Magazine Cultura

L'immaginario e il diavolo

Creato il 23 agosto 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno

L'immaginario e il diavoloAlbrecht Dürer, Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo
L’iconografia del diavolo riassumeva tutte le paure dell’uomo medioevale. Il personaggio del diavolo nell’Europa feudale non è semplicemente una costruzione mentale degli inquisitori. Tracce della sua creazione affondano nell’immaginario collettivo. La sua rappresentazione, in altri termini, non è qualcosa che è calata dall’alto della cultura teologica dell’epoca, ma è un prodotto creato attraverso vari apporti nel corso dei secoli. Senza le sue rappresentazioni, un immaginario non ha modo di mostrarsi. Il mondo feudale dava un’importanza centrale alla visione delle cose. La scrittura era monopolio di pochi, perciò l’immaginario era veicolato dalle “raffigurazioni”. Queste “figure” rimandano all’immaginario che le sottende, in quanto le immagini sul diavolo erano condivise da tutto un segmento sociale e culturale. Alla loro base cioè c’era una concezione che le sosteneva e le inseriva in un “mondo”.
Cosa di solito s’intenda per Immaginario non è facile da definirsi. Lo storico francese Jacques Le Goff[1] ha dedicato all’immaginario medievale un saggio. Nel tentativo di darne una definizione, lo storico opera anzitutto una distinzione di termini simili, con i quali troppo spesso l’immaginario si confonde: la rappresentazione, il simbolico e l’ideologico. La rappresentazione è un termine molto generico che ingloba ogni possibile traduzione mentale di una realtà esterna (o interna) percepita[2]. Parlando di rappresentazione, allo scopo di “riprodurre” qualcosa, non è nemmeno rilevante se qualcosa esista davvero. L’esempio dell’immagine del diavolo nei dipinti del Medio Evo è interessante perché abbiamo a che fare con delle immagini di cui non abbiamo mai avuto un’esperienza diretta, eppure a livello di “senso comune” ognuno di noi sa a cosa esse si riferiscono. Per Le Goff «la rappresentazione è legata ad un processo di astrazione», perciò l’immaginario fa parte del campo della rappresentazione, ma vi occupa il posto della traduzione non riproduttiva, non semplicemente trasposta in immagine, bensì creativa, poetica in senso etimologico[3]. L’elemento che distingue l’immaginario dalla rappresentazione è la sua “creatività”.
La rappresentazione mentale può essere tradotta in un oggetto, quindi in una immagine figurativa, orale o letteraria. In quanto subisce una trasformazione, la rappresentazione può essere condivisa. Il limite massimo o minimo di condivisibilità dipende in seguito dalla maggiore o minore capacità diffusiva che la rappresentazione concretizzatasi in una forma esterna ha. Si capisce come l’invenzione della stampa o il perfezionamento delle tecniche xilografiche abbiano inciso profondamente nello stabilizzare la rappresentazione del diavolo e della demologia. Non a caso, infatti, la diffusione della stampa va quasi di pari passo con l’intensificazione della caccia alle streghe tra il XVI e XVII secolo, e come essa abbia contributo notevolmente, in nazioni e regioni anche così diverse tra loro, dal punto di vista religioso e culturale, alla standardizzazione della rappresentazione della demologia. Come scrive Levack, «man mano che lo stereotipo della strega si consolidò […] la letteratura divenne il principale veicolo di trasmissione della conoscenza relativa a quel crimine. L’importanza di quella letteratura aumentò inoltre significativamente con l’introduzione della stampa nella seconda metà del ’400. tale innovazione fece in modo che le credenze colte si diffondessero più ampiamente e più rapidamente che nell’epoca del manoscritto»[4]. La standardizzazione di una rappresentazione riduce notevolmente la creatività individuale. La stampa riduce gli archetipi in stereotipi, e in questo processo di riduzione è proprio l’elemento individuale e creativo che si perde.
