio?

– Il problema non è l'apologia di Uvarov. Perché non si dovrebbe farla? Il problema è nel tentativo di presentarlo come "cantore della libertà", anche se nascondente il proprio amore per il libero pensiero a Nicola I. E questo tentativo sembra, a mio parere, disperato e porta l'autore a delle forzature. Per esempio, l'affermazione del professor Zubov che fosse un'inaudita libertà porre l'ortodossia davanti all'autocrazia nella triade non è fondata su nulla. Era l'ordine standard e l'unico possibile, che si rifletteva, in parte, nella formula "Per Dio, lo Zar e la Patria", che si scriveva sulle medaglie. Nicola I, ritenendosi l'unto di Dio, non avrebbe mai accolto un altro ordine dei membri della triade. Ancora più eccentrica, a mio parere, sembra l'affermazione che per autocrazia Uvarov intendesse l'indipendenza della persona. Sono costretto a credere all'autorità dell'autore nell'interpretazione del senso della parola greca "autocrate", ma né nel linguaggio politico russo, né in quello francese (Uvarov scrisse il proprio progetto ideologico in francese) questa parola ha tale sfumatura. "Samoderžavie" e "autocratie" – le parole che usa lo stesso Uvarov – significavano solo "autocrazia" nel senso di illimitato potere del monarca.
Uvarov era certamente una persona istruita, un amministratore competente. Sapeva ottenere dal tesoro i soldi per l'istruzione. Ma al contempo la sua politica era sempre limitante. Recentemente il giovane storico e filologo Michail Veližev ha studiato la corrispondenza dei dignitari ufficiali sul caso di Pëtr Čaadaev [3] e della pubblicazione della prima "Lettera filosofica" nel 1836. Così dichiarare Čaadaev pazzo fu la vittoria della linea moderata del capo dei gendarmi Aleksandr Benkendorf. Uvarov insisteva sul fatto che la pubblicazione della lettera fosse una manifestazione di una congiura ramificata, indirizzata contro la Russia e chiese un grande processo politico. Se questo punto di vista avesse prevalso, la Russia avrebbe avuto un prototipo dei processi staliniani degli anni '30. Ma l'imperatore sostenne Benkendorf, ritenendo che nell'anno dei festeggiamenti del decennale del regno di Nicola non bisognasse far scoppiare uno scandalo.
La rimozione di Uvarov nel 1848 fu legata al fatto che Nicola giunse a una decisione: nessuna istruzione in generale era necessaria. Il corso uvaroviano sullo sviluppo dell'istruzione sotto il controllo del governo risultava politicamente non consono alla nuova epoca e lo zar decise semplicemente che le università erano un danno, che non c'era da controllarle, bisognava chiuderle. Anche il concetto uvaroviano di carattere nazional-popolare, a mio parere, è interpretato molto arbitrariamente nell'articolo di Zubov.

"Con un potere forte in Russia ci sono sempre problemi"

Con il carattere nazional-popolare è difficile in generale, in quanto era indistinto lo stesso frammento nel memorandum uvaroviano…

– Non è che fosse indistinto… Circa 15 anni fa pubblicai il testo francese delle lettera di Uvarov all'imperatore, questo spiega molto. Il fatto è che "carattere nazional-popolare" era uno slogan radicale per quel tempo.
Contraddiceva l'autocrazia.

– Esattamente. Derivava dall'idea di sovranità popolare. Il gioco di prestigio fatto da Uvarov consisteva nel fatto che sottometteva il carattere nazional-popolare all'autocrazia. Peraltro Andrej Zubov scrive che Uvarov comprendeva la chiesa ortodossa come eredità greca e non come religione nazionale.
Il che non è confermato dall'originale francese.

– Nell'originale la parola "ortodossia" non è menzionata in generale, anche se le parole corrispondenti in lingua francese esistevano. Uvarov usa due espressioni per indicare ciò che poi in russo fu tradotto come "ortodossia", tra l'altro non da lui personalmente, ma dai suoi segretari. E usa due formule: "religion nationale" – "religione nazionale" e "église dominantе" – "chiesa dominante". Ecco cosa gli interessava nell'ortodossia. L'istituto storico della chiesa nazionale.
Se Uvarov trattava autocrazia e ortodossi come i due valori principali della storia russa, il carattere nazional-popolare consisteva nell'essere fedeli allo spirito dell'ortodossia e dell'autocrazia. Questa è un'interessante interpretazione del carattere nazional-popolare attraverso l'ideologia. Cioè l'uomo russo è chi ama il proprio monarca e la propria chiesa. Poi un simile uso determina la concezione di "uomo sovietico" e l'idea che chi non condivide l'ideologia sovietica sia un "rinnegato". All'epoca di Uvarov in questo senso si usava la parola "reietto" – rigettato dal corpo del popolo.
Beh, ecco uno dei segni dell'"effetto"… Ma tra l'altro nell'articolo di Andrej Zubov è mostrata una figura complessa, simile, mettiamo, a Vladislav Surkov [4], che capisce tutto, ma d'altra parte, per il "bene" dello Stato formula la matrice ideologica che rafforza il governo. Nel senso in cui il filosofo Gustav Špet scrisse dello stesso Uvarov che era sostenitore di un forte governo europeo.

– Non mi metterei a giudicare Surkov… Ma non penso che Uvarov fosse un'agente delle forze liberali nel campo del governo. L'esempio della lettera di Čaadaev è abbastanza chiaro. E non è un caso unico.
Uvarov era sostenitore di un potere forte? Lo era certo. Ma con il potere forte in Russia in generale ci sono problemi. In qualche modo non funzionava. Perciò periodicamente si facevano sforzi spasmodici di raffigurare una macchina statale funzionante.
Recentemente per l'appunto ho partecipato a un programma televisivo. Là si discuteva con tenerezza come Nicola I lavorasse senza fine. E intorno a lui si è creata un'aura petrina [5] di zar-uomo di fatica.
Uno schiavo sulle galere.

– Lavorava veramente molto, ma è dignitoso per un monarca di uno stato del genere lavorare? Non c'era una sciocchezza in cui non entrasse personalmente.
E' la matrice del controllo manuale… Ma ecco altre parole di Špet su Uvarov: "Il Don Chisciotte dell'antiquata intellighenzia governativa". Un Don Chisciotte?

– Uvarov fu parte dell'appello al governo degli ex membri dell'"Arzamas" [6], delle persone che circondavano Karamzin [7]. Ministro sotto Nicola era, diciamo, Dmitrij Daškov [8]. A dire il vero, Daškov diceva: "Uvarov che immeschinisce tutto". In questo periodo si odiavano già, anche se talvolta erano compagni. Sì, era il tipo del burocrate illuminato. Ma questo tipo si mantenne anche durante il regno di Alessandro II, cosicché l'intellighenzia goverantiva difficilmente divenne antiquata negli anni '30 del diciannovesimo secolo.
Špet ha ragione nel senso che proprio allora avviene lo strappo tra governo e intellighenzia. C'è un libro dello storico americano Nikolaj Rjazanovskij [9] sulla Russia del tempo di Nicola e molto precisamente si intitola "Parting of ways" – "Divisione delle strade". In questo tempo avviene questa fondamentale scissione. Ho un'ipotesi: in grado significativo ciò che si chiama "intellighenzia russa" uscì dall'ombra della triade uvaroviana, dalle sue pieghe. Qual è la logica qui? La dottrina ufficiale determina il carattere nazional-popolare, cioè l'appartenenza al corpo nazionale come fede nel proprio zar e nella propria chiesa. Sostanzialmente una persona che rifiuta questa interpretazione dice: non ci servono né la vostra chiesa, né il vostro zar, né il vostro carattere nazional-popolare, non apparteniamo al vostro corpo. Non si intraprende un tentativo di dare un altro senso alla storia o alla categoria di carattere nazional-popolare, di dichiarare i propri diritti su di esse, ma sorge un proprio gesto di rifiuto: "Sì-sì-sì, è tutto vostro, prendetelo! Non vogliamo niente di questo!"
Nel ХХ secolo, tra cui nel periodo sovietico, c'è stata molta recidività di questo tipo di comportamento. Nel suo libro "Nutrendo l'aquila bicefala" ho letto che Nicola I scaricò la responsabilità dei cambiamenti allo stesso corso della storia, non prese niente su di se. E' anche molto simile a com'era costruito il sistema politico sotto Brežnev dopo la caduta della riforma di Kosygin [10] o oggi sotto Putin. Non si fa niente, ma si dice: "è ancora presto", "non siamo ancora maturi", "non siamo ancora pronti". Come se tutto dovesse succedere gradualmente da se. E così per anni.

– A Nicola non piaceva tutto ciò che avveniva in Russia. Creò all'infinito comitati e commissioni di riforma, tra l'altro segrete, perché temeva che la discussione dei progetti di riforma sollevasse l'opinione pubblica. Alcune riforme furono comunque realizzate, per esempio il cambiamento di status operato da Pavel Kiselëv [11] nei confronti dei contadini di Stato [12] (i contadini di Stato ottennero l'autogoverno e la possibilità di decidere i propri casi nell'ambito della comunità agraria, ma restarono legati alla terra – nota del redattore). Ma nel complesso la strategia generale era questa: una quantità infinita di dibattiti e discussioni, sugli esiti delle quali si approva un debole e compromissorio progetto di trasformazioni che poi comunque non si incarna nella vita. Beh, anche la famosa formula dell'imperatore: "Non c'è dubbio che la servitù della gleba nel suo stato attuale da noi è un male percettibile ed evidente per tutti, ma toccarla adesso sarebbe cosa ancor più letale".
Nel corso di quasi cento anni (dal 1762 al 1861, fino all'abolizione della servitù della gleba) solo per quattro anni governò la Russia l'imperatore Paolo I, che riteneva che la servitù della gleba fosse un bene per il paese. Per 90 anni governarono monarchi – Caterina II, Alessandro I e Nicola I –, che ritenevano che la servitù della gleba fosse mostruosa, ma non poterono farci nulla. L'impossibilità di risolvere questo problema per l'appunto era legata anche alla debolezza dello stato. Se si fossero liberati i contadini, lo stato avrebbe dovuto prendersi la responsabilità di loro. Bisognava giudicarli, garantire i loro diritti, raccogliere da loro le tasse senza scaricare questo sui proprietari terrieri. Lo stato non sapeva come fare. E il problema fino al 1861 non fu così risolto. Semplicemente era giunto al punto che non si poteva più trascinare oltre.
E' davvero molto simile a ciò che avviene ora. Dagli infiniti dibattiti sulla riforma delle pensioni alla non prontezza a chiudere le grandi imprese inefficienti perché non è chiaro cosa fare con i disoccupati.

– Di principio questa è certamente la manifestazione dell'assenza della politica: meglio non fare nulla in ogni caso perché non si sa cosa capiterà. E inoltre non c'è alcuna reale risorsa amministrativa per realizzare una qualunque riforma coerente.


"Da noi c'è da tempo un'ideologia di Stato"

Come ha funzionato poi la triade nel corso della storia russa e funziona oggi? Nell'ultima manifestazione è stato notato un piccolo cartello "Ortodossia-autocrazia-carattere nazional-popolare": i ritratti di Cirillo I [13], Putin e Sveta di Ivanovo [14]

– Ora probabilmente l'idea della rinascita di questo schema c'è, ma la cosa più importante è che rinasce l'idea di un rapporto simbiotico dello Stato con la Chiesa. Lo Stato si basa sulla legittimazione che deriva dalla Chiesa. D'altra parte, la Chiesa è un servizio amministrativo dello Stato, che aumenta la sua autorità.
E si trasforma in Agitprop.

– Agitprop, certo! Nel sistema sovietico le sezioni ideologiche erano sempre la cosa più importante (il segretario per l'ideologia era il "secondo segretario" informale), ma sottoposta in parte all'apparato del partito. Lo stato otteneva legittimazione dall'"unico vero" insegnamento e esso stesso consacrava i suoi portatori. Nel periodo imperiale questo schema non era così rigido, ma aveva tratti comuni. Il Santissimo Sinodo era diretto dal procuratore supremo laico.
E "la nuova comunità storica è il popolo sovietico"!

– Il popolo sovietico, cioè la nazione fondata sulla comunità dell'ideologia. E ora, pare, hanno detto che è necessario tornare a questa idea?
Hanno detto che è necessario cercare da qualche parte vicino a questa idea. Putin, a ben vedere, sogna un qualche progetto ideologico del genere, solo che non ha Uvarov presso di se.

– Forse la forte influenza dell'idea "ortodossia-autocrazia-carattere nazional-popolare" si è ripercosso nel fatto che quelli al potere si sono messi a pensare: l'ideologia è una formula verbale. L'ideologia, certo, non è una qualche formula, è un sistema di metafore, di immagini, tra cui anche di rituali di Stato, di espressioni da imprimersi nella mente. In questo senso da noi c'è da tempo un'ideologia di Stato. Eccome! La verticale del potere. E "far secchi nel cesso" [15]? Funziona, esiste. Cosa c'è da pensare ancora? Sì, la proprietà principale dell'ideologia – che gli utenti la capiscano. Gli utenti capiscono tutto ottimamente.
E qual è il ruolo di rivoluzioni, rivolte, agitazioni?

– Qui sono d'accordo con Andrej Zubov: il progetto di Uvarov era la risposta alla rivoluzione francese, alla formula "libertà, uguaglianza, fraternità".
Uvarov scrive in modo abbastanza interessante che tutti questi sogni sulla rappresentanza nazionale alla maniera europea, sul parlamento indipendente e così via – tutte queste sono fantasie, perché "il colosso non durerà neanche due settimane e per di più cadrà prima che tutte queste false trasformazioni siano compiute".
Come in Vasilij Rozanov [16] sulla Rivoluzione d'Ottobre: "La Rus' [17] sparì in due giorni".

– Beh, abbiamo visto come l'Unione Sovietica è "sparita" in tre giorni. Ricordo che lessi Rozanov, allora ancora proibito e mi sembrò che fosse comunque una metafora. Nessuna metafora! Io stesso poi l'ho visto con i miei occhi…
E in generale questo è molto caratteristico per quelli al potere in Russia – il terrore davanti al proprio popolo. Pobedonoscev [18] disse della Russia: "E' un deserto di ghiaccio e per esso va un uomo selvaggio". L'élite del XIX secolo nei quasi 200 anni passati dalle riforme petrine era diventata estranea al proprio paese – si vestiva diversamente, appariva diversamente, parlava in un'altra lingua. Veramente i mugichi barbuti dovevano temerla. Ma perché anche l'élite sovietica, che fondamentalmente veniva dal mondo contadino temesse la gente a lei socialmente vicina è incomprensibile.
Qualche matrice ideologica in politica estera, le ricerche di complotti, sono passate nel nostro tempo?

– Beh, certo. Questo modello si è costruito intorno alla ricerca del nemico. E nel XIX secolo il centro del "male mondiale" era a Parigi. E suoi portatori e guide erano ritenuti i polacchi, che sono pure slavi come noi, ma hanno preferito il cattolicesimo e in generale sono rivoltosi. La Polonia è anche portatrice di questo "contagio". Ora evidentemente il "centro" si è trasferito negli USA…
Il Dipartimento di Stato, il "comitato regionale di Washington".

– E' interessante, peraltro, la formula ideologica: il "comitato regionale di Washington", perché la presenza di un comitato regionale implica comunque la presenza del CC. E dov'è il CC? Comunque penso che qui, consapevolmente o inconsapevolmente, si intenda il complotto giudaico-massonico…
E i nemici interni? C'era questa matrice ideologica?

– Il modello uvaroviano presuppone i nemici interni. E qui per l'appuntò arrivò la pubblicazione della lettera di Čaadaev. Fu un esempio notevole: "Ecco, l'avevo detto che c'erano!» Ma capitò che Benkendorf si fece sfuggire il nemico interno. Perciò il capo della III Sezione [19] si affrettò a dichiarare Čaadaev non nemico, ma pazzo. Dietro a questo c'era la loro lotta personale, ma i presupposti di partenza erano per molti aspetti comuni – la concezione psicologica, ideologica del carattere nazional-popolare, cioè che l'uomo russo è chi condivide i nostri valori e chi non li condivide è un nemico.
Forse anche la psichiatria giuridica si sviluppa da qui, perché chi è l'uomo sottoposto alla psichiatria giuridica? E' l'uomo che non è sostenitore del nostro ordine, ma se non è un sostenitore, significa che è pazzo.

