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L’industria italiana in serie B e la ripresa che non arriva

Creato il 03 settembre 2013 da Keynesblog @keynesblog

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di D.Palma e G.Iodice, da Left del 31 agosto 2013

In una Europa che con fatica cerca la via d’uscita dalla crisi, ogni piccolo passo in avanti si fa carico di attese. Il periodo estivo ha in effetti portato alla ribalta segnali importanti relativi al miglioramento del Pil, confermati da quelli dell’attività industriale. Ma le verifiche necessarie perché si possa parlare di ripresa e gridare allo scampato pericolo sono ancora molte. Questo perché non è chiaro in che misura la ripresa sia ancora sostenuta da una robusta messa in moto della domanda interna dei diversi paesi , e non è chiaro in che misura gli squilibri che alimentano le tensioni interne all’area euro siano destinati a peggiorare. L’incertezza del quadro è, come noto, appesantita dalle performance delle “economie periferiche” (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo), talvolta con segnali non del tutto incoraggianti provenienti dalla Francia. Nel complesso però il quadro è assai più variegato e, per parlare di potenzialità di uscita dalla crisi, è necessario valutare i “pilastri” strutturali di ciascun singolo paese, tra i quali vanno annoverati non solo gli “equilibri macroeconomici”, ma anche lo stato delle infrastrutture, il sistema dell’educazione-formazione e il grado di innovazione del sistema produttivo (questi due ultimi particolarmente rilevanti per le economie più progredite). E sono proprio questi i fattori che recentemente – per la seconda volta dopo il 2010 – la Commissione Europea ha rilevato, fornendo un “indice di competitività” delle regioni dell’area al fine di testarne l’effettivo stato di salute. Lo scenario è netto: l’analisi ci dice infatti che dalla fascia della cosiddetta “banana blu”, che va dal Nord Europa fino al Nord Italia, passando per Francia e Germania, e che comprende le cento regioni più competitive, scompaiono i territori del nostro Paese. Il messaggio che questo dato ci consegna sembra dunque essere privo di qualsiasi ambiguità: l’Italia, diversamente dagli altri paesi periferici, aveva un cuore pulsante industriale capace di creare sviluppo, che ora ha cessato di battere. E questo spiega perché gli attuali segnali di ripresa sono tutti decisamente inferiori a quelli dei paesi rimasti nel tracciato della “banana”, e decisamente insufficienti per prefigurare un rilancio dell’economia ai livelli pre-crisi. Un monito severo, che non lascia dubbi sull’urgenza di politiche industriali per l’innovazione e la riqualificazione del nostro sistema produttivo.


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