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L'imprudenza della disabilità.

Da Thedoctorisin
Durante uno dei primi weekend di specializzazione, durante una lezione base di neuropsichiatria infantile ho sentito parlare, per la prima volta, di Claudio Imprudente.
Claudio Imprudente, un nome un destino, testimonia con la sua vita, con l'imprudenza che lo accompagna da quando è nato, la forza di volontà di una mente che ha deciso di non rassegnarsi alla malattina e la forza di una madre che, imprudente fin da subito, non si è rassegnata alla prudenza suggeritale da chi le assicurava che suo figlio sarebbe stato, per sempre, poco più di un vegetale.
Claudio Imprudente è considerato dalla medicina un disabile grave, affetto da tetraparesi spastica dalla nascita, vive legato alla sua carrozzina, senza controllo dei proprio movimenti né possibilità di parlare. La sua comunicazione con il mondo è legata ad una lavagnetta di plexiglas con sopra le lettere dell'alfabeto che lui indica con gli occhi per trasmettere al mondo i suoi pensieri.
Eppure Claudio Imprudente è scrittore, giornalista, presidente di associazioni e progetti di intervento nell'ambito della disabilità, viaggia, tiene conferenze ed incontra specialisti, adulti e bambini.
E' imprudente, quando si parla di lui, lasciarsi guidare dai più comuni stereotipi legati alla disabilità.
E' altrettanto imprudente, spesso per la maggior parte delle persone, per chi non ne è obbligato dalla vita, avvicinarsi ai disabili. E' imprudente perchè ci espone alle nostre paure, al rischio di perdere le nostre certezze e scoprire che il mondo che tanto temiamo può rivelarsi ricco di infinite scoperte.
Durante quella stessa lezione ho scoperto cosa significa essere, sentirsi o essere trattato come un vegetale. Mi correggo, non l'ho scoperto, non credo di essermi nemmeno avvicinata a capire come possa essere questa sensazione, ma le parole di Claudio Imprudente mi hanno fatto riflettere così ve le lascio qui:
Salve sono un geranio
“…Erano presenti un gruppo di insegnanti tedeschi che ogni anno trascorrono una settimana nel bolognese per incontrare alcune realtà operanti nel sociale; solitamente l’ultimo giorno che trascorrono in Italia ci fanno visita per una chiacchierata di conoscenza. Io preferisco sempre rendere attivi questi incontri, andare un po’ oltre le chiacchiere, giocare, così da far toccare con mano ciò di cui si sta parlando. Quest’anno avevo messo al centro della tavola una bellissima pianta e ho iniziato dicendo che quella pianta era il mio biglietto da visita: “Salve, sono un geranio”.
Immaginate lo stupore negli occhi dei tedeschi, lo sguardo perso ma attento, di chi non capisce ma rimane concentrato per intuire dove voglio arrivare. Ho poi spiegato che mi presento così facendo memoria di ciò che era stato detto a mia madre al momento della mia nascita: ”Signora, guardi, suo figlio è vivo, ma resterà per sempre un vegetale”. Allora io ho scelto come vegetale di essere una pianta di geranio. Le facce dei tedeschi si facevano sempre più sconvolte e curiose nello stesso tempo. Uscendo dalla mia esperienza personale ho deciso di instaurare un dialogo che stimolasse anche il loro contributo alla questione “pianta o persona?”

….. chiedevo ai tedeschi di avanzare ipotesi o proposte concrete per trasformare queste piante in persone. Sono uscite poi tutte quelle solite cose che si fanno con una pianta: la si annaffia, la si tiene al sole, le si cambia la terra, la si concima.
Ma non basta ancora … le si parla, la si tiene in compagnia, le si fa ascoltare la musica. Ok, ma sempre pianta rimane, forse più bella, ma sempre pianta è. I tedeschi non sanno più cosa dire… decido di buttarmi e dare la soluzione dell’enigma. Tutto quello che è stato proposto appartiene a quella che si chiama assistenza, ma abbiamo visto come con la sola assistenza, seppur necessaria, la pianta rimane ancora pianta. Per farla diventare persona bisogna abbassarsi al suo livello, guardarla dritto negli occhi e instaurare con lei una relazione alla pari: ecco che la pianta diventa persona. Non è comunque uno sforzo unilaterale! Se non ci rapportiamo alla diversabilità nel giusto modo rischiamo di copiare un modello già vecchio, bisogna cambiare la cultura…"
Tratto da : A. CANEVARO e D. IANES, Diversabilità, Ed. Erickson, pag.10 e 11.

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