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L'ira dei produttori

Da Brunougolini
L'ira dei produttori
Non avevo mai visto intervenire a un Congresso Cgil sette imprenditori, uno dopo l’altro. È successo all’assise della Filctem, il sindacato che raggruppa lavoratori d’industrie diverse ma collegate: energia, chimica, tessile. Sono saliti sul palco, dopo la relazione di Enrico Miceli, e prima degli interventi dei delegati, dirigenti di Federchimica, Assoelettrica, Confindustria Energia, Sistema Moda Italia, Farmindustria, Confindustria Ceramica, Cna Federmoda, Federutility.
Quel che colpiva era un comune sentire. Ossia una sorta di sgomento per quanto sta accadendo in questo nostro Paese. Con un dichiarato apprezzamento per una piattaforma congressuale imperniata su un’accurata analisi del drammatico declino dell’industria nazionale. Era evidente, soprattutto, un sentimento di collera trattenuta nei confronti di alcuni atteggiamenti governativi che tendono a sbeffeggiare il possibile contributo delle cosiddette «parti sociali», i rappresentanti del mondo del lavoro e del mondo delle imprese. Quelli che spesso vengono definiti, anche se è una formula ambigua, i «produttori». Insomma pareva di assistere al nascere, di fronte a una politica che intende prevalere su tutto e su tutti, di una specie di «santa alleanza» non solo corporativa, non solo per difendere limitati interessi ma in nome del Paese.

Tale abbraccio tra forze diverse, non intendeva stabilire, certo, l’annullamento di una sana dialettica su contratti, condizioni di lavoro, riforme. È vero che qui, in questi settori, i contratti vengono periodicamente rinnovati e unitariamente, senza drammatici intoppi. È una tradizione che non muore. Non è così, ricordava Miceli, per il pubblico impiego dove da sei anni i contratti non si rinnovano, mentre sono bloccati quelli degli edili e del commercio. E per i bancari pende una minacciosa disdetta.
Non è stata però facile ottenere risultati in questi settori. La Filctem (e gli altri sindacati) assicurano di aver dovuto contrastare l’idea di rinnovi poveri nonché il tentativo di intensificare la prestazione lavorativa e gli orari. È stato però mantenuto un sistema di relazioni industriali solido, improntato al dialogo. Capace di rendere «il confronto contrattuale un passaggio ineliminabile e condiviso, anche in tempi difficili». Alle volte col ricorso allo sciopero, alle volte senza. Non c’è stato, così, il sopravvento del modello metalmeccanico. Il modello dei contratti «separati e dettati esclusivamente dalle aziende in un clima conflittuale che disperde il valore del confronto». È la dimostrazione, come ha avuto modo di affermare lo stesso Maurizio Landini al congresso Fiom, che esistono imprenditori diversi.
Ora però il pericolo vero, circa il ruolo dei sindacati e dei contratti, avverte il congresso Filctem, viene dalle spinte non solo a respingere la presenza sindacale, ma a sostituire il contratto nazionale con quello aziendale unito al cosiddetto salario minimo non inteso come tabella minima definita per legge a favore del lavoro atipico. Sono state citate, a questo proposito, le tesi del viceministro Morando «liquidatorie delle prerogative del contratto nazionale». Un traguardo delineato «attraverso un mercato del lavoro a “fisarmonica”, un contratto strutturato per i lavoratori più forti e un salario minimo per il resto». Operazione che ridurrebbe Cgil Cisl Uil e Confindustria a delle «lobby» intente solo a sollecitare il governo di turno su questa o quella misura. E qui davvero si cadrebbe nel corporativismo.

Un congresso interessante. Un apporto, come ha sottolineato Elena Lattuada, segretaria confederale, a un «saper fare industria» che può rappresentare una carta vincente. Non è mancata, anche qui come negli altri congressi, la discussione circa il famoso accordo sulla rappresentanza. La relazione ha respinto la «tempesta perfetta» scatenata soprattutto dai mass media, accennando a qualche punto debole presente nel dispositivo, come quello relativo alla necessità di far approvare gli accordi non solo da parte delle rappresentanze sindacali aziendali. Resta il fatto che par di capire che si voglia evitare di fare del prossimo congresso nazionale della Cgil solo una vetrina di dissensi interni. Soprattutto in un momento in cui più che mai c’è bisogno di consegnare al mondo del lavoro una proposta capace di riconquistare unità e fiducia.

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