– Sì, in questo c'è una logica. Non si aveva voglia di dichiarare Čaadaev un nemico in forza della sua ultra-nobiltà – era un Rjurikovič [19]. Beh, non era tanto bene… Ma se tu non sei un nemico, allora probabilmente ti ha semplicemente dato di volta il cervello?
Se si parla dell'"effetto binario" da cui abbiamo iniziato, come si può estrapolare tutto ciò in futuro?

– Sa, non credo comunque che questo genere di precedenti storici sia una condanna a vita. In questo senso non amo molto la stessa metafora del "binario", perché il binario è ciò da cui non si può andar via. Ma non è così. La Russia vive in un'epoca del tutto diversa. Il livello di alfabetizzazione è diverso, la situazione demografica, l'età media sono diverse, il grado di urbanizzazione non c'è mai stato nella storia. Il numero di persone a cui si estende un'istruzione orribile, cattiva, ma superiore – non c'è mai stata una cosa del genere. Non sono d'accordo che siamo destinati ad andare eternamente sullo stesso binario.
Andrej Kolesnikov, "Novaja gazeta", http://www.novayagazeta.ru/politics/54644.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Dalla dicitura russa Rossijskaja Akademia Nardonogo Chozjajstvo i Gosudarstvennoj Služby
[2] Sergej Semënovič Uvarov, ministro della Pubblica Istruzione nella prima metà del XIX secolo.
[3] Nelle sue "Lettere filosofiche" il filosofo Pëtr Jakovlevič Čaadaev esprimeva una visione pessimista della Russia e criticava di fatto l'Ortodossia, auspicando l'avvento di una cristianità unita.
[4] Vladislav Jur'evič Surkov, attuale vice-premier, eminenza grigia e "ideologo" del regime di Putin.
[5] Pietro il Grande divenne realmente esperto in molti lavori manuali.
[6] Arzamas è il nome di una città della Russia centrale e di una società letteraria progressista di cui oltre a Uvarov faceva parte anche Puškin.
[7] Nikolaj Michajlovič Karamzin, riformatore della letteratura russa del primo XIX secolo.
[8] Dmitrij Vasil'evič Daškov, letterato e politico che fu membro dell'"Arzamas".
[9] Figlio di uno studioso emigrato negli USA più noto come Nicholas Valentine Riasanovsky.
[10] Aleksej Nikolaevič Kosygin, primo ministro sotto Brežnev, che ne osteggiò i tentativi di portare l'URSS dall'industria pesante e militare a quella leggera e dei beni di consumo.
[11] Pavel Dmitrievič Kiselëv, ministro dei beni fondiari sotto Nicola I.
[12] I servi della gleba che non appartenevano a un signore, ma allo Stato.
[13] Patriarca della Chiesa Ortodossa Russa (al secolo Vladimir Michajlovič Gundjaev).
[14] Nome d'arte della contabile e attivista di "Russia Unita" Svetlana Jur'evna Kuricyna (nativa della regione di Ivanovo, nella Russia centro-settentrionale), la cui intervista dove lodava sperticatamente il partito e il regime di Putin divenne nel 2011 una hit di YouTube e gli valse un posto da intrattenitrice televisiva sulla rete NTV, di proprietà Gazprom.
[15] Putin disse che bisognava dar la caccia ai terroristi islamici anche "facendoli secchi nei cessi".
[16] Vasilij Vasil'evič Rozanov, scrittore e filosofo.
[17] Antico nome della Russia.
[18] Konstantin Petrovič Pobedonoscev, politico reazionario del XIX-XX secolo.
[19] Cioè l'ufficio della censura.
[20] Discendente di Rjurik, capo vichingo e re del primo stato russo con Kiev per capitale.

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