Accade lo stesso processo che Edgar Morin descrive quando parla dell’“Industria culturale”. Non possiamo certo paragonare la divisione del lavoro nella produzione artistica di massa, «analoga a quella che si pone in atto in una fabbrica dal momento in cui la materia grezza fino a quando ne esce il prodotto finito»[5], alla produzione individuale delle immagini della demologia. Tuttavia delle analogie ci sono. In primo luogo il bisogno a cui il consumo di ogni immaginario corrisponde, oggi il loisir, ieri il bisogno di rispondere alle proprie ansie e alle proprie paure, in un periodo in cui crisi, carestie, epidemie, alta mortalità infantile. L’immaginario del diavolo si costruisce intorno a delle rappresentazioni, ma non esistono rappresentazioni che nascono dal nulla. Le rappresentazioni sociali, dalle quali ogni artista attinge le sue immagini, sono oggetti che riproducono fenomeni collettivi. Esse concernono un vasto insieme di forme intellettuali tali da comprendere la religione, il diritto, la scienza, il mito, ecc. Com’è noto, a utilizzare per primo la nozione di “rappresentazione sociale”, mutuandola da Emile Durkheim, fu Serge Moscovici[6]. La rappresentazione sociale della stregoneria costituisce dunque il “punto medio” tra gli «attori sociali» (nel nostro caso, i teologi, i giuristi e gli inquisitori) e le istituzioni sociali con i suoi apparati (la Chiesa, in primo luogo, le Università e i Tribunali dell’Inquisizione, in secondo luogo). L’azione sociale di questi attori, strutturata all’interno di un contesto istituzionale, modifica in un continuo rapporto dialettico questo medesimo contesto, e come a sua volta questa modificazione si ripercuote sui primi. La rappresentazione sociale della stregoneria è il prodotto di questa reciproca interazione. Quindi la funzione specifica delle rappresentazioni è quella di dare corpo alle idee che circolano incarnandole in esperienze e interazioni[7]. Esse si presentano come vere e proprie “teorie”, che servono a spiegare e organizzare la realtà sociale. Quindi, le rappresentazioni sociali come teorie sono fenomeni le cui origini, le cui dinamiche interne devono essere spiegate, le cui strutture devono essere descritte. A dare corpo e consistenza a queste idee sono appunto le interazioni sociali tra gli attori e le istituzioni entro cui essi operano, in quanto le raffigurazioni rappresentano preesistono agli individui e costituiscono.
Per quanto, invece, riguardano le immagini, esse rappresentano la traduzione soggettiva e individuale che di quelle rappresentazioni sociali veniva fatta. L’artista aveva il compito di restituire in una realizzazione esteticamente rilevante ciò che ha percepito e rappresentato mentalmente. È interessante però notare che nel caso della realizzazione concreta delle immagini sulla stregoneria noi ci troviamo di fronte a una varietà molteplici di prodotti, che vanno dalle stampe popolari e anonime alle incisioni eseguite dal grande artista tedesco come Albrecht Dürer. Se prendiamo in esame la rappresentazione sociale della stregoneria, così come è stata elaborata attraverso i secoli, da giuristi, teologi e inquisitori, possiamo anzitutto verificare come essa non sia un oggetto culturale statico, essa non si tramanda di un’epoca in epoca come unità ipostatizzata. La sua rappresentazione, come ha dimostrato lo storico Levack, è un’unità cumulativa[8].



[1] J. Le Goff, L’immaginario medievale, Laterza, Roma-Bari 1998. I saggi raccolti in questo volume costituiscono un’integrazione di quelli già presentati in Italia ne Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, Laterza, Roma-Bari 1985.
[2] Le Goff, L’immaginario medievale, op. cit., p. VI.
[3] Le Goff, L’immaginario medievale, op. cit., p. VI.
[4] Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa agli inizi dell’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1999 (Nuova edizione riveduta e aggiornata), p. 58.
[5] E. Morin, L’industria culturale. Saggio sulla cultura di massa, (1962), Feltrinelli, Milano 1963, p. 19.
[6] S. Moscoviti, La psychanalyse, son images et son pubblique, PUF, Paris 19762.
[7] A. Palmonari, Processi simbolici e dinamiche sociali, Il Mulino, Bologna 1995, p. 40.
[8] Levack, La caccia alle streghe in Europa, op. cit.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine